Oggi 29 settembre è la giornata mondiale di consapevolezza delle perdite e degli sprechi alimentari. Secondo il primo rapporto “G8” su cibo e spreco alimentare l’Italia è il paese più virtuoso. Gli italiani stanno imparando a non buttare il cibo. Ma vediamo cosa ci dicono gli chef, a cui durante le tre giornate di Identità Golose abbiamo chiesto come si può essere davvero sostenibili e sprecare meno cibo.
Il Rapporto sullo spreco alimentare, Italia la meno sprecona
Secondo il “Food & waste around the world”, primo Rapporto “G8” su cibo e spreco in 8 Paesi del mondo: Stati Uniti, Cina, Regno Unito, Canada, Italia,Russia, Germania e Spagna, sono gli italiani i più virtuosi e meno spreconi in fatto di cibo, con solo poco più di mezzo chilo (529 grammi) di alimenti gettati nel bidone della spazzatura a settimana. Un trend anche in continua decrescita e che evidenzia come gli italiani stiano ridando sempre più valore al cibo. E in tema di sprechi l’Italia sta facendo e ha fatto un gran lavoro. Il problema per molti alla base dello spreco alimentare è l’eccesso di acquisto di cibo e scadenza dei cibi, ma le tante campagne di sensibilizzazione fatte su tutti i livelli sta aiutando a migliorare la situazione. Il cambio di stile di vita che abbiamo vissuto durante i periodi di lockdown hanno spostato l’attenzione sugli sprechi, riducendoli grazie all’adozione di poche e semplici abitudini.
Cosa succede negli altri paesi
Gli statunitensi sprecano quasi un chilo e mezzo di cibo settimanale, seguiti da Cina con 1153 grammi, Canada con 1144 grammi e Germania con 1081 grammi. Scendono sotto il chilo di cibo buttato gl inglesi (949 grammi),spagnoli (836 grammi) e i russi, (672 grammi).
Il rapporto, il primo a livello globale, realizzato dall’Osservatorio Waste Watcher International, e promosso dalla campagna “Spreco Zero” con Ipsos e l’Università di Bologna,evidenzia in generale la divisione tra Paesi europei e Paesi nordamericani/Cina: in termini di frequenza dello spreco, gli intervistati europei segnalano livelli più bassi, mentre i nordamericani segnalano livelli più alti di spreco alimentare.
Cosa fare contro lo spreco alimentare e per la sostenibilità? Parola agli chef
Se nelle case degli italiani le cose sembrano andare bene o comunque aver preso la strada giusta, cosa succede nella ristorazione? Abbiamo cercato di indagare sulla questione nei tre giorni di Identità Golose Milano 2021, chiedendo a tanti degli chef presenti cosa si deve fare nel concreto per essere veramente sostenibili e ridurre lo spreco alimentare. A ben pensarci sono proprio i protagonisti della cucina italiana ad essere i maggiori “influencer” sul tema e forse sono sempre loro quelli più capaci di dare consigli di come gestire in modo sostenibile una cucina.
Una domanda obbligatoria in un contesto come quello di Identità Golose che ci ha permesso di capire anche quanto la parola sostenibilità sia abusata, quanto se ne parli tra progetti e teorie e quanto nel concreto si riesca a fare meno di quanto si potrebbe. Il termine sostenibilità si usa spesso, forse troppo, così come l’aggettivo sostenibile che qualifica in modo virtuoso realtà che forse di sostenibile hanno ben poco se non uno slogan.
Le opinioni dei protagonisti di Identità Golose in merito al tema dello spreco alimentare sono state delle più varie, così come sono variegati gli approcci: da quello più filosofico a quello più pratico, da quello formativo a quello istituzionale. Sicuramente la “ricetta” è fatta di ingredienti diversi che devono sapersi incastrare.
Sostenibilità è benessere
Per Andrea Berton la sostenibilità parte dal luogo di lavoro e dal benessere delle persone, far lavorare bene i propri collaboratori (riciclo dell’aria e temperature di cucina, altezza dei piani di lavoro, ecc..) crea meno stress e maggiore efficienza. Della stessa idea anche Moreno Cedroni per cui la sostenibilità si deve trovare nell’ambiente di lavoro e nelle azioni quotidiane, solo in questo modo si può crescere nella teoria e nella pratica. E lui per dare l’esempio si è fatto a uso e consumo della sua Madonnina del Pescatore l’orto sul mare. Mentre per Antonio Ziantoni la sostenibilità deve essere rivolta alle persone, alla loro socialità e sinergia, alla gestione del tempo lavorato. Anche Corrado Assenza sposa l’idea della sostenibilità umana, così come Massimiliano Alajmo che in questa parola non vuole trovare i soliti luoghi comuni, ma valori e principi a cui aderire. Non apparire sostenibili, ma esserlo e per esserlo bisogna essere in grado di celebrare la bellezza.
Cultura e formazione
C’è bisogno di educazione alla sostenibilità, di una formazione coerente ad un ragionamento sostenibile, ad un lavoro sostenibile, ad una visione dell vita sostenibile. Così la pensa Carlo Cracco che trova necessario sensibilizzare e educare la brigata per poter far tradurre la teoria in pratica, per poi trasmetterla con lo stesso impegno ai clienti.
Simone Padoan della pizzeria I Tigli si augura di celebrare questo 29 settembre tutti i giorni, lo spreco alimentare devono essere evitato o combattuto tutti i giorni nei piccoli gesti e questo lo si fa solo se si adotta un’etica comportamentale. Riccardo Camanini colloca il significato di sostenibilità nel concetto più ampio di etica sociale che dobbiamo ritrovare nei gesti quotidiani, senza adare troppo lontano, guardando per esempio agli utensili usati tutti i giorni, alle materie prime, ai costi.
Per essere sostenibili serve fare delle scelte sostenibili che aiutano a lavorare e produrre meglio e con più benessere, questo è il pensiero di Antonia Klugmann. C’è una grande sensibilità nelle sue parole, un pensiero sostenibile che accompagna il suo essere chef. Lei stessa afferma: “quando creo un piatto lo penso dal punto di vista della sostenibilità, valuto le risorse che impegno nel realizzarlo (persone, energia, materie prime, impatto ambientale)”. Bisogna, dunque, cambiare il modo di pensare alle cose, cambiare prospettiva se si vuole essere dalla parte giusta.
Più polemico Gianfranco Pascucci che afferma con naturalezza quanto saremo e siamo poco sostenibili fin quando la sostenibilità non sarà capace di creare economia vera. Una meta raggiungibile, ma ancora lontana secondo lo chef di Pascucci al Porticciolo, un tema e una battaglia sociale da combattere e su cui bisogna lavorare producendo la cultura necessaria.
Sostenibilità è Rispetto
Altro concetto che si è sviluppato nei tre giorni di congresso e in particolare nelle nostre interviste mirate a capire che rapporto e quali idee hanno gli chef italiani in merito di sostenibilità e spreco alimentare è quello del rispetto. Essere sostenibili significa avere rispetto, nella ristorazione ciò si rivolge nei confronti delle persone in primis, poi si declina sul territorio, le materie prime lavorate. Questa l’idea di Errico Recanati del Ristorante Andreina a Loreto.
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Sostenibilità e territorio
Molti legano il concetto di sostenibilità al territorio, come fossero due concetti intrinseci. Franco Pepe, maestro pizzailo a Caiazzo, in provincia d Caserta, ci racconta il lavoro che sta portando avanti dal 2012 con il territorio, non solo nella scelta delle materie prime e dei suoi fornitori, ma anche nel saper comunicare alla gente quel meccanismo circolare che ha messo in atto che deve essere compreso, apprezzato e sostenuto.
Dalla Sicilia Ciccio Sultano riprende lo stesso concetto: “siamo sostenibili da quando siamo nati. Da sempre abbiamo scelto ciò che ci sta attorno con orgoglio, motiviamo e facciamo sentire orgogliosi di quello che fanno i nostri fornitori e produttori di fiducia, creando un’energia circolare fatta di persone e di territorio. Per me essere sostenibile significa rispettare l’uomo che lavora per te”.
La ricetta più pratica la mette in campo il giovane chef calabrese Antonio Biafora che dice: “bisognerebbe mandare mia nonna in tutte le cucine e non ci sarebbe più spreco”, che ci svela la sua cultura profonda e sensibilità alla sostenibilità, che deriva da un rapporto difficile con il territorio, che ti impone per questione di adattamento di essere sostenibile a 360 gradi per poter tirare fuori il meglio.
A metà strada tra legame con il territorio e le persone c’è Matteo Aloe, fondatore e maestro pizzaiolo di Berberè, che avverte anche una certa emergenza di azione: “non bisogna solo parlarne, bisogna fare e subito”.