Una sera trascorsa a farsi cullare dal mare calmo interpretato da Lele Usai, un capitano atipico al comando de Il Tino. Un percorso degustazione che ti fa giocare con il sapore del mare.
Avete presente quei mari tropicali dove le acque sembrano sempre calme e invitanti nel godersi quello sciabordio che ti ninnola in uno stato di beatitudine? Ecco, di solito quei paradisi custodiscono nelle profondità delle correnti fortissime che agitano e garantiscono la vita di un intero ecosistema. Ed è così, esattamente così, che mi sembra di aver vissuto il mare di un capitano atipico. Di quelli che non navigano.
Ero in una cambusa elegante, essenziale nella pulizia di un ambiente irenico, senza eccessi e capace di farti sentire esattamente dove hai immaginato di andare. Non ho indagato quanto esattamente fossi seduto sulla terra ferma o sulla stabilità granitica di una chiatta che, in principio di continuità, disegna gli ormeggi dei cantieri navali lungo le acque teverine di Isola Sacra, a Fiumicino. Di fatto, però, dopo un breve vialetto e qualche gradino affacciato ai riflessi delle barche nell’acqua, so per certo di essere entrato nel ristorante Il Tino. Un posto dove l’aria di mare si respira e dove entrando, superando l’ingresso, rimoduli te stesso all’accoglienza di una sala ampia con in fondo la trasversalità di una cucina a vista senza ombre. Parliamo di 6/8 tavoli di ampio respiro, di un vestito bianco e luminoso, ma non accecante, con un servizio al femminile di grazia che nello scuro trova il giusto contrasto a un’eleganza leggera.
Il Capitano Lele Usai e i suoi menu
A guidare ragazzi veloci in tonalità di tortora c’è un capitano coi piedi per terra che risponde al nome di Daniele Usai, “Lele” per tutti. Uno di quei gastronauti che nelle rotte di una realizzazione continua hanno portato per primi in Italia le tecniche di maturazione del pesce. Perfezionandole sempre di più. Lui e il mare vivono un rapporto di rispetto che in cucina si trasforma in una sfida continua nella misurazione di un valore reciproco. Un po’ come se a turno si dicessero “vediamo cosa sai darmi” e “vediamo cosa sai farci”.
Il menu prevede due percorsi degustazione e una scelta condizionata alla carta nel numero di portate. Almeno d’impostazione, perché le variazioni proposte sono state accolte senza colpo ferire. Prima Boa è un 7 portate che racconta “La Partenza, la Scoperta, l’Emozione e l’Adrenalina”, la Regata “Daniele Usai” è invece un 9 portate che ti porta nella “Gara Completa” tra “Salti di Vento” e “Nuove Boe”. Aggiungendo due piatti della carta al menu Prima Boa, ho ricevuto al tavolo una Regata personalizzata che è andata così.
Una degustazione per giocare con i sapori del mare
L’aperitivo al tavolo è un drink dalle note botaniche e dai colori pastello, delicato apripista agli sbalzi di assestamento tra tecnica, ricerca e gusto di una serie di piatti la cui stella detta l’orientamento.
Tra le portate di inizio colpisce nel suo complesso la Seppia e Scarola, un intenso gioco di consistenze dai sapori ben definiti e sostenuti dalle salse in decorazione. I Bottoncini alla mela, Colatura di alici riserva e brodo di Murena, servito a parte da sorseggiare in abbinamento, rimangono in bocca come piccole deflagrazioni controllate e continue. La rotondità ruffiana e sorprendente allo stesso tempo di questo piatto, si lascia masticare in slow motion per riuscire a dare profondità ai contrasti che si susseguono dal dolce al balsamico, dal piccante al sapido. Perfetta l’armonia vivace con la salsa yuzu kosho che li accompagna.
Tra i secondi poi si annidano i piatti migliori della serata, perché il Merluzzo, ostrica e mandorle, arriva come una variegata compilation di sapide umidità dai toni vegetali. Quasi tutto al naturale e in cotture essenziali, con al centro non solo l’autenticità del gusto, ma il rispetto per le consistenze e le note sapide originali. La Bouillabaisse “Omaggio a Gerard Passedat” è infine la marsigliese di Lele Usai, un tributo iconico alla cucina di Marsiglia e della Famiglia Passedat che la celebra ai massimi livelli. Un piatto dove l’intensità della salsa in casseruola avvolge tutte le sfumature di un piatto completo e complesso, con spigolature che rimangono a fare da risonanza in una lunga persistenza aromatica.
Un pre-dessert, forse un po’ grasso, apre a un dolce accademico che rimane coerente alla costruzione del menu. Nel complesso un percorso dall’estetica rassicurante in una palette di colori caldi e pastello, con delle pressioni di gusto a spingere il palato verso profondità da scoprire a ogni morso. Magistrale utilizzo di spezie e botaniche, spesso coltivate in autonomia, con guizzi ammiccanti al fusion.
Più che una nave in continua navigazione verso se stessa, Il Tino è un approdo solido che offre orizzonti sempre nuovi. La squadra è geometrica e l’impressione a fine esperienza è quella di esserti divertito a giocare col sapore del mare.