A nord di Roma c’è Mogano, un’oasi gastronomica immersa nel verde.

Cos’è la paura? Un’emozione primaria scatenata dalla percezione di un pericolo reale o immaginario. Viene attribuita a molteplici stati emotivi, come la mancanza di conoscenza verso qualcosa o il senso di sfiducia in sé stessi. Matteo Faenza è un giovane chef che ha aperto le porte della sua cucina nel 2021 e, da quel giorno, grazie a un progetto di famiglia, ha scelto di non avere più paura. Siamo a Formello, alle porte nord di Roma, e il ristorante di Matteo si chiama Mogano.

Il posto é facilmente raggiungibile in auto, contornato da ampi spazi verdi e un comodo parcheggio. Per accedere, si attraversa un lungo viale in ciottolato che porta di fronte al Ritual Lab, il birrificio artigianale di famiglia. É qui che si creano le ricette e si imbottigliano le bevande. Nel 2020, l’apertura del Ritual Tap Room ha permesso di degustare le birre a due passi dal birrificio. Tuttavia, é a piedi che si giunge nel ristorante di Matteo. Mogano x Ritual Lab é un progetto che si propone di affiancare la birra e le sue materie prime ad una tavola fine dining, giocando con il mondo delle fermentazioni ed il riutilizzo dei prodotti provenienti dalla birrificazione. Un concetto familiare, creato dal padre Giovanni e dai fratelli Matteo e Valerio Faenza.

Entrati nel locale, troverete un’atmosfera familiare. Il riutilizzo degli arredi di un noto ristorante stellato romano (Metamorfosi) permette di avere cinque tavoli circondati da eleganza, griglie di legno, luci soffuse e intimità.

Cosa e come si mangia da Mogano

Da Mogano si mangia seguendo uno dei tre percorsi degustazione al buio proposti dallo chef. Il Walk In da 3 portate (60€), il Contaminazione laziale da 5 (80€) e il menù Ispirazione da 8 (100€), con possibilità di optare per uno Chef’s table speciale da 10 corse (120€). Per ognuno di questi, è possibile affidarsi a dei pairing a scelta tra vino, birra o infusi analcolici.  In un pranzo al sole di metà dicembre, optiamo per il secondo, un percorso che esprime chiaramente la volontà dello chef di coniugare le influenze internazionali, assimilate nei numerosi viaggi, ai prodotti locali e di favorire una visione completa del progetto familiare. In abbinamento, scegliamo la selezione di birre artigianali. In un contesto di libera informalità, lo chef ci invita sulla soglia della cucina per un amuse bouche, composto da tre assaggi che ci immergono subito nella volontà di fondere i prodotti della provincia romana con il Sud America. Divertente al palato la chips di banane e parmigiano, fresca e pulita la tartara di fassona con latte di tigre (stile ceviche) e, per finire, gustoso il cono croccante di pasta fillo ripieno di verdure di stagione cotte in diverse consistenze. Iniziare il pranzo in piedi, con vista sulla cucina, mentre lo chef ti racconta le sue intenzioni di commistione gastronomica, è stato un momento diverso e di grande piacevolezza. Un approccio informale, ma elegante, capace di farti sentire  subito a tuo agio.

La spedizione all’interno della contaminazione laziale è solo all’inizio. Tornati al tavolo, arriva il servizio del pane che prevede una piccola pagnotta realizzata con gli scarti di bollitura dell’orzo della birra, accompagnata con mais soffiato, grissini, un extravergine dell’azienda olio San Bartolomeo e un intenso Burro mantecato con colatura di alici. Il tutto, mentre a bordo tavolo lo chef Matteo fila espressamente un fiordilatte  con caglio vaccino locale per comporre la sua prima portata. L’obiettivo è una Caprese, servita con un gazpacho e condita con olio al prezzemolo. Avvolgente, anche per la sua la temperatura tiepida, l’ottima filatura del fiordilatte espresso.

La presentazione dei primi piatti ci incuriosisce, portandoci con la mente tra Inghilterra e Giappone. In sequenza vengono serviti prima dei Ravioli di ‘formaggio Inglese’ e cipolla rossa. Un piatto estetico, servito in una fondina, dal gusto avvolgente ed esplosivo nell’intensità del ripieno scioglievole. Sotto tono la misticanza selvatica e di buon equilibrio il fondo di cipolla rossa arrosto. A seguire, come da itinerario annunciato, arriva quello che per noi è il signature dish del ristorante: il Ramen. Si presenta con un piccolo uovo di quaglia posato delicatamente sulla sommità di un nido di tagliolini all’uovo laccati con del fondo bruno e del burro, immersi in un brodo di pollo e diaframma di manzo marinato e cotto sulla griglia, con a corredo rapa bianca, taccole e baby mais.  Un’interpretazione di ramen appagante, complessa e ben calibrata nella costruzione del sapore, un piatto per cui vale la pena il viaggio.

La mise sul tavolo prevede posate per la carne e annuncia l’ultima corsa prima del dessert e il Manzo, scalogno e ponzu è l’ennesima didascalia di una cucina che cerca nel gioco dei contrasti la sua forma di espressione personale. Morbido e saporito, il manzo viene servito con un finto spicchio di mandarino, composto in realtà da scalogno cotto con succo d’arancia e una salsa ponzu fredda che non prevede la soia, ma l’utilizzo di un legume locale. Un piatto ben fatto: a quanto pare, lo chef sa il fatto suo nella lavorazione delle carni.

Una Granita di rapa rossa, zenzero e arancia con qualche fiore di brassicaceae, riempie una piccola ciotola con sopra una frolla decorata al gel di mango. Un buon pre dessert, pulito e fresco con buone note di acidità, sorprende per tecnica e pensiero.

Il dessert è una vera e propria espressione del limone. Matteo utilizza tutto il frutto, dalla polpa alla scorza, con una tecnica che mette in evidenza la bravura dello chef nell’utilizzo della materia prima e che porta a tavola un limone nel vero senso della parola, con un croccante di cioccolato bianco e scorza candita. Acidità e zuccheri controllati in pochi cucchiai di piacevolezza e avvolgenza fanno di questo dessert la firma a un’attitudine marcata verso la pasticceria.

La paura, per Cartesio, non è altro che un sentimento che limita l’immaginazione. Per Matteo, invece, la paura è uno stimolo al coraggio che lo porta costantemente a sperimentare, creare, unire ingredienti e tecniche, e realizzare piatti con la voglia di stupire in primis sé stesso. Senza paura di sbagliare, ma con la voglia di cercare uno stile che lo renda riconoscibile. Ogni viaggio parte da un’aspettativa, ma la vera scoperta di un luogo sta nella sorpresa. E Mogano una sorpresa lo è stata.

Mogano – Via del Praticello Alto, 7, Formello RM

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