Se andate a cena da Relais Le Jardin Fine Dining Roma vi accorgerete che non è semplice riuscire a trovare un’etichetta per la cucina di Massimo Viglietti, chef executive del ristorante interno dell’Hotel Lord Byron. L’esperienza che vi aspetta qui è unica. Noi l’abbiamo vissuta in prima persona e proviamo a raccontarvela.
È stato definito uno chef rock e irriverente, lo hanno chiamato il pirata, ma Massimo Viglietti non si è mai totalmente riconosciuto in questi appellativi. Aggettivi che forse più che definire uno stile di cucina altamente personale tendono a forzarne un ulteriore significato, alternativo rispetto allo standard, ma pur sempre restrittivo.
Se andate a cena da Relais Le Jardin Fine Dining Roma vi accorgerete che non è semplice riuscire a trovare un’etichetta per la cucina di Massimo Viglietti, che da due anni è lo chef executive del ristorante interno dell’Hotel Lord Byron. L’esperienza che vi aspetta è unica. Unica proprio perché non ricorda niente di ciò che già conoscete, che vi potreste aspettare, che somiglia al concetto diffuso di fine dining.
Negli ultimi tempi il cosiddetto fine dining rischia un po’ di appiattirsi, di parlare la stessa lingua e di puntare alle solite emozioni: nessun brivido o sussulto, ma quella amabile ricerca dell’armonia, l’equilibrio dei sapori che ci piace così tanto e di cui si è scritto anche tanto. Qui a Relais Le Jardin non troverete nulla di tutto ciò. Qui si vive di contrasti, di note acute, alcune quasi da sembrare stonate, ma che servono a creare un ritmo visivo e gustativo, che sa coinvolgere con curiosità. Ed è proprio la curiosità che vi guiderà dalla prima all’ultima portata dei percorsi proposti, non dovete far altro che affidarvi alla scoperta e fidarvi di chi sta ai fornelli. Alle volte è necessario lasciar cadere ogni interrogativo, ogni tentativo di comprensione. Anche perché a ben pensarci è così necessario apporre delle etichette, definire, costringere in delle precise coordinate uno spirito libero come quello di Viglietti, che senza remore rompe gli schemi e ricerca, da sempre, la sua cucina al di là di ogni regola?
Il nuovo menu di Massimo Viglietti, un viaggio senza rotta nel Mediterraneo
E allora l’unica cosa da fare è sedersi a tavola e immergersi nei sapori del nuovo menu che lo chef ha costruito insieme alla sua brigata, composta da Valerio Mercadante e Francesco Verzaro. Un menu che segue il sentiero dell’unicità gastronomica, che piatto dopo piatto riesce a rendere più evidente quel modo così personale di Massimo Viglietti di intendere la cucina e di creare una sua interpretazione del gusto.
Per chi conosce lo chef e lo ha seguito negli anni dalla Francia all’Italia, da Achilli al Parlamento all’ultima esperienza di Taki Off non è nuovo alle sue provocazioni e sperimentazioni. La sua cucina spazia tra tecniche di cottura, materie prime straordinarie, accostamenti stravaganti, giochi di consistenze, dolcezze a acidità che partecipano ad una ricerca costante di sapori nuovi e non decodificabili.
Protagonista di questa stagione è il Mediterraneo nella sua accezione di connessione e contaminazione culturale, un mare che unisce e non separa, un mare in cui l’acqua e la terra dialogano, così come i popoli che lo navigano. Sono questi gli elementi che convivono nell’animo dello chef e si traducono in tanti microcosmi narrati e di cui ogni piatto si fa simbolo. Ecco dunque che il frutto del mare non è attore primario ma elemento del coro insieme alle spezie che arrivano da Oriente e dal Sud del mondo, alla carne, ai formaggi molto presenti e ai vegetali. Tutto si combina, a volte lasciando interdetti, a volte sorprendendo.
Più precisamente il Mediterraneo viene raccontato in tavola da tre differenti percorsi degustativi: “Il Blu del Mare e l’Argento degli Ulivi” da 7 portate; “Da un Balcone, l’Orizzonte e le Nuvole” di 4 portate e il menu vegetariano “Profumo di Voci, Vento e Basilico” di 5 portate. A questi si affianca un menu à la carte che ripercorre alcuni grandi classici della cucina di Viglietti, selezionati in coerenza con il tema dei menu degustazione. Tutti e tre sono dei percorsi che puntano a fondere etnie, culture, tradizioni ed usanze e lo fanno da tre punti di vista diversi e a loro modo privilegiati: quello di un navigatore che osserva le coste del Mediterraneo dalla sua imbarcazione per il primo (che è poi il menu completo della primavera 2024); quello di un osservatore con i piedi sulla terraferma che, dalla propria abitazione vede l’infinitezza delle acque e il punto di congiunzione con il cielo; e infine nel menu vegetariano si concretizza la descrizione delle coste e di tutti i territori che si affacciano sul Mediterraneo.
Un’esperienza unica fatta di contrasti
L’esperienza di questo percorso degustativo amplifica e rafforza il concetto di unicità e di contrasto se “goduto” in relazione con l’ambiente circostante: pareti a specchio, tavoli scuri ottagonali e pregiati marmi qui tutto richiama allo stile Art Déco che caratterizza il Ristorante Relais Le Jardin Fine Dining. Uno stile che contestualizza un’epoca in modo preciso con le sue eleganti geometrie, gli ornamenti estremi e lussuosi, le tappezzerie e i tanti elementi dorati e che non trova agli occhi del commensale la sintonia ipotizzata con il menu. C’è un taglio netto, un’esperienza che si divide tra vista, corpo, gusto e mente: un effetto voluto che riconduce al concetto di unicità di cui abbiamo parlato.
In questa forma di strappo c’è l’essenza di questa esperienza, che non trova rimandi emotivi forti, non vive di amarcord e perde ogni zona comfort. Gli elementi, come l’ostrica e il gorgonzola, o lo sgombro e il cioccolato si combinano come a voler trovare una nuova identità, raccontare altre storie, sicuramente diverse e controcorrente, che tu commensale assapori e ascolti cercando di comprendere la loro evoluzione.
Siamo partiti con “sfoglie di mela, ostrica, gorgonzola, senape al miele e tartufo, uova di salmone e bon bon di mare”; “gambero crudo; manzo marinato; spuma di brie; sedano rapa da accompagnare ad una bisque di gamberi in tazza; “Lenticchie di Castelluccio, caviale e midollo liquido”; “Spaghettini al nero di seppia con salsa di rucola e bottarga” e poi “Petto e coscia di piccione; bietole, riduzione di Americano e salsa di cioccolato al balsamico”.
Lungo le portate del menu abbiamo riconosciuto un rimando continuo tra Oriente e Ponente, le radici liguri (ponentine) dello chef che sono quasi un filo conduttore, la cucina bianca e alcuni caratteri occitani oltre a quel denominatore comune che sono i dettami della mediterraneità. Un percorso in cui palato e pensiero sono strettamente connessi, che punta ai contrasti pungenti, alle predominanze di sapore come accade con gli spaghetti al nero di seppia dove la nota amara diventa determinante e caratterizzante del piatto. La sua arte culinaria tocca la mente, ti occupa il pensiero: Viglietti si esprime per concetti e ideologie e la sua cucina è un pensiero astratto che trova compimento nel gusto, con carattere e personalità massima, senza nessun filtro o adattamento.
Coerenti a questa cucina concettuale e libera anche i dessert, un vero parco giochi. Ci sono i “pop corn, meringa italiana, crema al limone e milk-shake al caramello” rivisitazione di una tarte citron, c’è “idea di Tarte Tatin” e poi una “mousse al basilico con pomodorini flambé. La nota dolce si stempera, non stanca la bocca, ma trasforma l’idea di golosità in gioco, facendo divertire i sensi del commensale.
Libertà massima, consapevolezza e maturità sono queste le tre parole che oggi, dopo questa esperienza a Relais Le Jardin, possiamo forse accostare a Massimo Viglietti. Ma senza pretesa di definizione alcuna, perché una cucina libera non si potrà mai imbrigliare, nemmeno con le parole.
Relais Le Jardin Fine Dining – Via Giuseppe de Notaris, 5 – Roma