Nel corso del lockdown i sentimenti che hanno prevalso sono stati tanti: paura e incertezza per il domani, dubbi e domande sugli scenari futuri e poi le questioni amministrative, gli aiuti promessi che non si vedono, le casse integrazioni, i nuovi investimenti da fare.
Difficoltà, svantaggi e rischi sono chiari a tutti e forse bisognerebbe darli come punti certi da cui ripartire. Solo così potremmo iscriverci nella categoria degli “ottimisti”, provando a costruire qualcosa di nuovo, a riformulare e concretizzare nuove idee che possono essere soluzioni, aiuti, ma soprattutto incentivi a fare bene e meglio, partendo proprio da quella base certa, che se presa nella sua essenzialità ci farebbe sprofondare in un pessimismo di leopardiana memoria.
La necessità di ripartire
Ma la ristorazione non si può permettere toni negativi, parole oscure e brutti pensieri, sarebbe un controsenso con quello che essa esprime nella sua manifestazione più alta. La ristorazione è amore per il cibo, condivisione, convivialità. In poche parole è il luogo delle cose belle, buone e felici. Ed è proprio questo che i ristoratori devono ricominciare a fare: creare luoghi fatti di cose belle, buone e felici. E ovviamente saperle comunicare. E questo oramai non è più un segreto, ma un altro dato di fatto da cui non si può prescindere.
La comunicazione, di marchio o personale, è stata la grande alleata di questo lockdown. E ora che ci stiamo avvicinando alla data di scadenza di questa quarantena per la ristorazione diventa sempre più importante pensarla in modo razionale e strutturarla in dettaglio. Le idee, le offerte, gli stessi sentimenti hanno bisogno di avere una faccia e una voce.
Comunicare vuol dire continuare a fare marketing
Dal primo giorno è stata la raccomandazione principale: non bisogna sparire. Chiudere temporaneamente un’attività non deve implicare il silenzio. La comunicazione deve essere sempre una attività costante, quel motore sempre acceso che aiuta a rimanere vivi nella memoria e nell’attenzione dei clienti o di chi potrà diventarlo. In questi mesi abbiamo assistito a video lezioni, dirette Instagram dalle case dei grandi chef e non solo, degustazioni virtuali, rubriche di ogni tipo. Una prima forma di “distanti ma vicini”, quando ancora si sperava di riaprire nel giro di poco tempo, condividendo dubbi e preoccupazioni con colleghi e in modo pubblico, lanciando idee e coinvolgendo gli utenti, senza mai tradire personalità e identità.
Eravamo ancora al primo step della fase 1, quando si aspettava di capire quali sarebbero state le misure e cosa sarebbe successo. Man mano che i decreti si susseguivano e le date di riapertura si allontanavano le presenze on line si sono diversificate, passando da una comunicazione in prima persona a quella aziendale.
I social si sono riempiti fino all’inverosimile di dirette di ogni tipo. Dal produttore al sommelier, dallo chef al giornalista, aziende e persone si sono esposte, ci hanno messo la faccia – ora più che mai – per sottolineare con forza la voglia di voler esserci, di non darsi per vinti.
Il delivery e l’asporto
Poi è iniziato il secondo step e da marzo a maggio si è parlato prima di delivery e poi di asporto, due servizi “accessori” complementari. C’è chi li chiama servizi tampone, c’è chi li chiama di sopravvivenza, chi li adotta per continuare a lavorare e per ripagare le spese. Come si è più volte detto servizi di questo tipo non sono risolutivi, ma vanno considerati come paralleli al concetto di ristorazione. In questi giorni la cosa importante è stata tenere oliata la macchina produttiva e la stessa filiera con il rapporto con i fornitori.
L’adozione di questi due servizi impone una differenziazione di comunicazione, cosa non ovvia in quanto non sono servizi sostitutivi l’uno dell’altro, ma sono dedicati a due target diversi. Comunicazione che dovrà rimanere e diventare parallela e sempre più forte con un marketing dedicato che si differenzia da quello del ristorante in sala. Specialmente se quando si riapriranno le porte dei ristoranti, ci saranno di crescita e possibilità di investire.
Il tanto atteso 18 maggio
Da oggi, 18 maggio, in alcune regioni d’Italia molto attività ristorative ripartiranno ma non significa che tutto è e sarà come prima. Cosa accadrà non è facile dirlo, di ipotesi ne sono state fatte tante, di consigli ne abbiamo dati a iosa, il tutto va sempre misurato alle singole realtà, alle loro forze e potenzialità.
Questo non significa rinnegare ciò che c’era prima, ma rivederlo e farlo crescere con soluzioni complementari. C’è l’esperienza in sala, c’è anche il delivery ovviamente laddove c’è una risposta positiva e la formula viene creata ad hoc. Il delivery, infatti, non deve essere un prolungamento del menu classico o della cucina, ma un’altra cucina, un altro menu, un altro servizio, così come qualsiasi altra proposta parallela alla sala che implica una visione di “marchio di ristorazione”.
La fase 2
Con la fase 2 si arriva al terzo step della comunicazione, fondamentale e necessario. Ci si prepara a riaprire con alle spalle ricerca, nuovi piatti studiati, food cost e prezzi, nuova gestione di sala e personale. Ci siamo quasi, ma per essere pronti e vincenti, la riapertura va comunicata per tempo. Non è allo scadere della mezzanotte del primo giugno che deve partire la gara allo slogan più bello o al post social più figo, il segreto sta nell’anticipazione, nel preparare chi ascolta. È stato bravo chi ha sempre raccontato, chi ha dato indizi, chi ha incuriosito e tenuto legati clienti in modo sottile, non invadente.
Oggi in questo nuovo capitolo comunicativo bisogna aggiungere un altro tassello, un altro tema importante a quello finora fatto. Aggiungere e non togliere.
Le novità – e siamo sicuri che ce ne saranno tante – devono essere lanciate a piccole dosi, bisogna far nascere curiosità e appetito, stuzzicare nel cliente la voglia di assaggiarvi, di venirvi a trovare. E lo si può fare in molti modi, c’è la strada istituzionale e patinata, obbligatoria, fatta di servizi fotografici nuovi, di studio visual, di piani editoriali, di sponsorizzate ed email marketing verso i clienti registrati. C’è poi l’ufficio stampa per chi può investire di più e vuole provare un rilancio forte, coinvolgendo il settore nella sua totalità.
Una nuova comunicazione
A questa comunicazione si affianca poi quella istintiva e diretta, che in questo periodo ha dimostrato di funzionare, creando un rapporto confidenziale e quasi intimo tra le parti. Gli chef hanno aperto le loro cucine alle persone e queste sono entrate curiose e affascinate, prima in silenzio, poi cominciando a fare domande. Si è costruito un dialogo che prima non c’era, anche per mancanza di tempo, che sarà ora una leva positiva per il marketing. Se fino ad oggi si è seminato, ora bisogna continuare ad alimentare questo rapporto, curarlo perché darà i suoi frutti nel breve, medio e lungo termine.
Da questa relazione è importante capire chi si ha davanti, solo così nascono le giuste proposte, idee da sviluppare e soprattutto si sceglieranno le parole. Tradotto significa: cercare l’empatia con il nostro “nuovo cliente”. Due saranno poi i valori su cui giocare la partita della comunicazione: i desideri da realizzare e il senso di fiducia con cui legare a sé il cliente.
Le scelte del cliente
Il cliente sceglierà il posto dove andare non solo perché si mangia bene – questo lo sa già – ma perché ora c’è la garanzia della sicurezza degli ambienti: sanificazione, distanze sociale, staff a norma, ecc. Questo argomento, che ci sta anche esasperando da mesi ormai, è ora sostanziale, almeno fin quando non si farà l’abitudine a vivere il ristorante in un certo modo e dando per scontato il rispetto delle regole (nella speranza che non ci sia più bisogno di misure speciali). Le persone vogliono sicurezza e vogliono potersi fidare per vivere in tranquillità il loro momento di evasione.
E secondo punto, le persone hanno bisogno di piacere, di condivisione e di evasione. Tre cose che fanno parte dell’indole umana e sociale e ora più che mai ricercate, visto che finora ci sono state negate. Altro valore che accompagnerà l’argomento “riapertura”, quindi, sono i desideri da realizzare.
In sintesi si riapre, c’è tanta voglia di rivedere i clienti, c’è entusiasmo. Non un copione da recitare, ma sentimenti veri che devono trovare l’empatia del cliente. L’entusiasmo di esserci e di ripartire è stimolo per nuove offerte e proprio dalle proposte sarà misurabile e percepibile. Leggere di un nuovo menu, di nuove formule in cucina sarà un buon traino per gli affezionati, i buongustai e a chi non rinuncia ad un’esperienza di gusto per colpa di una mascherina. E qui il tono of voice farà la differenza. Ciò di cui si ha bisogno è ritrovare quel posto di cui si parlava prima, dove ci sono cose belle, buone e felici, con le dovute misure di sicurezza.