Non solo tiramisù. Chi considera i savoiardi come un semplice ingrediente del celebre dolce, perfetti da inzuppare nel caffè, ma un po’ anonimi e insapori, si stupirà delle origini nobili di questi biscotti, nati in tempi antichi e apprezzati da teste coronate e nobili casate.
La storia dei savoiardi
Come dice il nome, l’origine dei savoiardi è legata alla regione francese della Savoia e all’omonima dinastia che vi regnava. Si racconta che la ricetta risalga al 1365, ideata dal cuoco del Conte Amedeo VI per suggellare il legame con l’impero francese e ringraziare Carlo IV che in quell’anno nominò Amedeo VI vicario imperiale, aprendo così ai Savoia un percorso che li porterà prima a diventare duchi e poi re. I soffici biscotti affusolati, preparati con la pasta savoiarda (ossia l’impasto ottenuto con uova, zucchero e farina) piacquero così tanto a corte che si tramandarono nel tempo e si diffusero nelle terre governate da Casa Savoia, in particolare in Piemonte e, con alcune differenze, in Sardegna.
Sebbene la maggior produzione sia in Veneto, i savoiardi sono tipici della pasticceria piemontese e i loro “cugini” pistoccus de caffeis di quella sarda (più grandi e compatti nell’impasto). Entrambi fanno parte dei PAT (Prodotti Agroalimentari Tradizionali) delle rispettive regioni. Altre varianti si trovano in Sicilia, ma sono più biscottati e duri vista la mancanza degli albumi tra gli ingredienti e in Molise dove si chiamano presto fatti e anche questi sono PAT. La ricetta del savoiardo classico è invece disciplinata da un Decreto Ministeriale del 2005 che, al pari del panettone, del pandoro e di altre specialità dolciarie, ne stabilisce ingredienti, forma e lavorazione. Le caratteristiche dei savoiardi sono l’alveolatura minuta e regolare data dall’aria incorporata durante la preparazione, la leggera umidità (compresa tra il 4 e il 12%) e un caratteristico aroma di vaniglia e limone.
Come sono fatti i savoiardi
Gli ingredienti per la ricetta dei savoiardi sono pochi e semplici – farina di frumento, uova, sale e zucchero con aggiunta facoltativa di scorza di limone e aroma di vaniglia – ma a rendere la consistenza spumosa sono le uova, sempre abbondanti (la percentuale minima per legge è al 26%, ma si può arrivare quasi al 50%) e la loro lavorazione: gli albumi, montati a neve ben soda, vanno incorporati al composto di tuorli, zucchero e farina, in modo che in cottura i biscotti gonfino. L’impasto ottenuto si versa in una teglia con stampi preformati a bastoncino delle dimensioni orientative: lunghezza 11 cm – spessore 3 cm – altezza 1,5 cm, ciascuno del peso variabile tra 8 e 9 g. Prima di infornarli, i biscotti vanno spolverizzati con dello zucchero semolato per formare la sottile crosticina in superficie. All’estero, la forma a cilindro schiacciato con gli spigoli smussati ricorda un grosso dito e per questo motivo in inglese vengono detti lady fingers – ‘dita di dama’ – mentre in Francia vengono chiamati biscuits à la cuillère – ‘biscotti a forma di cucchiaio’ – se morbidi, o boudoirs se secchi.
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Se poi si ha la fortuna di assaggiare i savoiardi artigianali che ancora preparano alcune pasticcerie in Piemonte e in Sardegna, si verrà conquistati dalla sofficità, dal profumo elegante e dal gusto delicato, non troppo dolce con sentori di uova e farina. Caratteristiche che li rendono perfetti da accompagnare alla cioccolata o allo zabaione caldi. Sono anche un irrinunciabile componente di dolci al cucchiaio che ne hanno consolidato la fama, primo fra tutti – come detto – il tiramisù in cui l’abbinamento con il caffè e la crema al mascarpone ha conquistato i palati di mezzo mondo, ma anche la zuppa inglese, dove l’alchermes li tinge di un bel rosso porpora e, ultimo ma non ultimo, i diversi tipi di charlotte farcite di frutta o di crema.