30 marzo ricorre la morte di Pellegrino Artusi e Roberto Mirandola ci racconta la storia di questo illustre gastronomo italiano, per capire perché goda di fama e notorietà imperitura.
Un fine settimana rigenerante, contro il logorio della vita moderna come recitava la pubblicità di un famoso liquore, a volte – almeno per me – si impone. Saranno l’età che avanza, i turni di lavoro, gli imprevisti, i ritardi e le cancellazioni sempre in agguato per chi prende quasi settimanalmente l’aereo come me, ma ho sempre più bisogno di qualche pausa, anche uno o due giorni, per staccare dalla quotidianità. Questa volta ho scelto Bagno di Romagna, piccolo comune sull’Appennino tosco-romagnolo, con annessa cena sabatina al Ristorante Prêt a Porter. Nonostante appartenga all’Unione dei Ristoranti del Buon Ricordo, niente menù e piatto dedicati questa volta: dalla carta delle pietanze proposte da Paolo Teverini ho voluto provare i cappelletti alla moda di Artusi a cui hanno fatto seguito la lombata di coniglio in porchetta con purea di patate e prugne farcite e il dolce Torino, Ricetta n. 649 dell’Artusi. Alla fine, un pasto regale in piena regola. I due richiami ad altrettante ricette del noto gastronomo e la relativa vicinanza al suo paese natale, mi hanno dato lo spunto per scrivere alcune osservazioni sull’autore de La scienza in cucina e l’arte di mangiar bene, il libro italiano di ricette più popolare di sempre tradotto in molte lingue, l’ultima in ordine cronologico, il giapponese.
Pellegrino Artusi, il padre della cucina italiana
Per gli amanti della buona tavola quando si cita Forlimpopoli, comune romagnolo in provincia di Forlì-Cesena, si pensa subito a Pellegrino Artusi. È infatti qui che il 4 agosto 1820 nacque colui che può essere considerato il padre della cucina italiana, il personaggio più citato nella storia della nostra identità culinaria anche da chi non ne conosce più di tanto la biografia. Ecco allora un breve ritratto per conoscere un po’ meglio questo illustre gastronomo e capire perché goda di fama e notorietà imperitura.
Figlio di Agostino, droghiere benestante, nacque in una famiglia numerosa: i genitori ebbero ben tredici figli, nove femmine e quattro maschi, questi ultimi tutti morti in tenera età eccetto Pellegrino, il quale venne battezzato con tale nome in onore del santo forlivese Pellegrino Laziosi.
Artusi fece un percorso di studi irregolare, praticamente da autodidatta perché, come ci racconta nella sua Autobiografia, stabilito di fargli intraprendere la carriera di famiglia, il padre ebbe consiglio che non fosse necessaria tanta istruzione per fare il commerciante. Si costruirà quel fondo d’istruzione inizialmente viaggiando per imparare le pratiche del commercio e, poi, appassionandosi ai classici. Si inserì quindi nell’attività commerciale di famiglia dove, fra libri, stoffe, anici e spezie, condusse una vita tranquilla fino ai trent’anni.
Nel 1851, in seguito a una incursione della banda del brigante Passatore nella loro abitazione, gli Artusi si trasferirono a Firenze dove rilevarono un banco di vendita di seta. Gli affari andarono benissimo: l’importazione dei bachi dalla Romagna e la vendita della seta, di stoffe e tessuti offriva ampi margini di guadagno. Da bottegai di paese, gli Artusi entrarono in contatto con importanti imprenditori serici, si fecero un buon nome nel settore e accumularono ricchezze, arrivando ad amministrare una vera e propria fortuna e consentendo a Pellegrino e alla sua famiglia di vivere una vita agiata.
Autore di saggi e appassionato fautore dell’unità d’Italia e amante del Risorgimento nel 1881, all’età di 61 anni, iniziò a raccogliere le ricette che aveva raccolto durante i suoi viaggi. Artusi era un amante della buona tavola, ma non era un cuoco tantomeno non amava definirsi gastronomo. Osservava, piluccava, assaggiava, valutava, studiava, ma era pur sempre un profano. Per questo, quando decise di scrivere un ricettario pratico, trovò un appoggio fondamentale in Marietta Sabatini, la sua cuoca toscana e in Francesco Ruffilli, il fidato domestico romagnolo.
L’arte di mangiar bene, il manuale di Artusi
Prese così forma il testo, inizialmente composto da 475 ricette, che cambiò per sempre la gastronomia italiana, anche se va detto che l’Italia di riferimento di Artusi è un’Italia centro-settentrionale, toscana e romagnola in primis, mentre è quasi assente il Sud, eccezion fatta per Campania e Sicilia. Marche, Abruzzo, Puglia, Basilicata, Calabria e Sardegna non compaiono.
Artusi faticò non poco a trovare una casa editrice interessata alla sua pubblicazione, decidendo allora – nel 1891 – di stampare il volume a proprie spese, appoggiandosi per la distribuzione all’editore Landi. In poco vendette tempo mille copie esaurendo così la prima edizione. Da lì in avanti fu un successo: nell’arco di venti anni Artusi curò personalmente, sempre pubblicando a proprie spese, quindici edizioni aggiornate in continuazione nel linguaggio e nelle ricette che aumentarono fino a 790. Nel 1911, anno della sua scomparsa – morì a Firenze il 30 marzo – il libro arrivò a 1,2 milioni di copie vendute. Anche dopo la morte le ristampe continuarono senza alcuna modifica al testo. Agli inizi degli anni ’30 le edizioni erano arrivate a trentadue e La scienza in cucina e l’arte di mangiar bene era uno dei libri più letti in Italia insieme a I promessi sposi e a Le avventure di Pinocchio.
Sebbene l’unità d’Italia fosse avvenuta nel 1861, il campanilismo culinario tra territori e regioni differenti era ancora molto forte e radicato nella popolazione che in gran parte non conosceva piatti e tradizioni di luoghi unificati sotto lo stesso regno. Il manuale artusiano fu indubbiamente un punto di riferimento storicamente fondamentale per l’unione culturale e gastronomica del giovane Regno d’Italia poiché al suo interno vennero inserite ricette, anche di dolci, provenienti da quasi tutte le neonate regioni. La borghesia rappresentò un mercato fiorente per l’Artusi: alfabetizzato, curioso di conoscere e impaziente di accrescere la propria cultura in tutti gli ambiti, anche a tavola. Furono loro i primi lettori del volume che divenne una novità dirompente testimoniata dal successo delle vendite e un libro di ricette facile, scritto in un maniera fluida, elegante, armoniose, ma soprattutto comprensibile poco per volta da tutti.
Nel corso degli anni, Forlimpopoli ha celebrato il suo illustre concittadino dedicandogli una statua, un busto, una via, un istituto alberghiero e il complesso di Casa Artusi (la sua casa natale, posta proprio sulla piazza di fronte alla trecentesca rocca Alboronziana, venne demolita negli anni ’60 del secolo scorso) comprendente la biblioteca civica. Ogni anno a fine giugno, poi, viene organizzata la Festa Artusiana, la manifestazione dedicata alla gastronomia e alla cucina domestica dove tra l’altro – e non potrebbe essere altrimenti – vengono riproposte alcune delle ricette tratte dal celebre ricettario. Compresa la mia preferita: la numero 675, Zuppa Inglese. Ma questa è un’altra storia e… l’idea per un altro fine settimana.