La visita ad alcuni ristoranti italiani a Toronto in Canada è stata il pretesto per una serata alla Woodbridge Fair, da qui lo spunto e l’opportunità per riassaggiarlo dopo molti anni, per scrivere alcune osservazioni sull’alimento ufficiale per antonomasia di sagre, feste di paese, luna-park e circhi: lo zucchero filato.
La visita ad alcuni ristoranti italiani a Toronto in Canada è stata il pretesto per una serata alla Woodbridge Fair, un’antica fiera di paese che si svolge dal 1847 nel mese di ottobre presso l’omonima cittadina dell’Ontario dove gran parte della popolazione è costituita da abitanti di lontana origine italiana. È proprio da qui che nel 1957 gli autori presero ispirazione per scrivere la famosa canzone la Casetta in Canadà – volutamente con l’accento tonico sulla ‘a’ – quasi certamente per celebrare le decine di migliaia di connazionali che dagli inizi del secolo scorso decisero di lasciare l’Italia con la speranza di un futuro migliore oltreoceano.
L’opportunità per questa insolita esperienza mi ha dato lo spunto, e l’opportunità per riassaggiarlo dopo molti anni, per scrivere alcune osservazioni sull’alimento ufficiale per antonomasia di sagre, feste di paese, luna-park e circhi: lo zucchero filato.
Come noto, si tratta di un prodotto dolciario composto da una particolare forma dello zucchero simile a una ragnatela ottenuto attraverso una macchina che lo scioglie e lo trasforma in fili sottilissimi che si avvolgono intorno a un bastoncino di legno fino a formare la soffice foggia. È disponibile ‘classico’, ma esistono anche versioni colorate e aromatizzate. I gusti più tradizionali sono: fragola, banana e vaniglia. Contrariamente a quanto si possa pensare per via delle sue dimensioni, il prodotto fornisce appena 110 calorie, suppergiù le stesse di due o tre biscotti.
In Italia fece la sua prima comparsa a Udine nel 1906 con il Buffalo Bill’s Wild West Show, uno spettacolo itinerante all’aperto con protagonista l’omonimo attore e cacciatore americano che raffigurava stereotipi romantici di cowboy, indiani e fuorilegge del celebre Far West.
Nonostante negli Stati Uniti sia stata istituita una Giornata Nazionale dello Zucchero Filato celebrata il 7 dicembre di ogni anno, le sue origini rimangono ancora controverse: pare sia nato in Europa nel ‘800 dopo alcuni tentativi e un complicato processo manuale. Addirittura c’è chi ipotizza che sia stato inventato in Italia intorno al ‘400. Fu solo nel 1897 quando un dentista e un pasticcere – tali William Morrison e John Wharton, entrambi di Nashville nello stato americano del Tennessee – idearono un’apposita macchina per produrlo. Alcuni anni più tardi, nel 1904 in occasione della Fiera Mondiale di Saint Louis, lo zucchero filato iniziò a essere conosciuto dal grande pubblico per mano dei due inventori americani. Lo commercializzarono come fairy floss, nome traducibile in italiano in lana di fata. Il successo fu enorme e altrettanto inaspettato: vendettero 68.655 confezioni a 25 cent l’una, corrispondenti a poco meno di 8 euro odierni, un prezzo non proprio popolare in quegli anni. Oggi, invece, è Tootsie Roll of Canada Ltd. di Toronto il maggiore produttore al mondo di questo dolciume.
È curioso che, nonostante sia un alimento ‘globale’ non viene chiamato con lo stesso nome in giro per il mondo: cotton candy in Nord America, candy floss nel Regno Unito, fairy floss in Australia e Nuova Zelanda. In alcuni paesi, poi, assume denominazioni piuttosto curiose: respiro del fantasma in Namibia, zucchero di cotone in Giappone, barba del papà in Francia o ragno dello zucchero nei Paesi Bassi.
Anche se con il passare degli anni ha perso popolarità, lo zucchero filato è tradizionalmente associato, come detto, a parchi di divertimento, fiere, feste di paese e circhi, per una ‘clientela’ composta quasi totalmente da bambini. In queste occasioni, poi, è spesso affiancato alla macchinetta dei popcorn. Da alcuni anni, negli Stati Uniti e in Canada, viene addirittura venduto in alcuni centri commerciali dentro confezioni trasparenti. Nel nostro Paese lo zucchero filato più diffuso è quello nella versione più semplice: bianco, senza aromi, coloranti o sacchetti di cellophane; semplicemente avvolto attorno a un bastoncino di legno. Curiosamente, in Italia, chi limita la propria attività alla vendita di solo zucchero filato e popcorn è esonerato dall’emissione dello scontrino fiscale.
Il macchinario utilizzato ancora oggi per la produzione dello zucchero è rimasto sostanzialmente quello costruito nel 1905 dall’americano Albert Robinson, il quale due anni più tardi cedette il brevetto alla General Electric Company. L’apparecchiatura consiste in un avviatore elettronico collegato a una sorta di grande catino metallico con al centro un contenitore rotante in cui viene messo lo zucchero semolato (addizionato con eventuali coloranti e/o aromi). Una resistenza elettrica riscalda e fonde lo zucchero che, in questo modo, sprizza fuori dal corpo centrale attraverso piccolissimi fori. Entrando a contatto con l’aria più fredda si solidifica, assumendo la caratteristica composizione a fili sottili. Basterà poi ruotare un bastoncino lungo il bordo interno del catino per raccogliere questi fili di zucchero che, essendo molto appiccicosi, si attaccheranno tra loro.