Nuovo salotto d’intervista su una notizia del momento: la Candidatura della cucina Italiana come patrimonio immateriale dell’umanità dell’Unesco. E lo facciamo con il professor Alberto Grandi. momento di approfondimento.
L’Italia ha presentato la Candidatura della cucina Italiana come patrimonio immateriale dell’umanità dell’Unesco. Contemporaneamente alla candidatura è uscita un’intervista ad Alberto Grandi sul famoso giornale “Financial Times”, nel quale il professore ha raccontato la storia della cucina Italiana. In molti hanno mal interpretato l’intervista, definendola un attacco ai diritti e una pretesa dell’Italia nell’avere il primato gastronomico.
Il Financial Times
Il Financial Times è un quotidiano economico-finanziario britannico di proprietà della holding giapponese Nikkei, specializzato in cronaca finanziaria e analisi dell’attualità economica. Ha sede a Londra e uffici editoriali in Gran Bretagna, Stati Uniti ed Europa continentale. Nel corso dell’intervista del 23 marzo al Prof. Alberto Grandi racconta che la carbonara, nasce negli anni del dopoguerra, in un reggimento di soldati americani. Che il panettone come oggi lo conosciamo è una recente invenzione industriale, e che “l’artigianalizzazione” è un processo arrivato solo successivamente. Che il Parmigiano Reggiano, poco meno di un secolo fa, era poco stagionato e molto più leggero di quello di oggi, e che quel tipo di lavorazione si è mantenuto ancora così in una particolare provincia del Wisconsin.
L’indignazione non ha tardato ad arrivare, da più fronti: dalla Coldiretti a Salvini, scesi in campo in difesa della cucina Italiana.
Il Professore Alberto Grandi
Alberto Grandi, nato a Mantova nel 1967, è professore all’Università di Parma. Insegna Storia delle imprese, Storia dell’integrazione europea e ha insegnato Storia economica e Storia dell’alimentazione. È diventato colui che ha “smontato” storie e narrazioni sul cibo e di piatti tipici in Italia e non solo.
È autore di circa una quarantina di saggi e monografie in Italia e all’estero e del libro, poi trasformato anche in podcast “Doi, Denominazione di origine inventata”, formato da 12 puntate in cui sfata i miti più interiorizzati della cucina Italiana, uno tra tanti, il mito della carbonara. Il professor Grandi, infatti, sposa la teoria americana che dice che la carbonara nasce durante l’occupazione americana con uova e forniti dai soldati, da lì nacque il piatto che noi tutti conosciamo oggi. Anche l’origine del parmigiano è stata tema di dibattiti e discussioni, poiché nel suo libro il professore ha sostenuto che il formaggio che tutti gli Italiani associano a Reggio Emilia, in realtà sia un prodotto che nasce 100 anni fa da casari Italiani in America.
Il salotto d’intervista
Cosa pensa di questa candidatura?
AG: “Ritengo che la cucina Italiana abbia la dignità di essere riconosciuta come patrimonio immateriale. Oggi ha una reputazione internazionale riconoscibile da tutti. Il pericolo principale della candidatura è quello di cristallizzare la nostra identità gastronomica, poiché è in costante divenire e non un concetto fermo. Pretendere di fossilizzarsi su alcune ricette, non accettando margini di modifiche è un atteggiamento dannoso per l’Italia”.
Potremmo dire che il vero valore aggiunto della cucina Italiana è l’essere una serie di contaminazioni che nessun altro paese ha saputo valorizzare in questo modo?
AG: “Assolutamente. L’errore che stiamo facendo è quello di confondere l’identità con le radici. L’identità è quello che siamo oggi, le radici non è quello che siamo stati ieri, bensì una mescolanza delle scelte prese nel tempo. La nostra cucina ha dunque la caratteristica di essere stata e continuare ad essere, contaminabile. Un esempio tra tanti, l’Italia è il primo consumatore in Europa di sushi”.
Se dovessimo immaginare la cucina Italiana in evoluzione, come la immagina?
AG: “La nostra cucina oggi ha un’identità e una riconoscibilità forte, ma fino a 50 anni fa gli Italiani erano additati come mangiatori soli pasta e pane, non c’era un grande orgoglio gastronomico italiano come oggi. Secondo me questa è la strada da percorrere. Continuare a cambiare, più che le ricette in sé, gli ingredienti, cercando di rimanere in equilibrio con la tradizione”.
Potremmo dunque riscrivere un dossier sulla cucina Italiana e le sue contaminazioni nel corso della storia?
AG: “Sì, ce ne sono state moltissime. Anche quando milioni di Italiani se ne sono andati via dal paese per fame e quando sono tornati hanno apportato modifiche sostanziali, anche dall’America. Senza le invasioni culinarie si rischia una cristallizzazione della cultura gastronomica dannosa per il nostro paese”.