The Rock the kitchen, Il gourmet della cucina underground” è il libro di Andy Shakty (ovvero chef Andrea Misseri, un racconto di una vita tra viaggi, luoghi underground, cucina e musica. Ieri la presentazione a Roma dove abbiamo incontrato lo chef narratore che ci racconta qualcosa in più del suo libro.
La Cucina è come un album dei ricordi, una storia (o mille) da raccontare attraverso piatti e ingredienti, è la creazione di un mondo espressivo personale, di un mondo parallelo o magari underground. La cucina è come la musica ed è fatta di musica. Note come spezie che danno ritmo, cifre stilistiche e aprono mondi e controculture.
Ne sa qualcosa Andy Shakty (ovvero chef Andrea Misseri), prima di tutto cuoco per passione, amante del cibo e della cucina, trasformatosi nel tempo in uno chef, sperimentatore e itinerante, che ha girato il mondo scoprendone suoni e sapori.
Oggi Andy si racconta in un libro autobiografico dove coesistono i tanti luoghi delle controculture underground che ha frequentato e in cui si è immerso, dagli anni Ottanta in poi. Un libro dove pagina dopo pagina troviamo il Messico, l’India, l’Europa, ma anche l’ebbrezza dei festival e dei rave e la solitudine del carcere.
Questo racconto, insieme intimo e corale, prende il titolo di “The Rock the kitchen, Il gourmet della cucina underground”. Scritto insieme a Conni Colavecchio, che ha raccolto le testimonianze e i ricordi di Andy e li ha messi nero su bianco in poco più di 200 pagine. Edito da Agenzia X e presentato ieri (mercoledì 30 novembre) presso Lettere Caffè a Roma, con un assaggio di un piatto del libro, un aperitivo vegano e il dj set finale a cura di Andy Shakty, Tommy kinan e dj Max Gandalf amici e testimoni di tanti eventi musicali e gastronomici.
Il libro Rock in The Kitchen
Il libro potrebbe essere definito un “trip-controcultural-gastronomico che tocca i cinque sensi e cinque continenti. Un viaggio tra le più scatenate cucine rock’n’roll: dai tuguri delle banlieu globali, alle terrazze degli hotel più lussuosi del pianeta, dallo champagne agli scarti di Rebibbia”.
Il libro racconta la vita roccambolesca o meglio dire rock di Andrea, figlio di un’inglese appassionata di cucina internazionale e di un marinaio napoletano, con una nonna profuga d’Africa, ecco che il destino del palato del piccolo Misseri è già tracciato, la gastronomia, specie quella internazionale, farà sempre parte della sua vita. I sapori, il cibo e i fornelli saranno sempre suoi compagni.
Il racconto si dipana tra gli anni degli studi, i primi lavori nei ristoranti, le cucine del jet set romano, gli incontri folkloristici con personaggi poco raccomandabili. Ci sono le ricette di quegli anni, suddivise per capitoli. Ricette che raccontano e appartengono a momenti di vita: dalle stravaganze culinarie di Ugo Tognazzi alle cene a base di cibo rubato nei supermercati di quando conduceva una vita randagia negli squat punk parigini e londinesi.
E poi c’è la musica, che ha fatto da sottofondo ai suoi progetti in cucina e la sperimentazione, tanta sperimentazione, come i piatti allucinanti, progetti culinari nella scena rave, per citarne alcuni risotti alla psilocibina, space cake e spaghetti alla marijuana. Non manca il colpo di scena in questo libro e nella vita, Andy si trova nei guai per impicci di droga e tuto d’un tratto si trova a dilettare i palati dei compagni di carcere, diventando uno chef galeotto a cinque stelle.
Due chiacchiere con Andy
Andy come nasce l’idea di questo libro, o meglio qual è stata l’esigenza di questo racconto di vita, musica e cucina?
A – Quando ero a sociologia la Sapienza nei primi anni ‘90, uno degli argomenti studiati erano i cultural studies sulle subculture giovanili, la ricerca sul campo partì in quegli anni e non era mai terminata, dai primi viaggi musicali, si sono affiancati ricerca e passione per le cucine del mondo. Il libro poi nasce da un suggerimento del mio avvocato, affascinato da questi modi e dal mio modo di raccontarglieli.
La tua vita è un intreccio tra cucina e musica, quanto sei dipendente dalla cucina e quanto dalla musica?
A – Sono un appassionato di cucine nel senso che amo cambiare e gustare nuovi sapori, non nell’innovazione estetica ma più nella varietà dei prodotti, la musica mi accompagna sempre vedo le brigate come una band che va a tempo. Se qualcuno non ce la fa cerco di aiutarlo a tenere il ritmo, più che dipendente mi ritengo un eretico.
E qual è in questa tua forma di eresia il genere musicale che ti rappresenta di più?
A – Il pop psichedelico e l’afrobeat.
Quanto è rock la tua cucina e come la definiresti
A – La cucina popolare è Rock da ogni parte del mondo, la mia cerca di creare le sue varianti come il colore. Amo molto i sapori decisi, quella che si potrebbe chiamare la botta Rock’n roll ! Il Messico, il wasabi, il piccante, lo youzu, il leche de tigre, i pepi, ( peposo , cacio e pepi), harissa, la paprika affumicata, i fermentati .
Qual è stata l’esperienza che ti ha formato di più, rimasta indelebile?
A – Sei anni tra Dillà e Buvette a Roma, ho avuto molta libertà e fatto di tutto e formato tanti cuochi, forse esageravo non mettevo limiti alla mia creatività, non stavo mai a fermo, elaboravo continuamente. Sono stati anni in cui alternavo momenti di ricerca e momenti di incredibile dinamicità.
Quanto le tue ricette e la tua cucina riflettono le tue esperienze di vita?
A – Mi dicono che ho la capacità di riprodurre bene i sapori che incontro nei miei viaggi, esploro sempre e metto in comunicazione realtà diverse.
Una ricetta che per te è un capitolo importante?
A- La brace di calamari alla ‘nduja che poi presentai al baillage della Chain Rotisserie Amphisia all’Hotel Hassler. Ecco questo piatto può dare dipendenza!
Alla fine del libro c’è un manifesto della cucina etica, cosa è per te la cucina etica? E come deve essere e lavorare un cuoco etico?
A – Nel libro do delle indicazioni precise ma anche personali, non sono un estremista delle cucine, ma sicuramente è doveroso (ed etico) non sprecare, creare dei menu più compatti e sostenibili, più territoriali
La ristorazione di oggi secondo te riesce ad essere etica? Ci prova o fa finta?
A – Ahimè poco o nulla, se togliamo gli estremisti vegani e dei circuiti più underground, qualche stellato green, vedo ancora centinaia di menù immensi, con giacenze immense e prodotti abbattuti surgelati per mesi se non anni, tanto spreco. Servirebbero degli ispettori culinari specialmente in città come Roma, dove ai grandi ristoranti si affiancano locali (ancora tanti) dove non sanno fare un hamburger decente.
Scopri il libro Rock in the Kitchen: www.agenziax.it/rock-kitchen