In questi giorni si è parlato, e probabilmente se ne parlerà ancora per molto, del food delivery. L’emergenza sanitaria ha innalzato i consumi, ora in leggero calo vista la fine del lockdown e la riapertura dei locali. Per far fronte alla crisi economica, ancora agli inizi (speriamo di sbagliarci), molti imprenditori hanno optato per un servizio di delivery autonomo. Una scelta coraggiosa senza dubbio e che non tutti possono sostenere. E le società di delivery? Non sono state certo con le mani in mano: notizia di ieri è la prossima nascita del più grande colosso occidentale di food delivery, nato dall’acquisto di Grubhub da parte di Just Eat Takeaway.
Come nasce un gigante del food delivery
Il gruppo Just Eat Takeaway nasce in piena pandemia. Alla fine di Aprile la società olandese Takeaway ha acquistato il suo concorrente inglese Just Eat; un’operazione da circa 7 miliardi di euro. Insieme sono in grado di offrire i loro servizi a circa 155mila ristoranti in più di 23 paesi nel mondo, principalmente europei. Come si suol dire, non c’è due senza tre: come anticipato, il gruppo appena nato si accinge ad acquistare il suo diretto concorrente statunitense, Grubhub appunto. Un affare da 7,3 miliardi di dollari che sancisce la nascita del più grande gruppo al mondo, al di fuori della Cina, di servizio di cibo a domicilio. Un gigante che con la sua potenza si prepara a “divorare” il mercato occidentale.
I rischi di un mercato ancora poco etico
I rischi di una tale operazione sono strettamente connessi a quelli che ha portato con sé il boom del delivery. In primo luogo un maggior sfruttamento delle condizioni dei riders, o forse sarebbe meglio dire che ce ne siamo semplicemente accorti. Non a caso, qualche giorno fa, Uber Italia è stata commissariata: la necessità di accontentare la ristorazione commerciale – sostengono gli inquirenti della procura di Milano – ha portato a una gestione dei riders non in linea (eufemismo) con il codice penale. Paghe vergognose che si aggirano intorno ai 3 euro a consegna indipendentemente dai chilometri percorsi, in poche parole caporalato versione food delivery. Certo, si tratta di Uber non di Just Eat, ma comunque le condizioni dei riders di queste enormi compagnie rimango sotto la lente d’ingrandimento della magistratura e della politica. Speriamo.
In secondo luogo, il rischio di avvio verso la monipolizzazione del mercato da parte di una società di questa portata, Just Eat+Grubhub. Secondo un’ indagine di Statista, la società di delivery più famosa in Italia è, appunto, Just Eat con un 32% contro appena l’11% di Deliveroo e di Gloovo. Inolte, il 76% degli intervistati ha usufruito dei suoi servizi negli ultimi dodici mesi, secondo Deliveroo con il 37%. La fusione con il cugino americano non farà altro che aumentare la forza economica a dispetto delle piccolissime società che operano in maniera etica e sostenibile.
Se il delivery è veramente il futuro della ristorazione ce lo dirà il tempo, ma è indubbio che sia in ascesa. Per questo è essenziale iniziare a condurre, da parte di giornalisti e imprenditori, un discorso etico anche sulle società che consegnano a domicilio.