Andrea Camilleri ci ha lasciati e con lui se ne va un grande artigiano di storie, uno scrittore che amava raccontare, anche quando non poteva più scrivere, ma che più di ogni altra cosa amava giocare con la lingua e gli intrecci. Ci mancherà quella sua voce roca impastata di fumo, quel dialetto che ha preso il sopravvento sulla lingua italiana, la fotografia di una Sicilia storica e contemporanea, immobile nei suoi paesaggi, nei suoi profumi, nel cibo. E poi ci mancherà lui, Salvo Moltabano, il commissario più amato, quasi come Poirot, Maigret, Pepe Carvalho, Nero Wolfe.
Il commissario Montalbano
Un personaggio entrato nelle case di tutti noi, volenti o nolenti, prima dalle pagine di un libro, poi con la fiction in tv, divenendo quasi un amico, in cui riconoscere pregi e difetti di chi cerca di essere a suo modo un bravo poliziotto, umano fino in fondo e mai un super eroe.
Ma uno dei pregi più grandi di Montalbano non è stata tanto l’ideale lotta contro il crimine o la mafia, ma l’essere diventato nel tempo un vero e proprio strumento di marketing territoriale. Un personaggio che ha con i suoi luoghi e l’amore viscerale per il buon cibo saputo valorizzare un angolo di Sicilia o forse l’intera isola, riaccendendo l’attenzione sulle tradizioni artigiane, vinicole e gastronomiche, rilanciando il turismo e distraendoci in senso positivo da un’immagine stereotipata di una regione immobile e problematica.
Tutto inizia nel 1999 con la messa in onda dei primi episodi delle avventure del commissario di che non solo registrano anno dopo anno, anche nelle repliche, milioni di telespettatori fidelizzati, ma un boom di crescite nel tempo di visite turistiche.
I dati del successo
Si può parlare di un vero e proprio effetto Montalbano, che dura da quasi 18 anni. Secondo i dati il turismo in Sicilia e la sua “attrattiva” nel sud-est è cresciuto, dal 1998, al ritmo del 12-14% l’anno e se nel 2014 nell’area iblea si registrano 829.000 turisti (414.000 italiani e 415.000 stranieri), nel 2017 le presenze passano a 1.200.000 con un 48 % in più. La provincia di Ragusa con il suo territorio di nicchia si è ritrovato a competere, vincendo anche, con quelli da sempre reputati i luoghi culto del turismo siciliano: Siracusa, Agrigento, Taormina, Palermo, isole Eolie.
La Sicilia di Montalbano
I luoghi di Montalbano sono gli scenari delle sue indagini, delle sue abitudini, delle sue lunghe passeggiate, delle “sciarratine” con Livia o con Catarella. Se Andrea Camilleri, ha ambientato i suoi racconti nei più importanti angoli dell’agrigentino, come Porte Empedocle, Sciacca, Menfi, inventandone i nomi ma conservandone le fedeli descrizioni, la tv per logiche di riprese ha trasformato luoghi come Punta Secca nella celebre Marinella con la casa di Montalbano, Donnalucata in Marina di Vigata, Ragusa in Montelusa, il castello di Donnafugata nella casa di Balduccio Sinagra, la Fornace Penna nella famosa Mannara, il Municipio di Scicli nel commissariato.
Simbolo di questo enorme successo e di questa rivitalizzazione turistica è la casa di Montalbano, che ha portato Punta Secca a essere conosciuta in tutto il mondo, in un posto dove di villeggianti fino a vent’anni fa non ce n’era nemmeno l’ombra. Oggi invece la villetta in Corso Aldo Moro 44, che altro non è che un B&B, è meta di migliaia di appassionati della serie, che arrivano fin laggiù anche solo per scattare una foto davanti alla terrazza del commissario.
Montalbano e il cibo
Tra i luoghi di Montalbano due sono quelli tra i suoi preferiti: l’osteria San Calogero teatro di lauti pranzi e cene nei primi romanzi e successivamente la trattoria a mare “da Enzo” e anche in questo caso non si parla di set, ma di ristoranti veri e propri dove i turisti fanno la fila per poter mangiare i piatti amati dal Commissario.
“All’osteria San Calogero lo rispettavano, non tanto perché fosse il commissario quanto perché era un buon cliente, di quelli che sanno apprezzare”.
La tradizione culinaria siciliana
Montalbano non è quindi un comune commensale, ha fatto riscoprire non solo la cucina siciliana al resto d’Italia, ma una profonda ritualità e rispetto per il cibo. Pranzare insieme al commissario significa entrare in una dimensione intima e silenziosa con i piatti cucinati. L’eroe di Camilleri è un intenditore, un gourmand della tradizione, dalla pasta ‘ncasciata di Adelina, alla pasta coi broccoli o con le sarde, le sarde a beccafico, i crudi di mare, le triglie fresche fritte, passando per gli arancini, i cannoli siciliani e la frutta martorana o le cassate ogni ricetta tipica rivive con famelica energia nei vari romanzi.
Non esiste avventura senza un menu del giorno dedicato, con cui Salvo Montalbano, non solo placa la sua fame, ma vive una sorta di godimento del palato e della mente. Nel suo solitario silenzio (vietato parlare se si è in due), ogni forchettata è un dialogo profondo con quella creazione, con quella materia prima magistralmente trasformata che lo fa letteralmente evadere.
Il cibo di strada
Ecco nuovamente l’effetto Montalbano. Una riscoperta totale della tradizione: materie prime povere, cibo di strada, ricette dei nonni tutto torna fortemente di moda, cercato e voluto, da chi legge le storie del commissario. Ma ancora di più si scopre il piacere della tavola, quello lento, il piacere di assaggiare e gustare, di vivere la cucina in un equilibrio tra la religiosa devozione e l’eros.
“L’antipasto fatto solo di polipi alla strascinasali parse fatto di mare condensato che si squagliava appena dintra alla vucca. La pasta col nìvuro di siccia poteva battersi degnamente con quella di Calogero. E nel misto di triglie, spigole e orate alla griglia il commissario ritrovò quel paradisiaco sapore che aveva temuto perso per sempre. Un motivo principiò a sonargli dintra la testa, una specie di marcia trionfale. Si stinnicchiò, beato, sulla seggia. Appresso tirò un respiro funnuto.
Dopo lunga e perigliosa navigazione, Ulisse finalmenti aviva attrovato la sò tanto circata Itaca”.