Quante volte vi siete trovati ad affrontare frequenti pasti luculliani o comunque completi e tutt’altro che leggeri. Allora molto probabilmente conoscete bene il sorbetto. Non solo per il suo notevole potere digestivo, ma anche per il gusto fresco, gradevole e al contempo delicato.
Chi si trova ad affrontare come il sottoscritto frequenti pasti luculliani o comunque completi e tutt’altro che leggeri, molto probabilmente conosce bene il sorbetto. Non solo per il suo notevole potere digestivo, ma anche per il gusto fresco, gradevole e al contempo delicato.
Talvolta confuso con la granita, la cremolata o lo sgroppino veneto, il sorbetto è una tipica preparazione di consistenza semidensa e appena congelata, costituita in genere da sciroppo di zucchero (l’utilizzo del normale zucchero semolato porterebbe a una consistenza più granulosa e altrettanto ghiacciata) mescolato a succo o purea di frutta e, facoltativa, una parte alcolica. Nello specifico, il classico sorbetto è composto da circa il 55% di acqua, 25% di frutta e 20% di zucchero. Il tutto lasciato riposare a una temperatura di -14°C e mantecato ogni 30 minuti nell’arco di 4 ore.
Per preparare il sorbetto – i frutti più utilizzati sono agli agrumi, soprattutto limone e pompelmo rosa – è opportuno utilizzare frutta fresca di stagione anche se si possono ottenere ottimi sorbetti anche con fragole, ribes e lamponi surgelati, frutta sciroppata, liquirizia e succhi concentrati di frutta. Per i sorbetti “alcolici” si aggiungono generalmente vini pregiati come prosecco e champagne o distillati come vodka e limoncello. L’eventuale aggiunta di albume d’uovo montato a neve solidissima oppure di panna montata, serve a renderli più soffici.
Il sorbetto è un piacere per il palato: rinvigorisce le papille, “pulisce” la bocca e la predispone alla portata successiva. Ed è eccellente anche a fine pasto, come dessert rinfrescante ed eupeptico. Il sorbetto, vero antenato del gelato, si consuma così da migliaia di anni nonostante siano incerti la data, il luogo di nascita e persino l’origine del termine: da sorbitium in latino, cioè qualcosa da sorbire, sino alla più probabile parola araba sherbet, ovvero bevanda fresca. In effetti, testimonianze storiche citano l’uso di bevande refrigerate nel mondo arabo come in Mesopotamia (la zona compresa principalmente nell’attuale Iraq), Cina, Grecia e Roma antica, consuetudine resa possibile grazie alla conservazione della neve in caverne e grotte e quindi alla sua trasformazione in ghiaccio. Portato dagli Arabi in Europa con la dominazione berbera, arriva in Spagna e successivamente in Sicilia, sua terra di elezione e, da qui, dopo molti secoli (seconda metà del ‘500) nel resto del territorio italiano. Privilegio dei nobili prima, diventato popolare poi, immancabile nei matrimoni, negli ultimi anni è stato quasi dimenticato. Un vero peccato, considerato che è stato celebrato da poeti e scrittori, che è entrato nelle corti dei re e che i cuochi più famosi gli hanno dedicato una o più ricette.
Se in passato sono state le raffinate preparazioni di Luigi Carnacina con il sorbetto nel mandarino, le ricette di Vincenzo Buonassisi e il suo sorbetto del vampiro e le “invenzioni” di Gualtiero Marchesi creatore del sorbetto al tè verde che oggi occorre rivalutarlo nelle sue diverse funzioni. Pensando a occhi chiusi al piacere di chi lo ha inventato e assaporato per la prima volta: una semplice coppa di neve mescolata a qualche frutto e un po’ di miele.