Di sedicenti guru se ne incontrano ogni giorno nei settori più disparati, ma negli ultimi anni gli strateghi del web marketing si moltiplicano come funghi. Le nuove generazioni cavalcano l’onda di un lavoro a loro congeniale, considerando che sono dei nativi digitali, e quelli un po’ più in là con gli anni si sono adeguati al trend. Una cosa è certa: il web marketing è un’esigenza riconosciuta per qualsiasi realtà aziendale e quindi per soddisfare questo bisogno contemporaneo nascono ogni giorno agenzie, free lance, esperti e web strategist. Fin qui niente di strano, fa parte del gioco del mercato ed è giusto che ci sia offerta, concorrenza e cosa più importante competenza.
Quest’ultima parola non sempre, però, trova adeguata collocazione nell’offerta formativa. Si parla di efficacia, strategie, performance, impression, click, like, etc. ma alla base spesso mancano la competenza e la conoscenza della materia da parte di chi fa questo mestiere. Ci si sente spesso dire “devi stare sui social, devi usare instagram che è il nuovo strumento marketing, devi fare delle sponsorizzate”. Tanti imperativi, ma tutti spesso poco performanti. Soprattutto se decliniamo quanto detto nel campo della ristorazione, settore alla moda, che vive una crisi perenne e una concorrenza spietata a tutti i livelli.
Molte ricette che si somigliano, strategie copiate e incollate da un cliente all’altro. Ma se in molti settori la replicabilità può funzionare, nel marketing non è così e nel web marketing ancora meno. Siamo lontani dalle scienze esatte, nonostante i numeri e le statistiche, la componente umana e psicologica del nostro “consumattore” rende spesso le cose imprevedibili. Difficile parlare di teorie e di regole applicabili che funzionano per tutti allo stesso modo, e soprattutto nel web capita di dover sperimentare, monitorare, cambiare fino ad arrivare alla quadratura del cerchio. L’unica cosa che funziona è l’analisi, lo studio di ciò che è l’azienda, la sua concorrenza, per poi definire obiettivi e strategie per raggiungerli. Se prima c’è tutto questo allora c’è una strategia su misura, il famoso tailor made che genera risultati mirati. E tutto ciò denota competenza, professionalità e conoscenza del mercato in cui cerchiamo di operare.
Lo spunto di riflessione per questo discorso nasce dall’aver partecipato lo scorso 26 novembre alla Restaurant Marketing Conference, nell’ambito di Mercato Mediterraneo alla Fiera di Roma. Una giornata di formazione dedicata ai ristoratori e declinata nei vari aspetti fondamentali di questo mestiere e business. Dal management al menu engineering, ai social network al sistema delle recensioni on line passando per le guide e le carte dei vini. Tanti i professionisti ed esperti del settore che si sono alternati sul palco, come Vincenzo Liccardi, Lorenzo Ferrari, Francesco Tapinassi, Paolo Boccacci, Luigi Cremona, Antonio Paolini.
Gli interlocutori erano i ristoratori romani, bramosi di ricevere consigli, di sapere cosa fare per migliorare le loro performance. Tante domande mirate nella speranza di portare a casa la strategia giusta.
Ma alcuni interventi sono sembrati deboli per quel che concerne la sostanza. I ristoratori si sono sentiti dire da un ragazzo col fare da animatore da villaggio turistico che per far crescere il proprio business e per allargare la clientela occorre esser presenti sui social e “presidiare” Instagram, perché con le immagini belle, di qualità, e non quelle che fanno “schifo” si acquisiscono like (e si spera condivisioni); sentirsi dire “tu hai bisogno di un contest o di un influencer”, vedersi confrontati con locali fashion di Londra, scoprire il peso di influencer del fashion system prestati al food e con un cultura enogastronomica ben lontana da ciò che accade nelle cucine può aver disorientato i presenti.
Convincere un ristoratore ad essere un buon imprenditore e comunicatore di se stesso e del suo locale è una delle cose più difficili che possa esserci. Troppo concentrati su fornelli e padelle spesso non capiscono che tutto ciò che ruota intorno ai tavoli, al menu e ai clienti si chiama “azienda” e ha bisogno di regole di gestione, obiettivi e business plan. Convincerlo poi che deve avere una pagina Facebook o Instagram che sappia raccontare la sua filosofia e il suo mondo nel modo giusto e che suo cugino, “quello che sa usare i social”, è la persona meno adatta è un’altra grande sfida per chi fa consulenza e web marketing. Se poi lo si fa nel modo più generico, senza coordinate, riferendosi ad attività che fanno tendenza e di conseguenza vengono ritenute strategiche, diviene poco interessante.
Provate ad immaginare un oste di quartiere che propone un contest o si mette alla ricerca del suo influencer (che non sia Totti o Carlo Verdone): sembra una cosa davvero poco realizzabile. Questo perché la genericità di esposizione dell’argomento ha prevalso sulla scelta di esempi performanti. Parlare al ristoratore italiano significa entrare in una moltitudine di offerte, dalla trattoria di quartiere al bistrot fighetto, dal bar con fast lunch al ristorante pluridecorato, ognuna delle quali vuole la sua declinazione; impone di calarsi soprattutto nella cultura del cibo italiano e dell’accoglienza tipica del nostro paese, che non ha paragoni con l’estero, tanto meno Oltremanica dove il cibo è spesso moda e non cultura, ed i clienti dei ristoranti mangiano soprattutto con gli occhi. In quei luoghi la bellezza delle immagini diviene fondamentale come il ricorrere agli influencer che possono attrarre clienti e followers.
Se l’obiettivo delle giornate di formazione è quello di rendere il ristoratore consapevole del bisogno di una formazione adeguata, è necessario raccontare il web nel modo giusto, con tutte le sue complessità, e non come un sistema replicabile che se attuato genera sicuro business: è necessario ricorrere ad esempi più coerenti, più comprensibili e più vicini al nostro interlocutore. Altrimenti il ristoratore tornerà a casa continuando a pensare che aver affidato la strategia social al cugino sia ancora la carta vincente.