L’idea, lo stimolo a scrivere un articolo dedicato ai piatti unici è nata casualmente qualche sera fa: ho ricevuto l’incarico a recensire un ristorante polinesiano – l’unico di Londra – situato a Mayfair, elegante quartiere commerciale nel cuore della capitale britannica. L’esperienza gastronomica, tutto sommato, può considerarsi positiva, rubricando il Trader Vic’s, questo il nome del locale, nella categoria “non merita il viaggio, ma se in zona, c’è da ritornarci”. Una volta seduto, ho deciso di provare un classico della cucina tahitiana: Moa curry, umara e fei’ha, ossia pollo al curry con patate dolci, papaia e banane. Le dimensioni della pietanza, gli ingredienti e le proprietà – proteine, fibre, sali minerali, carboidrati – mi hanno fornito il destro per una serie di interessanti considerazioni riguardanti i piatti unici di casa nostra.
Negli ultimi cinquant’anni il nostro Paese ha conosciuto la più grande rivoluzione alimentare della sua storia. Se l’Italia è la patria del primo e del secondo, negli ultimi anni, con la schiscetta ed i pranzi in ufficio conseguenti, le cene da preparare in tempi sempre più brevi, sembra essere sulla strada per diventare uno dei tanti Paesi del piatto unico. Oltretutto, scomparso lo spettro della fame che aveva perseguitato i nostri avi, si era andato affermarsi un regime alimentare basato sull’eccesso: di proteine, di grassi, di calorie. La riscoperta del piatto unico risponde quindi al desiderio e alla necessità di rispettare maggiormente il proprio benessere; la ricerca di un’alimentazione sana ed equilibrata non va tuttavia separata dalla curiosità e dal desiderio di “sperimentare”, tipici di chi è attento all’evoluzione dei tempi.
Un pasto completo in un piatto: ecco come si può definire il piatto unico; una sola ricetta in cui fantasia e ingredienti danno il meglio di sé.
Comodo e veloce, ha un fascino conviviale che perdura da secoli e lo rende perfetto in diverse occasioni. Sembra nato oggi, nell’epoca del fast food, della mania delle diete, mentre è sicuramente il piatto più antico. Pensiamo all’epoca della scoperta del fuoco, quando in una specie di paiolo, finivano cereali, legumi e selvaggina o pesce, ma anche alle epoche successive, quando zuppe e polente costituivano il pranzo e la cena per i ceti più poveri. Alla base di questi piatti vi erano quasi sempre cereali e legumi ed il loro scopo primario era quello di saziare, con pochi ingredienti, il maggior numero di persone possibile.
Quando, con il passare dei secoli, si andò creando una spaccatura sempre più evidente tra i ceti abbienti, le cui tavole erano ricche, varie e sostanziose per la povera gente, che poteva permettersi ben poco, il piatto unico era uno status symbol, ma di indigenza. Come si sa, il bisogno aguzza l’ingegno e, se un unico piatto veniva servito nei tre pasti quotidiani, è anche vero che la fantasia e l’abilità riuscivano a creare ricette che ancora oggi rimangono nelle tradizioni regionali.
Come detto, a lungo il piatto unico è stato considerato appannaggio dei poveri: i nostri nonni e bisnonni ricordano ancora quando si riunivano, armati di cucchiaio, intorno al tagliere su cui si versava la polenta fumante, con al centro un sugo di pesce o di carne cui attingere. Era sicuramente un momento di condivisione carico di atmosfera. Quando patate e fagioli prima, pasta e riso poi, si aggiunsero agli ingredienti allora disponibili, sicuramente fu un grande passo avanti, anche per il popolo, che nel suo unico piatto poteva fare convergere sapori e consistenze diverse, con risultati sicuramente più appetitosi.
Forse, se rivolgiamo il nostro sguardo al passato, dovremmo parlare più di “unico piatto” che di “piatto unico”, poiché mentre nel secondo caso si tratta di libera scelta, nel primo era la necessità a dettare le regole.
Per noi italiani la “moda” del piatto unico è piuttosto recente: mentre per la maggior parte degli altri Paesi è una consuetudine quotidiana, nello Stivale rimane un fatto occasionale. Tuttavia nella nostra tradizione non mancano ottimi piatti unici come la pizza, ma anche le zuppe di pesce, i gratin di pasta, i sartù di riso, anche se la nuova tendenza vuole pietanze più leggere, innovative, che si stacchino dal consueto o strizzino l’occhio all’etnico. Il mio piatto unico preferito? Con l’arrivo della bella stagione almeno una volta alla settimana non può mancare “il piatto sartoriano” preparato con pomodori maturi (Pachino, San Marzano o perini, ancor meglio utilizzando un mix di tutti e tre), patate gialle lesse, filetti di acciuga sottolio, un pizzico di sale, il tutto condito con un filo di olio extravergine d’oliva toscano. Pietanza gustosa e salutare. Provateci!