Dai food blogger ai food influencer: un passaggio quasi naturale, avvenuto in breve tempo. L’utilizzo del web e dei suoi strumenti ha vissuto un cambiamento, con utenti sempre più connessi e sempre più visual. La conseguenza? Instagram ha rapidamente sovrastato Facebook e Twitter, aprendo l’era del racconto ad ogni costo. Le vite perennemente connesse di personaggi, vip o semplici consumatori che raccontano esperienze, viaggi, momenti e soprattutto cene e pranzi al ristorante: questo fenomeno ha comportato il passaggio dall’esperto allo pseudo-critico, dal blogger al foodlovers, dal “mangio ergo fotografo” all’esibizionista culinario, quello che “deve” far sapere dove si trova e quindi tutti, senza alcuna esclusione, hanno iniziato a lasciare un segno del proprio passaggio al ristorante o nella propria cucina.
Ma si tratta della voglia di far tendenza o di un vero e proprio lavoro? La differenza è evidente: per alcuni è divenuto un lavoro, in quanto “influencer” di un ampio pubblico, ingaggiati anche da aziende di vario tipo; per altri è una tendenza da seguire, quasi in modo ossessivo e maniacale. Per altri ancora la si potrebbe definire una forma di ostentazione a cui i social network “obbligano”, quasi come necessaria testimonianza di un evento o di una esperienza vissuta che senza il resoconto fotografico perderebbero parte del loro valore. Da questo quadro appena tracciato è facile dedurre che ogni utente può essere un micro influencer all’interno del web e della cerchia di utenti da cui è seguito. Ma chi sono gli influencer?
Negli ultimi anni la diffusione del termine influencer è stata rapida e inesorabile. La parola è diventata una qualifica da spendere nell’ambito della comunicazione e del marketing digitale. Volendo cercare una definizione, potremmo utilizzare le parole di Matteo Pogliani, che ha dedicato un libro all’argomento: “Gli influencer sono utenti in grado, grazie alla loro riconosciuta (o considerata tale) competenza e ad una notevole esposizione, di amplificare pareri, messaggi, opinioni, andando così ad influenzare gli utenti. La loro capacità deriva dalla loro reputazione, autorevolezza, conoscenza e dalla costruzione di un corretto personal branding, che ispira fiducia nell’utente”.
Sono dunque l’anello di congiunzione tra azienda e consumatore, o meglio consumattore. Gli utenti infatti sono sempre più informati e attivi, alla ricerca di pareri attendibili prima di acquistare prodotti diventando, allo stesso tempo, parte attiva del processo decisionale, condividendo ed amplificando informazioni. L’influencer diventa così il mezzo attraverso cui si innesca il processo informativo prima dell’acquisto. Un ruolo che molte aziende riconoscono come fondamentale, anche nel settore food e ristorativo. I social media hanno cambiato radicalmente i rapporti tra i consumatori e i brand, è proprio grazie ai social il termine influencer ha acquistato un valore concreto e performante: non viene si identifica un esperto o una figura conosciuta e riconosciuta, ma una persona che ha la capacità di generare trust e di incentivare all’azione.
Se nella moda l’approccio è immediato e intuitivo, nel food le cose sono un po’ diverse. Chi è il food influencer? Il food blogger che cucina e testa prodotti e tecniche di cotture? Colui che va a degustare, in giro per eventi, aziende e cantine? Colui che racconta i ristoranti e i loro piatti o addirittura gli stessi chef? A pensarci bene ognuna di queste figure ha il potere di influenzare le scelte di consumo. Se da una parte i bloggers sono molto attivi sui canali social, postando principalmente foto e video di ricette e consigli di cucina, le celebrities, in particolar modo gli chef, hanno una content strategy più diversificata, in cui alternano contenuti sul mondo food ad altri legati alla loro vita personale e ai loro interessi, riuscendo ugualmente ad appassionare e coinvolgere gli utenti social.
Ciò che risulta particolarmente vincente sul web è la condivisione delle esperienze. È facile dedurre quindi che più che in un esperto culinario o un critico enogastronomico, questa figura esplosa con i social nell’era del #foodporn si incarna in chi è capace di condizionare ciò che ordiniamo al ristorante, grazie alla sola potenza di una foto.
In principio furono i food blogger: nel 1997 nasceva Chow, il primo blog di cucina del web, un luogo virtuale in cui scambiarsi opinioni sui luoghi in cui andare a mangiare, mentre in Italia il primo food blog di successo è stato Cavoletto di Bruxelles, inaugurato nel 2005. È poi arrivata Chiara Maci e da quel momento questo fenomeno ha vissuto una crescita esponenziale. A distanza di anni gli accessi ai blog arrivano direttamente dai social e in particolare da instagram, il “luogo” nel quale gli influencer hanno trovato il loro universo espressivo.
Ma quali sono, se esistono, le regole per poter divenire un food influencer “professionista”? Non esiste nulla di codificato, ma ormai per riuscire a districarsi in questa giungla di informazioni e riuscire a riconoscere figure affidabili, sarebbe necessario sapere quali influencer possono annoverare tra le proprie competenze una riconosciuta e certificata conoscenza del cibo, degli abbinamenti, dei vini, oltre che una grande e autentica passione, senza dimenticare etica, serietà e conoscenza dei meccanismi digitali.
Le conclusioni a cui si giunge sono facilmente intuibili: non si diventa food influencer per caso, come del resto accade in tutti gli altri lavori ed ambiti, se di lavoro vogliamo parlare. Purtroppo però la facilità d’accesso, la “democrazia” e l’immediatezza del web, nonché la fame di notorietà, portano spesso all’improvvisazione di tanti che cercano di costruirsi una credibilità professionale basandosi unicamente sulla regola del “postare tanto, postare sempre”.