Un cuore libero, un animo semplice, un sapiente e accorto agricoltore innamorato della sua terra. È Fabrizio Valente, uno dei pochi custodi che ancora conservano e tramandano gli antichi saperi legati alla mamma di tutti grani: il grano Solina. La definisce la sua “fidanzata vegetale”, fedele compagna di vita e nel lavoro, perché dalla Solina, Fabrizio, non è mai stato tradito. Lui che da vent’anni insieme ad altri produttori si occupa di mantenere viva questa varietà antica di grano. La testimonianza del nostro ospite parte da Tagliacozzo, suo paese d’origine e terzo comune più grande per estensione della Marsica, regione storica dell’Abruzzo montano dove da secoli viene coltivato il grano Solina.
Le prime piantagioni risalgono al XVI secolo, destinate ai campi più aridi e difficili da lavorare e per tale motivo lasciate alle zappe delle povere – quanto caparbie – famiglie contadine abruzzesi. Le terre più fertili erano appannaggio dei baroni alla cui scarsa dedizione non corrispondeva – quando si dice la “meritocrazia” – la stessa qualità del prodotto. Una storia centenaria fatta di battaglie, contestazioni, fatica e tanta resilienza da parte di pochi che per anni hanno dovuto combattere le avversità climatiche, la povertà economica, lo spopolamento delle campagne, l’assenza di strade e ponti che ne facilitassero la diffusione nel territorio circostante.
Sebbene già atti notarili testimoniassero che nel 1700 uno dei migliori pani del regno di Napoli venisse fatto con la Solina, bisognerà attendere i primi anni 2000 per vedere crescere attorno a questo grano di tipo tenero forme fortunate di commercio. Le opere di valorizzazione sviluppate in tempi recenti sul piano della comunicazione, della produzione e della trasformazione, hanno richiamato l’attenzione di tutta la filiera, fatta di mugnai, panificatori, pasticceri, consumatori e ristoratori che ne apprezzano l’altissima qualità, riscoprendo usi e potenzialità di vendita sul mercato.
Merito anche della realtà consortile inaugurata tra il 2000 e il 2003 dallo stesso Fabrizio in sinergia con Donato Silveri, Giulio Petronio, Tonino de Santis: colonne del consorzio, che con duro lavoro hanno riunito gli agricoltori di tutta la provincia dell’Aquila e di parte delle province di Chieti, Pescara e Teramo, impegnati a coltivare la Solina secondo i metodi e le regole propri dell’agricoltura biologica. Protagonisti in campo da oltre trent’anni “considerati dei pazzi – racconta Fabrizio – dalla società agricola del tempo per cui fare agricoltura era far altro: coincideva con il concime, con il diserbo, poiché la finalità del cibo era sviluppare un’industria. Ma il cibo – ammonisce Valente – non è un’industria…”
Il lavoro del Consorzio Produttori Solina d’Abruzzo ne ha rafforzato non solo l’immagine all’esterno, ma la conoscenza al settore accademico, divulgandone gli aspetti organolettici, storici e genetici. Inserita dall’ONU tra i dieci prodotti alimentari di montagna più rari e preziosi di tutto il mondo, la varietà Solina è stata oggetto di studio da parte della Commissione Europea, che l’ha inserita nei progetti dedicati al recupero, alla salvaguardia e alla valorizzazione del patrimonio europeo delle risorse genetiche in agricoltura. Ma la celebrità recuperata da questo grano autoctono non si ferma qui: dalle aule di scienziati e biologi alle cucine più rinomate dello Stivale. Basti pensare alla scelta promossa dallo chef pluristellato Niko Romito, che – vuoi per le caratteristiche sensoriali, uniche e profumatissime, vuoi per una giustificata forma di campanilismo – ha inserito la farina di Solina in miscela con altri grani antichi per realizzare il suo “pane perfetto”. Ma è proprio per queste implicazioni che ad “antico” Fabrizio preferisce usare la parola “moderno” perché – come spiega ai microfoni di Slow Foodies – “anche la Solina, come i grani ad oggi utilizzati, hanno subito l’evoluzione dei tempi e si sono adattati alle nuove tecniche per essere presenti sulle nostre tavole”. Sfatiamo allora l’immaginario collettivo che associa un senso nostalgico ed “extra-ordinario” al consumo di questi prodotti. Al contrario, i grani moderni come la Solina, non sono frutti sepolti e dimenticati, non appartengono ad un passato remoto al quale ritornare: piuttosto, sono opportunità che guardano al futuro e dalle quali ricominciare.
[Foto: eccellenzedabruzzo.it]