La Calabria al contrario di quanto si possa pensare è sempre stato “terreno fertile” per la viticoltura e molti studiosi le riconoscono di essere una “zona di convergenza genetica”. Nell’ultimo mese abbiamo seguito le diverse attività del Consorzio Terre di Cosenza e da ciò che abbiamo visto, assaggiato e vissuto in prima persona nasce questo editoriale di riflessione sul suo sistema culturale oltre che produttivo.
Forse non tutti sanno che la Calabria, prima di chiamarsi Calabria, si chiamava “Enotria”, la “Terra del vino” e allevatori delle vite erano gli Enotri ancor prima dei Greci. Un preambolo importante questo per sottolineare quanto la Calabria sia terra vocata alla vinificazione, seppur spesso non riconosciuta, da molti non conosciuta fino in fondo, se non quasi ignorata, per non parlare poi di chi non la considera terra di buon vino. La Calabria al contrario di quanto si possa pensare è sempre stato “terreno fertile” per la viticoltura e molti studiosi le riconoscono di essere una “zona di convergenza genetica”, cioè il più importante centro di diffusione enologico nel bacino del Mediterraneo occidentale.
Ma passiamo dagli Enotri ai giorni nostri per cercare di capire se l’evoluzione della specie del viticoltore calabrese sia avvenuta con più o meno successo. Conosciamo in effetti periodi poco felici che hanno destabilizzato la fama e la qualità del vino “made in Calabria”, ma negli ultimi anni è oggettivamente confermata e testata l’ascesa qualitativa in termini di produzione. Tanti e diversi gli areali dove si coltivano vitigni autoctoni, molti dei quali come Magliocco, Mantonico e Pecorello riscoperti e portati in produzione. Per non parlare poi di Zibibbo, Guarnaccia, Greco bianco e nero, Malvasia che si aggiungono agli altri e al Gaglioppo, re indiscusso della produzione regionale in numero e in storicità.
Gli ultimi anni sono stati anni di crescita, di nascita o di rinascita, di scoperta di un mestiere. Se prima molti coltivavano, producevano e rivendevano, oggi in Calabria c’è una visione più ampia del vino, c’è la voglia e l’obiettivo di molti, tutti di nuova generazione, di consolidare un marchio, di creare un mercato, di voler fare soprattutto un vino che sia un vino di territorio e sappia raccontarne la storia.
Molti dei giovani vignaioli e anche imprenditori del vino sono nella provincia di Cosenza, area di antica tradizione – laddove si incrociavano le più importanti strade dell’antichità si “incrociava” anche la vite – e di grande biodiversità in quanto qui troviamo molti dei vitigni più rilevanti delle attuali produzioni mondiali.
In particolare siamo tra i due mari Ionio e Tirreno e le alte vette della Sila e del Pollino, a circa 2000 mt di altitudine dove si estendono delle rigogliose valli e dolcissime colline, molte delle quali dedicate alla vite, con zone e sottozone dalle condizioni diversificate per risultati unici. Se fate un giro come lo abbiamo fatto noi nei giorni passati, approfittando del press tour organizzato dal Consorzio Terre di Cosenza, capirete a colpo d’occhio di cosa stiamo parlando.
Qui si alternano produzioni vitivinicole di piccola dimensione ma di grande qualità che a volte diventano viticoltura eroica in quei piccoli fazzoletti di vigne scoscese, coltivate ancora ostinatamente a mano. Sono tutti territori da scoprire, tutti variabili e che regalano grandi rossi come il Magliocco dolce (vitigno principe della provincia di Cosenza, di difficile gestione ma dai profumi e colori inconfondibili) e inaspettati i bianchi, un tempo genericamente indicati come “greco”, a ricordarne l’origine, e ora distinti in Greco bianco, Malvasia e Guarnaccia, Mantonico e il Pecorello.
Tutto bello fin qui, ma quanti di voi che leggete (se non siete calabresi ed esperti di vino, e non è nemmeno detto) sapevate di questa Calabria – o parte della Calabria – enologica? E da qui nasce il bisogno di raccontare questa storia, che non deve essere propaganda, ma promozione, cultura basilare di una parte dell’Italia del vino che sta facendo passi da gigante, che si sta impegnando e sta crescendo.
Ecco perché dal 2014 è ufficialmente nato il Consorzio Terre di Cosenza che cerca di mettere insieme, tutelare e creare sinergia tra le tante cantine sul territorio che producono vini rossi e rosati da Magliocco. Realtà giovani e giovanissime, perché la produzione qui non è storica e di mestiere come lo era a Cirò, ma che sta cercando di recuperare terreno, di mettersi al passo con le tecniche, con le visioni in grande, con la qualità. Se tutelare i produttori e la denominazione è un atto anche politico, comunicare il territorio, la sua storia e i suoi vignaioli è un atto etico, responsabile e aggiungerei anche “sostenibile”. Perché è proprio da una corretta comunicazione che nasce la conoscenza, che si alimentano curiosità e passione e si fa cultura di un luogo, di un prodotto. Solo seguendo la strada della narrazione impegnata si costruisce un percorso e un mercato. E tutto ciò è sostenibilità delle proprie potenzialità, del proprio lavoro e del proprio territorio sotto tutti i punti di vista.
Il press tour che ci ha visti tra gli ospiti – ha partecipato per Radio Food il nostro Guglielmo Gigliotti – voleva porre l’accento su questo tema: la conoscenza intrinseca del territorio, che deve essere leva per tutti e di cui il vino è componente meravigliosamente essenziale e potente.
Uno degli argomenti “economici” trattati e più attuali è il turismo enogastronomico, motore di una nazione, attività da sviluppare, da saper pensare, disegnare e costruire. “E le aziende vitivinicole del cosentino – come ci conferma Guglielmo durante il suo viaggio di azienda in azienda – sono caratterizzate dalla piccola dimensione e dall’ubicazione in luoghi di grande bellezza e ricchezza storica e paesaggistica oltreché dalla grande biodiversità, e hanno una naturale vocazione enoturistica, all’accoglienza e alle vendita diretta”.
Il turismo enogastronomico è in ascesa in tutto il Paese, bisogna solo inquadrare la tipologia di domanda e come soddisfarla, le proposte possono essere tante, dalle più classiche degustazioni ai più originali gampling tra le vigne. Sono e devono essere esperienze tailor made cucite addosso all’azienda e al visitatore. E tornando al discorso della divulgazione del territorio, non si potrà mai pensare ad un enoturismo felice se non si raccontano, o sanno raccontare, i luoghi, le loro storie e le persone al resto del mondo. E qui si potrebbe aprire un capitolo ampio, lungo e articolato, su cui le aziende e i produttori, anche quelli da milioni di bottiglie vanno sensibilizzati, resi consapevoli che servono non sono le parole adatte, ma anche gli strumenti e le figure professionali che colpiscano l’obiettivo.
Terre di Cosenza, local wine experience
Una local wine experience durata tre giorni (dal 10 al 12 giugno scorso) e voluta dal Consorzio Terre di Cosenza, continuata fuori regione con la presenza del Consorzio stesso a Vinoforum a Roma dal 9 al 22 giugno e concludersi con una serie di cene e degustazioni in giro per l’Italia per far conoscere i vini di Terre di Cosenza e le sue aziende (e noi siamo stati alla cena del 27 giugno presso l’Anantara Hotel a Roma).
Merito di ciò va dato al Presidente del Consorzio Demetrio Stancati e a Gennaro Convertini Divulgatore Agricolo ARSAC e Presidente dell’Enoteca Regionale, che hanno accompagnato i giornalisti presenti e raccontato aziende e territori insieme a Matteo Gallello, editore e divulgatore enologico e Massimiliano Rella giornalista e fotografo per riviste di food e turismo, e non ultimi Giovanna Pizzi e Francesco Mannarino ideatori e coordinatori del progetto, nonché grandi comunicatori attivi della Calabria.
Nei tre giorni sono stati affrontati tutti i temi salienti o critici, come il turismo enogastronomico nelle Terre di Cosenza, la viticoltura tradizionale e quella eroica con le diverse interpretazioni dei vitigni autoctoni, la comunicazione del vino e del territorio.
“Sono state tre giornate intense, entusiasmanti e sorprendenti. Sorprendenti perché anche chi è della zona ha avuto modo di scoprire lati nuovi della propria terra, non solo in termini di bellezza o storia, ma di realtà, piccole e grandi, che dimostrano voglia di fare, che si impegnano e che vogliono raccontarsi. E in questi tre giorni abbiamo in un certo senso capito meglio il nostro ruolo di “narratori e divulgatori della Calabria”, acquisendo più consapevolezza e anche responsabilità” ci dice Guglielmo che da tesimone oculare ci riesce a fare un breve racconto di quanto vissuto.
“Passando tra le varie aziende, tutte diverse sia per grandezza che per offerta ho trovato aziende agricole complete con produzione di olio, allevamenti e salumi, coprendo una proposta enogastronomica quasi completa, che poi ben si sposa con la parte naturalistica e l’esperienza sul posto. Come fanno Le Conche a Bisignano, un posto unico per la posizione in cui si colloca, con vigne, allevamenti di maiali neri, daini, produzione propria di salumi e vino da degustare anche in formato pic nic in sede.
Non mancano poi attività più grandi con servizio di B&B dove l’enoturismo non è una parola a caso, ma comincia a diventare veritiero. E La Peschiera ne è un esempio. Qui un tempo avveniva la concia della liqurizia e oggi questa struttura è un bellissimo e accogliente B&B con cantina. Di grande impatto emotivo è La Matina a San Marco Argentano, al cui interno della tenuta troviamo una Abbazia stupenda, location anche di molti eventi artistici e degustazioni, simbolo di una connessione profonda con lo sviluppo del vino”.
Realtà di cui prendere nota che arricchiscono il panorama produttivo del territorio di cui aziende come Terre di Balbia, Giraldi & Giraldi, Tenute Celimarro confermano crescita, impegno, qualità sempre maggiore e un alto potenziale da tenere a mio avviso sotto la lente d’ingrandimento, come ci sottolinea lo stesso Gigliotti.
“Conferme a parte il piacere di questi tre giorni è stato vivere direttamente certe realtà e scoprire le novità, siamo passati da una lezione sulla storia e produzione del Moscato di Saracena, unicum della nostra regione, tenuta direttamente dal fondatore Giuseppe Viola, con degustazione del Moscato Viola e di quello dei Feudi di San Saverino, fino a entrare in contatto con l’azienda Ferrocinto nel cuore del Pollino, tra le più grandi del territorio anche in numero di bottiglie prodotte, ma anche di accoglienza e attività enoturistiche e ristorative, e che sta lavorando sulla spumantizzazione con dei buoni risultati. Lo spettacolo della natura l’ho vissuto da Tenute Paese, dove abbiamo visitato le loro vigne eroiche collocate sul versante della montagna racchiuso tra un bosco e la valle del fiume Crati. 15 ettari di vigneto caratterizzati da vitigni autoctoni , le cui uve vengono raccolte rigorosamente a mano per preservare il frutto.
Qualcosa che non conoscevo? Il Mantonico Tinto che produce l’azienda Rizzo, di nuovissima generazione”.
E per chiudere in bellezza visita obbligatoria al Castello di Serragiumenta ad Altomonte che descrivo citando il sommelier Michele Ruperto, anche lui in press tour, che con gli occhi pieni di meraviglia su un suo post facebook scrive: “Quando pensi di aver visto tutto in Calabria arriva il Castello di Serragiumenta a riscrivere la tua memoria. Una storia di una nobile famiglia che inizia negli anni 40 quando Federico Bilotti acquistò la tenuta che era di 2 mila ettari in un unico blocco ( 2 mila! ) con un bellissimo castello costruito nel XVI secolo . Un rivoluzionario, un visionario, che diede vita in pochi anni ad uno dei borghi produttivi più importanti della Calabria per quel periodo. Oggi, la nipote con il marito Paolo, affermato avvocato di fama nazionale, guidano dal 2003 la tenuta ridotta a “soli ” 600 ettari. Bisogna andare sul posto, fare il tour in trattore, parlare con loro, per rendersi conto di quanto possa essere grande, atomica, indistruttibile, la passione che li porta a rinunciare a parte della loro esistenza per ridare vita ad un’azienda così grande e complessa da gestire. Matrimoni, eventi, ristorante aperto tutti i giorni con piscina, camere nelle vigne con vasca idromassaggio, maneggio, vino, olio, frutta, campi da tennis, cene in vigna con musica dal vivo, allevamento di maiale nero, di podolica, produzione di uova con galline allevate a terra, enoturismo, cambio parco macchine agricole in elettrico entro pochi anni, autonomi di acqua e di luce, produzione di energia elettrica, e decine di altri rami aziendali esistenti o in programma nei prossimi anni, impossibile da ricordare tutti. Come si fa a scrivere una storia del genere? Impossibile! Posso solo suggerirvi di andare a trovarli”.