Anno del Signore 2004. Sono a Roma da poco più di un anno e mezzo. I colleghi organizzano un’uscita, una cena al ristorante giapponese all’EUR. Non ho mai provato quel tipo di cucina, e mi reco al locale carico di curiosità ed aspettative. Mi viene servito una sorta di galeone Playmobil, in legno, contenente 5-6 rolls di vario tipo. Li mangio, “sanno di poco” (come si direbbe a Napoli), pago circa 40 euro, esco inviperito (eufemismo), con la voglia di invadere il territorio nipponico in cerca di vendetta. Anche se di solito questa frase viene usata per far riferimento ad un altro tipo di esperienza, mai come nel caso della mia prima cena giapponese si può utilizzare il detto “la prima volta non si scorda mai”.
Da quella cena sono passati 15 anni, tanti ristoranti e la mia personale evoluzione in quanto a capacità d’assaggiare e valutare il cibo. Sono stato in altri locali che propongono cucina giapponese, dagli “all you can eat” a serate organizzate dall’Ambasciata del Giappone, passando da cibo dozzinale a manicaretti preparati con grande meticolosità. Ma il mio ultimo contatto con la cucina nipponica ha radicalmente cambiato il mio rapporto nei confronti di nigiri, rolls e sashimi. Sono stato da Otosan, locale aperto da poco più di due mesi nel quartiere Trieste, ristorante “gemello” Okasan, apprezzato riferimento situato nel quartiere Prati.
Ideata e strutturata con una vera Izakaya, la trattoria giapponese, arredata con elementi in legno massello di rovere, Otosan si presente elegante, intimo, autentico. Ma a prescindere dalla bellezza della location, ciò che mi ha fatto particolarmente apprezzare l’esperienza culinaria è stata la passione dei proprietari (veri amanti della cultura nipponica, al punto da metter radici in Giappone), persone competenti che sembrano aver acquisito la rinomata tranquillità ed ospitalità di quel territorio. Già dai primi assaggi colgo in maniera netta la qualità delle materie prime, scoprire che in cucina opera una persona che da 30 anni prepara ricette tipiche e grandi classici, con estrema maestria, dona ai piatti un quid particolare.
Ma la vera svolta avviene al momento della presentazione del Sakè, bevanda che fino a quel momento equiparavo alla nafta. Probabilmente mi era stata servita in modo sbagliato, con la temperatura non idonea, nel bicchiere poco adatto: non so se un solo elemento o la combinazione di più cose aveva creato in me una tale chiusura verso questa bevanda, ma di colpo tutto è cambiato. Il tipo di bottiglia, il racconto dell’etichetta, del nome, l’etimologia di ogni singolo termine, il modo di servire a tavola il sakè, scoprire l’importanza del tipo di bicchiere, della scatola in legno che lo avvolge, il tradizionale gesto che consiste nel bere quanto caduto nel contenitore. Un insieme di momenti, dettagli, attimi, che mi hanno fatto apprezzare la tradizionale preparazione giapponese.
Potrei parlarvi dei piatti, dirvi di quanto sia sorprendente il gioco di temperature nell’Okasan, un rolls con filetto di spigola in tempura ricoperto da mango, alga nori, riso, patata dolce croccante e una fettina di lime, o raccontarvi dei piatti caldi e dei dessert, ma tutto questo verrebbe definito dal popolo della rete uno “spoiler”, quindi non posso far altro che consigliarvi di fare questo viaggio in Giappone, restando a Roma.
Otosan
Via Nemorense 101
Tel. 06 4555 2486
Aperto tutti i giorni a pranzo e a cena