La Pastiera Napoletana: inimitabile, generosa, regale ma anche del popolo, quasi un’entità a sé…e mi raccomando, non chiamatela crostata! Nuovo appuntamento con #Sweetside dedicato ovviamente alla prossima Pasqua e al dolce tradizionale simbolo di questa festa.
Napoli, sempre e comunque, perché quando si parla di pasticceria è molto facile ritrovarsi a viaggiare con la testa fra i vicoli di San Gregorio Armeno o Posillipo. Se c’è una regina a Napoli, dopo la pizza [ca va sans dire], è senza dubbio la Pastiera.
Non si sa bene come definirla, è riduttivo chiamarla dolce, non è una torta e assolutamente non è una crostata! La Pastiera è un qualcosa a sé, è pastiera e basta, con quella frolla forte di sugna che contiene la pesantezza (parliamo di peso specifico) di quel ripieno così particolare.
Ingredienti poveri, rustici, per niente delicati, la Pastiera è fatta con gli ingredienti di quel popolo devoto alla generosità e alla pienezza dei sapori: uova, grano cotto, sugna o strutto come più vi piace chiamarlo, ricotta di pecora, l’araba cannella e un tocco di charme (come solo i napoletani sanno fare) dato dall’acqua di millefiori o acqua di fiori d’arancio. Equilibrio che non ammette errori, altrimenti tutto è perduto, rovinato, quasi immangiabile.
La Dea Partenope VS suore benedettine di San Gregorio Armeno.
Dolci del popolo, quindi dolci pieni di ricami su leggende o verità. La tradizione italiana dolce e salata si basa sul tramandare, cambiare, rivedere e personalizzare una ricetta, sempre nel rispetto dei suoi fondamentali ma di conseguenza anche le storie legate ad essa ci vengono raccontate tra finzione e realtà.
Chissà quali mani hanno dato vita alla Pastiera? Pare che le suore benedettine del convento di San Gregorio Armeno – la strada arcinota come “la via dei presepi” durante il XVI cercavano un dolce che rappresentasse la morte e la resurrezione di Cristo. Prendendo ingredienti comuni ad altre preparazioni dolci napoletani, venne fuori la pastiera, ben presto dolce preferito dagli aristocratici napoletani, che ne richiedevano in grande quantità.
I napoletani amano molto la leggenda pagana che vede protagonista la sirena Partenope, che elesse il golfo della città come sua “abitazione”; per ingraziarsi la divinità, la leggenda continua narrando delle sette fanciulle che portarono alla sirena sette simbolici doni: farina, grano, zucchero, ricotta, acqua di fiori d’arancio, uova, spezie varie. Un’altra leggenda partenopea è sempre legata al mare, ma vede come protagonisti le mogli dei pescatori. Queste, si dice, solevano lasciare sul bagnasciuga i famosi sette ingredienti come “dono al mare”, affinché i loro mariti ritornassero sani, salvi e con le reti piene. Un giorno le mogli videro ritornare non solo i loro mariti con le reti piene, ma si videro restituire dal mare una pastiera bell’e pronta. Qualcuno dice che fosse “la merenda dei pescatori” e che quindi il nome pastiera derivi da pasta ‘aier, pasta di ieri.
#SWEETSIDE – Il Babà è una cosa seria!
La Pastiera nell’antichità Classica.
Se siete stati in Grecia e avete provato i loro dolci, vi sarete sicuramente imbattuti in quelli al formaggio.Proprio sull’isola di Samos nei tanti scavi archeologici sono stati ritrovati i primi stampi che servivano per mettere in forma il formaggio. Testimonianze scritte del 230 DC narrano di come veniva preparato il “dolce al formaggio”: veniva praticamente pestato in un mortaio questo formaggio molto asciutto al quale si aggiungeva miele, farina e il grano, per poi essere cotto sul fuoco e poi mangiato freddo. Ovviamente la nostra attenzione cade sull’uso del grano, che ci fa tornare a casa e pensare subito alla Pastiera, ed è uno dei pochi dolci al mondo dove si usa il grano cotto nella farcitura. L’equivalente nostro formaggio è la ricotta di pecora (o di mucca) sicuramente più cremosa e delicata dei formaggi dell’antichità greca, simili forse ad un’odierna Feta.
Anche nell’Impero Romano venivano preparate in modo simile le torte al formaggio, note come “Libuma o Placenta”, sempre a base di formaggio molto probabilmente già simili alla ricotta, vista la forte tradizione sulla ricotta romana di pecora.
Ci sono equilibri ben precisi per fare una Pastiera come Dio comanda, si sa che con pochi ingredienti è facile sbagliare, soprattutto se sono molto semplici e di natura povera. Il primo grande bivio è quello della frolla: strutto o burro? Si dovrebbe essere ferrei e seguire la tradizione ma sicuramente se non è gradito l’elemento di origine animale, bisogna ricorrere al burro; ovviamente si avranno due strutture diverse, perché una frolla cambia totalmente a seconda del grasso che la lega. L< cosa fondamentale è non aspettarsi o ricercare ricette di frollo croccante perché nella Pastiera vincerà sempre il ripieno: guscio e crema devono fondersi dopo ore di riposo e diventare quasi un tutt’uno, sfiorano la stessa consistenza. Se non avete mai provato una frolla allo strutto questa è l’occasione per farlo e rendersi conto quanto è interessante questo grasso ancestrale nella frolla.
La Pastiera: il Ripieno
Ricotta di pecora freschissima e parzialmente asciugata dal suo siero, non c’è bisogno di averla troppo compatta, canditi di qualità altissima (morbidi e carnosi), cannella per profumare e poi il tocco vero: l’acqua di fiori d’arancio o millefiori. Questo “aroma” farà la differenza, è questo che rende “Pastiera” una Pastiera. La contaminazione araba ci ha regalato olii essenziali e spezie fantastiche e in questo dolce troviamo forse la più intensa fragranza, dopo l’acqua di rose, che va dosata contando ogni singola goccia per avere una profumazione e gusto perfetti; purtroppo il dosaggio sbagliato in eccesso può rovinare il sapore della crema dandole quello sgradevole e pungente sapore che in gergo si dice “saponetta”, ossia un qualcosa che porta verso il non commestibile.
La domanda più frequente: “…possibile che sia così facile?”
La risposta è SI, è facilissimo fare la Pastiera. Spesso capita di provare pastiere che nascono dalla ricetta trovata sul barattolo del grano cotto, che hanno un gusto e una consistenza perfette. Non servono passaggi da maestro bisogna solo scegliere ingredienti giusti, dosarli bene ma soprattutto aspettare, saper attendere: perché la pastiera non è buona subito, va sfornata, fatta freddare nel “ruoto” (la teglia in alluminio) e lasciata li ad insaporirsi, creare il suo Umami o come si dice “’mpurpà”, ossia impregnare, ed ammorbidirsi al punto giusto. Le pastiere vengono preparate rigorosamente diversi giorni prima della Pasqua per essere gustate nella loro massima espressione. E’ sicuramente un dolce legato alla Pasqua ma ormai è facile trovarla tutto l’anno sui banchi di pasticcerie e forni, ma soprattutto fino a qualche anno fa questa “non crostata” si poteva trovare con facilità da Roma in giù e difficilmente in alte regioni d’Italia.
Fortunatamente la Pastiera adesso è diventata uno dei dolci classici italiani più apprezzati e si è guadagnata il suo posto vicino alle Uova di cioccolato e alle grandi colombe artigianali, anche nelle vetrine di Milano, Torino, Firenze e molto probabilmente anche in grandi città del mondo, dove un po’ di Napoli ci sta sempre.
Possiamo quindi gustarla in qualsiasi posto vogliamo, però una fetta di Pastiera mangiata a casa di una famiglia partenopea o passeggiando su Via Toledo e accompagnata da un caffè serio, avrà sempre un sapore diverso…c’è poco ra fa!