Quando basta un’oliva a fare la felicità
C’è un periodo dell’anno in cui la pugliesità che batte dentro questo cuore dipinto di giallorosso, divampa più di ogni altro momento. È l’aria di fine settembre, quella del raccolto proibito che porta sulle tavole del nord barese ad ottobre un prodotto solo per pochi e solo per poco (davvero troppo poco) tempo. Per un mese o forse più, nelle campagne di Molfetta, Bisceglie, Trani, Andria, si colgono le Olive Nolche, o più correttamente note come olive dolci; ma mia madre, come sua madre prima di lei e come tutte le madri pugliesi (che Dio le preservi), le chiamavano l’Nulc. Una vera e propria primizia la cui importanza non sta soltanto nel gusto, unico nel suo genere con quella boccata amarognola e quel retrogusto dolce e fruttato, ma anche nella quantità del prodotto ottenuta rigorosamente sottobanco, quasi trafugata dalle tasche dei contadini come vero e proprio oro in Terra di Puglia. I nostri nonni le contavano, una ad una, le mettevano sottosale per farle durare più a lungo, oppure le friggevano in sfrigolanti intingoli di olio e sale. Le piccole, nere e perfettamente tonde olive nolche, sono come caramelle salate per bambini cresciuti. Una tira l’altra! …E mai luogo comune nella lingua italiana fu più appropriato.
Immaginate dunque la felicità e il puro gaudio nel riceverle di mano in mano, come un prezioso sapere culinario che è solo per pochi. E immaginate il godimento, con punte di piacere orgasmiche quando alla sera, dopo una giornata di lavoro, seduti intorno alla tavola si dava fondo al tegame con un fragrante filone di pane ad accompagnarle. Ogni famiglia pugliese che si rispetti le cuoce con il metodo più semplice, la frittura in olio e abbondante sale, ma ultimamente, grazie ad un vero e proprio lavoro di amichevole mercato nero, siamo riusciti ad averne una buona quantità che ha contribuito ad una sperimentazione culinaria nel campo. Il nostro fidato pusher di cibarie (Grazie M.!), è riuscito a portarne una sacchetta niente meno che a Roma, dove l’nulc sono più che ignote.
Così, con fare alchemico, abbiamo immaginato nuove ricette e in un baleno in padella soffriggeva l’olio con della Cipolla Rossa di Tropea (anche questa, che Dio la preservi sempre). Immediatamente una manciata di pomodorini datterini a pezzi è stata aggiunta al soffritto, condita con sale e un po’ di pepe e nel punto culminante, sono state aggiunte le olive che hanno iniziato a gonfiarsi e a riprendere vigore in cottura. Per coronare il tutto, abbiamo terminato con un cucchiaino di zucchero di canna che ha caramellato le olive, conservando il loro rustico principio amaro cristallizzato in un pomodoro zuccherino. Un piacere solo per pochi, di cui la nostra cara nonna biscegliese sarebbe sicuramente andata fiera.
Assaporandole rasentavamo la commozione al dolce pensiero di un tempo che fu e che non potrà tornare, se non attraverso il ricordo di odori e sapori che vengono da lontano e lontano ci riportano. Indagare nella memoria è un dovere che spesso si rivela piacere. Provateci! E fatelo con lo spirito di chi in fondo ha una missione da compiere. Perché per ogni generazione che passa, è sempre meno il sapere che resta.