Se a Natale panettone e pandoro si contendono il trono di dolce più apprezzato, a Pasqua la regina è la colomba. E da qualche anno a questa parte il mercato sta favorendo tutto ciò che è artigianale, o così chiamato. Vediamo insieme ricetta, ingredienti e come si riconosce una colomba artigianale.
Se a Natale panettone e pandoro si contendono il trono di dolce più apprezzato, a Pasqua la regina è la colomba. E da qualche anno il mercato sta favorendo tutto ciò che è artigianale. Una colomba artigianale può costare 10 volte una industriale, quindi è bene capire se e quando li vale davvero. Anche perché “artigianale” vuol dire poco o nulla, e non significa necessariamente più buona, più sana o con ingredienti migliori.
La nascita della Colomba
Rapportata ad altri dolci tradizionali la colomba è un’invenzione piuttosto recente. Inutile cercare in antichi manoscritti di monaci amanuensi per scoprirne l’origine: l’inventore della colomba è un industriale, anzi un pubblicitario, Dino Villani. Negli anni 30 il direttore del marketing della ditta milanese Motta, già celebre per i panettoni natalizi, volle creare un dolce per la Pasqua, utilizzando gli stessi macchinari e lo stesso impasto del panettone. Al tempo esistevano dolci a forma di colomba, ma non c’azzeccavano niente con quella cui siamo abituati adesso. Et voilà, così nacque la colomba che tutti conosciamo. Quindi effettivamente è un prodotto che nasce come industriale e diventa artigianale in seguito, quando le piccole botteghe, inseguendo il successo del prodotto, iniziano a proporlo anche loro, ma fatto a mano.
La Colomba , gli ingredienti
Si fa presto a dire colomba: farina, burro (tanto burro), uova, zucchero, aromi naturali (vaniglia e agrumi) lievito naturale, glassa di mandorle e granella di zucchero. Così la definisce il Decreto Interministeriale di tutela del 22 luglio 2005 (adottato congiuntamente dal Ministero delle Attività Produttive e dal Ministero delle Politiche Agricole e Forestali, modificato il 16 maggio 2017 a opera del Mise e del Mipaaf) in cui si dà anche conto del tipo di ingredienti, per esempio le uova – di gallina di categoria «A» (o tuorlo d’uovo, o entrambi) in quantità tali da garantire non meno del 4% in tuorlo – o il burro – ottenuto direttamente ed esclusivamente dalle creme di latte vaccino con un apporto in materia grassa butirrica in quantità non inferiore al 16%. Insomma, c’è voluto un intervento istituzionale per regolamentare un dolce che nel corso del tempo ha conquistato sempre più appassionati consumatori e produttori: pasticceri, ma anche chef, pizzaioli e panificatori. Categorie che hanno un approccio differente a un prodotto tanto complicato da realizzare, soprattutto quando si va sui grandi numeri a riprova del fatto che la pasticceria non è una semplice somma di ingredienti.
Vantarsi sulla confezione di utilizzare lievito madre oppure solo burro o senza aromi artificiali è solo il minimo sindacale concesso dal disciplinare per essere riconosciuti come colomba. Se il disciplinare non lascia margini nella scelta di quali ingredienti usare però, la grande differenza fra un prodotto e l’altro è la qualità degli ingredienti stessi, il processo di lavorazione e la maestria del pasticciere. Nei lievitati migliori si trovano ad esempio bacche di pregiata vaniglia Bourbon di Tahiti, non l’estratto, farine di grani italiani, zucchero di canna grezzo, burro belga ottenuto per centrifuga (e non burro anidro) e miele di acacia italiano. Poi c’è la lavorazione: servono quattro giorni per sfornare una colomba partendo dagli ingredienti di base, in cui la maggior parte del tempo è dedicata alla lievitazione.
«Una fetta deve tirare l’altra, e la lievitazione naturale non fa altro che dare al prodotto sofficità e leggerezza, e far sì che i sapori si concentrino.
La colomba all’assaggio
La pasta deve essere soffice, elastica, setosa e leggermente umida, con alveolatura sottile, allungata più che tondeggiante e irregolare, ma omogenea. Quando si taglia non deve opporre resistenza né sbriciolarsi, l’impasto dovrebbe sfogliarsi e, quando si strappa delicatamente con le mani, “fare il filo”. Un’indicazione, però, che va incontro a mille variabili, perché una pasta a volte irregolare, sulla carta, si dimostra esplosiva, emozionante e vibrante all’assaggio, per via di quel racconto di vita che racchiude. Vita, sì, perché vivo è il vero lievito che ogni artigiano decide di gestire in modo diverso: a briglia stretta, per dare vita a prodotti composti, o libero, quasi selvatico, per creare esemplari unici, affascinanti, che fanno delle piccole irregolarità il loro punto distintivo. Una volta aperta, la colomba dovrà conservare elasticità e sofficità per diverso tempo. Il profumo dovrà ricordare gli ingredienti di partenza, e all’assaggio deve sciogliersi in bocca, appagare il palato e lasciarlo soddisfatto in modo rotondo, senza vuoti o eccessi, pulito e facendo avvertire – ma in modo pacato – la nota agrumata della scorza d’arancia.
La glassa la fa da padrona
La glassa industriale ha un sapore un po’ acre, persistente, dovuto all’uso delle mandorle amare dette anche armelline che non sono altro che noccioli di albicocca e che sono ovviamente molto più economiche delle mandorle. Nelle colombe industriali il loro gusto spesso è dominante, ma è anche vero che una glassa di un prodotto della grande distribuzione è sempre perfetta, mentre in molti prodotti artigianali risulta sciolta o inesistente. Molti non la usano proprio perché infatti è difficile da gestire, decidete voi se sia più deludente trovarla un po’ sciolta o non trovarla neppure….
«La glassa delle colombe industriali rimane sempre perfetta perché i conservanti concentrano l’umidità nell’impasto, allungandone la data di scadenza e mantenendo la glassa sempre croccante. La colomba artigianale invece non viene seccata come una industriale per lasciarla invece morbida, ma l’umidità più la mancanza di eccipienti rendono la glassa più fragile e si rischia che si sciolga». Ecco perché la glassa artigianale dopo qualche giorno sembra svanire o resta morbida e l’aspetto quindi può risultare diverso.
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Cosa significa artigianale
In Italia un prodotto artigianale deve avere almeno una fase di lavorazione svolta manualmente. Se ovviamente nessuno impasta con l’olio di gomito, questo significa fare a mano alcune fasi come la pirlatura e la piegatura dell’impasto così come la messa in forma, ossia quelle che insieme a ingredienti e lievitazione la rendono un prodotto più o meno valido. Quando nessuno di questi passaggi viene più svolto artigianalmente spesso appare la dicitura incartato a mano, che non aggiunge valore al prodotto all’interno, al massimo al packaging.
Come tagliare la colomba
Per degustarla al meglio la colomba non può essere tagliata a caso. Ben sapendo che la forma porta un po’ di imbarazzo a chi la deve tagliare, molte pasticcerie hanno fatto dei tutorial pensando ai clienti negli Stati Uniti: “Si tagliano le ali, poi la testa e la coda, e infine seziono il corpo, per avere sempre in ogni fetta glassa e impasto.” È meglio poi mangiarla dopo aver acceso il forno a 150°, spegnerlo e infornarla per un minuto per far rinvenire il burro. Fisime da gastro-fighetti? «Se spendi 38 € la colomba va degustata, va annusata, assaporata».