In un’epoca dove la cucina declinata in tutte le sue varianti – libri, programmi TV, siti web e blog, manifestazioni gastronomiche, corsi – la frequentazione dei ristoranti rimane senza dubbio la celebrazione più manifesta e diffusa. Un così elevato interessamento per il cibo non poteva che portare ad un’improvvisa proliferazione di tanti pseudo esperti gastronomici alla continua ricerca dei prodotti d’eccellenza, della pietanza griffata o, più semplicemente, alla riscoperta di piatti della tradizione. Ma da buongustai sappiamo proprio tutto sugli ingredienti o sulle pietanze che ordiniamo o che leggiamo più frequentemente senza incappare in amletici dilemmi? Ecco allora una breve guida, a puntate, sui dubbi più comuni riferiti ad alcuni prodotti o termini legati al gergo gastronomico italiano:
Astice o Aragosta
L’ASTICE, conosciuto anche come astaco, è un crostaceo nefropide le cui specie più comuni presenti sulle nostre tavole sono l’americana e l’europea, ma il sapore di quest’ultima, anche se meno pescata, è ritenuto migliore. Ha colore bluastro con chiazze gialle sul dorso, ventre chiaro e due chele, una grande e l’altra più piccola. Gli esemplari comuni misurano da 30 a 40 cm e sono presenti anche nel Mar Mediterraneo. A differenza dell’aragosta, l’astice trova un migliore utilizzo per la preparazione di piatti caldi ed inoltre non è possibile l’allevamento a causa dell’aggressività dovuta al forte carattere di territorialità che questo crostaceo possiede.
L’ARAGOSTA, appartenente alla famiglia dei Palinuridi, è in assoluto la regina dei crostacei in termini di prelibatezza e di costo. Sono da preferire gli esemplari più piccoli – di peso compreso tra 0,8 e 1 kg – per via delle carni più morbide e delicate che conservano il loro caratteristico arziglio che diminuisce – quasi a scomparire – man mano che gli esemplari si fanno più grandi, presentando carni sempre più asciutte, a volte stoppose. Rispetto all’astice, che si differenzia per la mancanza delle chele, ha carni più sode e saporite, leggermente dolci e per queste peculiarità viene privilegiata per l’esecuzione di piatti freddi. In Italia la varietà più pregiata di aragosta è quella rossa di Sardegna e Sicilia, dalle carni straordinariamente delicate.
Baccalà o Stoccafisso
Il BACCALÀ è un elemento essenziale di molte cucine popolari nelle quali il suo utilizzo si alterna a quello dello stoccafisso. Oltre al merluzzo artico norvegese, vengono usati anche altri tipi merluzzo o pesci appartenenti alla famiglia dei Gadidae, come ad esempio il brosme e il molva. In pratica il baccalà è il merluzzo aperto a libro, liberato già sulla barca di testa, pinne, intestino e coda. Esistono due tipi diversi: il baccalà salato e il baccalà salato ed essiccato. Nel primo caso il pesce viene aperto a libro, liberato già sulla barca di testa, pinne, intestino, coda e messo sotto sale per circa venti giorni; nel secondo, il baccalà salato viene successivamente essiccato in un tunnel per non più di una settimana. La Grand Bank nell’Oceano Atlantico settentrionale al largo dell’isola di Terranova e delle coste del Labrador rappresenta la zona dove probabilmente viene pescato il merluzzo migliore. Il baccalà ha carni più tenere ed un gusto più deciso rispetto allo stoccafisso. Al contrario del baccalà, per la produzione dello
STOCCAFISSO si usa solo il merluzzo artico norvegese chiamato skrei, pulito, pressato ed esposto circa tre mesi sui graticci di legno per essere essiccato dall’aria del mare. Nel Triveneto e nelle altre aree un tempo appartenenti alla Repubblica di Venezia lo stoccafisso prende il nome di baccalà (o bacalà), tanto che il rinomato “Bacalà alla Vicentina” è preparato proprio con il merluzzo essiccato e non con il merluzzo salato. Nel Sud Italia viene invece chiamato “stocco” o “pesce stocco”. La zona in cui si produce lo stoccafisso più pregiato è in Norvegia nelle isole Lofoten. Il migliore è senza dubbio della qualità “Ragno”, maldestra traduzione italiana di Ragnar Riksheim, nome del venditore norvegese che, in passato, garantiva un prodotto di alta qualità. Il nome sembra derivi dalla cittadina norvegese di Stokke, ma secondo alcuni potrebbe discendere dal norvegese “stokkfisk” oppure dall’olandese antico “stocvisch”, cioè pesce bastone, ma a riguardo non vi è alcuna sicurezza etimologica.