Se sei di Roma o dintorni, l’esperienza a La Galleria di Sopra è un regalo da doversi concedere almeno una volta nella vita. Già il nome richiama quell’idea di soffitta, solitamente situata al piano “di sopra”, affollata di affetti del passato che ci si rifiuta di buttare via. Le trovi nelle cascine di campagna o nelle mansarde di provincia, negli scantinati di vecchi magazzini o semplicemente nei ricordi dell’infanzia.
Forse un assist un po’ nostalgico, ma che spero mi concederete per introdurvi alla cena a La Galleria di Sopra.
Partire dai ricordi per valorizzare il territorio
Protagonisti del racconto, i fratelli Andrea e Claudio Carfagna. Rispettivamente sommelier e chef del ristorante che dal 2003 ha provato a cambiare i connotati e le consuetudini delle tavole dei Castelli. Claudio e Andrea sono i classici ragazzi ad avere avuto il privilegio di crescere lontano dalle luci della città ma all’ombra di castagni, ciliegi, querce e sorbi. Affezionati alle tradizioni della cucina romana, il primo ai fornelli e il secondo in sala, hanno dato vita a un “tacco-punta” che funziona. È stato Andrea a credere per primo nel progetto di ristorazione, in attesa che un Claudio vent’enne e scanzonato, entrasse dalla porta principale per rivoluzionare la cucina de La Galleria di Sopra. Figlio delle domeniche trascorse in famiglia nella “casina di caccia” – rifugio ideale per i trofei del padre e per i pranzi a base di tagliatelle e beccaccia – Claudio in poco tempo ha affinato tecnica e metodo, rivelandosi un promettente talento dei Colli Albani.
Obiettivo dei Carfagna è di valorizzare il cibo legato alle tradizioni del territorio, con i suoi prodotti e produttori, attraverso uno stile nuovo e contemporaneo. Un’intuizione che è più una sfida considerando il contesto, che a certe proposte non è abituato, ma che si percepisce già dalla storia del ristorante e dall’arredamento ricercato.
L’arredamento tra toponomastica e design.
Incastonato nel tridente tra Piazza San Paolo e la via che collegava Castel Gandolfo ad Albano, La Galleria di Sopra è un piccolo gioiello tra le vie del centro storico. Ricavato da un ex fienile di un convento di clausura del XVII secolo, si sviluppa in tre ambienti: una cantina cunicolare sotterranea, custode di oltre 400 etichette e che continua a stillare gocce d’acqua dai muri di peperino; appena sopra, la sala di ingresso, con poche sedute e, chissà, in futuro anche un tavolo sociale. Infine, la sala più grande, dedicata al ristorante, dove inizia la magia e l’occhio non sa più dove guardare: catturato in alto dai dischi dorati del lampadario, distolto a sinistra dalla teca per il servizio di cristallo, colpito in fronte dalla stilizzazione in ferro e vetro del centro storico di Albano. Escamotages architettonici affidati al gusto di Andrea e alla tecnica di amici fabbri e artigiani, per conferire profondità e luce ad un ambiente raccolto e privo di finestre. Vige una sorta di silenzio monastico, avvolgente e romantico, che fa presto dimenticare il ricordo della fraschetta e dell’oste mondano.
La cucina di Claudio Carfagna, oltre la “rivisitazione tradizionale”
Sulla scheda web del ristorante, tra le poche cose forse da migliorare, troverete scritto – banalizzandola – che la cucina di Claudio Carfagna si basa su “ricette romane rivisitate”. Permettetemi di dissentire, o quanto meno di integrare: i piatti di Claudio sono molto di più. Sono schietti, come l’insalata con polvere di ciliege e ravanello; colorati, come la rapa rossa e melograno (…e la Roma che porta nel cuore); provocatori, come il brodo di puré, ottenuto dalla chiarificazione di un purè classico, con foglia di senape e olio aromatizzato al limone. Piccole suggestioni che ricordano come la semplicità – abbinata a grandi doti – crei inaspettatamente qualcosa di formidabile.
Ci si aspetterebbe dunque un trascorso navigato dello chef, allievo di illustri scuole o di cuochi ben più noti. Eppure Claudio non ha viaggiato granché, ha imparato da autodidatta ascoltando, sperimentando, provando e sbagliando nel tentativo di far incontrare i suoi ricordi di bambino con le sofisticazioni gourmet, supportato dal fratello maggiore di cui è la “fortuna più grande”.
A tavola è un continuo sussulto: dalla carrellata di amuses bouche (premiata la cialda di riso rosso soffiata, verza e broccolo) all’intermezzo di radici di cipollotti su salsa ai lamponi e spirulina; dalla foglia ostrica appoggiata sul battuto di dentice assieme alla misticanza, finger lime, chayote e sorbetto all’olio evo e menta romana, alle foglie croccanti e tuorlo bruciato farcito di pecorino, con ravanello fermentato, topinambur e aceto balsamico: un piatto simbolo di Carfagna, che muta con le stagioni ma quando lo assapori, l’emozione non cambia.
La carta dei vini….secondo Andrea Carfagna
Altrettanto entusiasmante, il palleggio tra pietanza e vino pensato per noi da Andrea, che non delude ma anzi diverte e incuriosisce: ci sottopone al giudizio di vini naturali, locali e convenzionali, rendendo dinamico un percorso enologico molto vario e di qualità. Ad esempio un Sauvignon 27.07 di Piana dei Castelli, ottimo con la Triglia tra le sfoglie di patata, insalata invernale e fondo di zafferano e finocchio; allo Spaghetto Mancini gamberi rossi borragine e sommacco, Andrea sceglie un Matera rosato di Primitivo di Battifarano preparando l’ingresso ai secondi successivi: lo spada guanciale salvia e foglia di bieta, una versione di mare del tradizionale saltimbocca, bianchissimo e tenero grazie alla protezione della foglia vegetale che impedisce alla carne di asciugarsi in cottura, rimanendo all’interno morbido e succulento. Abbinato a questo piatto insospettabile, il Torrebruna Rosso IGT Lazio dell’Azienda Agricola I Chicchi, ottenuto da agricoltura biodinamica, lo stesso che accompagnerà il coniglio alle erbe, cotoletta di rognone, carota al forno e broccolo romano, praticamente un quadro di geometrie vivaci disegnato nella ceramica.
Dopo il “saluto al sale” (…una battuta per smorzare), inauguriamo la parte dolce con un sorbetto di uva fragola e sale al limone che anticipa il dessert principale: castagne cachi e finocchietto esaltato da un Malvasia Doc di Cascina Gilli ottenuta da lunga rifermentazione naturale in autoclave, che servirà anche per la piccola pasticceria da gran finale.
Tra il guizzo artistico e l’attaccamento alle tradizioni, Claudio si tiene sempre su un mezzo tono: la degustazione eccelle sui contrasti, mentre potrebbe osare di più sulle consistenze. Quasi a non voler ostentare troppo e non rischiare di offrire una cucina irriverente.
Tutto quello che Claudio Carfagna ha imparato dalla sua terra, lo si ritrova nei piatti de La Galleria di Sopra, come fosse un atto scontato e naturale per omaggiare un territorio che ha ancora tanto da raccontare. La sua è una tecnica garbata e puntuale, propria di un’indole tanto espressiva quanto introversa, frutto di ricerca e un po’ di sregolatezza. Mette insieme la sapidità del mare di Anzio con l’amaricante del Monte Tuscolo, senza andare troppo lontano dalla genuina romanità e dai profumi delle erbe spontanee del vicino sottobosco.