Una fiaschetta di colatura di alici “Nettuno”; tre vasetti di alici sott’olio di cui una Gran Riserva; un barattolino di pesto fresco, color verde menta; una bottiglia di Gewürztraminer Alto Adige DOC; una bottarga di muggine sarda essiccata, una in polvere e una in crema; un livornese sugo al nero di seppia; una cena sicula da asporto – sostentamento per la tratta Genova/Roma – a base di alici fritte, triglie e panelle. Un bottino da leccarsi i baffi, indubbiamente, ma senza valore se non fosse il risultato del lavoro artigiano delle persone che dal 9 al 12 maggio hanno partecipato a Slow Fish 2019, giunto alla sua nona edizione.
E non c’è dubbio che Slow Fish anche quest’anno abbia rivoluzionato il più grande snodo navale d’Italia: assemblando filosofie, mescolandosi tra i vicoli di Prà, ha tessuto reti di popoli, odori, storie e tradizioni raccontate dai lupi di mare del mondo e dello Stivale, restituendo al mio soggiorno in Liguria molto di più delle prelibatezze acquistate. Slow Fish ha trasformato gli ampi spazi portuali in arene di dibattito, nelle quali si è tornato a parlare e ad ascoltare. Un’azione non scontata in un tempo come il nostro, dove per comunicare ci si affida solo a piattaforme, doppie spunte e meme sul digitale. Dal giovedì alla domenica è stato un susseguirsi di incontri, appuntamenti a tavola e laboratori per ribadire attraverso la parola, il gusto e il saper fare che del mare nessuno è padrone, ma dipendiamo dalla sua salute e va trattato con cura ed intelligenza in quanto bene comune.
Un concetto semplice ma troppo spesso soffocato, non solo dalle plastiche che quotidianamente gli “affidiamo”, ma anche dai decisori politici dai quali è abbondantemente trascurato. E se ai tavoli istituzionali non trova il giusto respiro, basta una passeggiata tra gli stand della manifestazione e una chiacchiera con i produttori per capire che il tema scotta ed è sentito. Lo conferma Giulio Giordano, fiero artigiano-pescatore di terza generazione, che dalla produzione della colatura di alici di Cetara – presìdio Slow Food – ha ereditato la sua eroica professione. L’ho constatato nelle fenomenali Jade de Waal e Loubie Rush, raggianti cuoche capoverdiane, responsabili di piatti audaci nati dall’incontro della cucina ligure con le erbe spontanee sudafricane; se ne è parlato durante la degustazione di ostriche bretoni naturali, più saporite e carnose delle cugine triploidi proprio perché non sottoposte ad antibiotici e a trattamenti meno sani.
Ho conosciuto persone formidabili, narratori di storie arricchenti che ho ascoltato con la curiosità e l’indecisione di chi non sa se fermarsi sulle parole o scivolare con lo sguardo oltre, verso il mare. Così è stato all’enoteca con Franco, generoso sommelier, che trasforma un assaggio di Pigato in una parentesi intima e commovente. Lo hanno fatto le parole dell’eclettica Sally Barnes, regina del mare di Irlanda che tramanda ancora oggi tecniche tradizionali di affumicatura del salmone, a rischio di scomparsa; un giovanissimo Cristòbal Velàsquez, entusiasta chef cileno, di una tale forza ed umanità da meritarsi il plauso del pubblico universitario per aver condotto il laboratorio sul ceviche in modo tanto appassionato; dalla Corea del Sud un cerimonioso Kang Chang Kun, che ci ha convinto ad assaggiare salse e sashimi a base di occhi, stomaco, fegato e squame di cernia, testimoniando una cucina orientale orientata al recupero e antagonista dello spreco alimentare. Un susseguirsi serrato di incontri ben preparati rivolti ai giovani, alle famiglie, ai passanti più curiosi, hanno trasformato Piazza Caricamento in uno spazio libero dove promuovere ed educare buone pratiche e i 130 mila mq di Piazza delle Feste in 130 mila occasioni per mettersi a confronto e creare nuove virtuose dinamiche.
A raccontarlo così non sembrerebbe di essere soli in mezzo a questo mare, eppure una voce unica e forte è necessaria per cambiare rotta e le regole da attuare. Consapevoli del poco tempo a disposizione, siamo chiamati ad operare un salto culturale per la salvaguardia del Pianeta mare. Raccomandiamo un atteggiamento più responsabile ed accettiamo di cambiare abitudini nella nostra alimentazione se vogliamo assicurare alle generazioni future una vita sostenibile, con una prospettiva buona, pulita e giusta, con più cibo e più sapore.