La storia della cucina toscana e il suo piatto iconico, il lampredotto, racchiusi per sempre in un vaso. La mitica Trattoria da Burde di Firenze firma la nuova ricetta Bonverre e salva un altro sapore dal logorio della rivisitazione moderna della tradizione.
Lo chef Paolo Burde ha imparato a cucinare dalla nonna e dalla nonna ha ereditato anche la missione della Trattoria da Burde, quella di tener vivi alcuni piatti e alcuni sapori, in maniera che non vadano perduti. Paolo rispolvera il suo passato da archeologo e riassume in poche righe la sua filosofia e quella di Bonverre: “Se un piatto smetti di mangiarlo, è morto. Se non lo sai più cucinare, se non lo puoi più replicare, è come se fosse un animale in via d’estinzione. Scompare”. Ed ecco la sua idea di cucina: un’arca di sapori con cui salvare gli esemplari più preziosi del passato perché possano sopravvivere al diluvio della rivisitazione: “ È importante che ci siano ancora dei posti dove si continuino a mangiare piatti così come sono arrivati a noi dalla tradizione popolare”. Da Burde il lampredotto sa di lampredotto e ora la loro ricetta storica, arriva per la prima volta in tutta Italia e nel mondo grazie a Bonverre.
Il Lampredotto in Zimino della Trattoria Burde a Firenze è l’ultima ricetta della gamma Bonverre. Sarà disponibile da fine marzo online sul sito www.bonverre.it, su www.atmosferaitaliana.it, e nei rivenditori selezionati in tutta Italia.
Trattoria da Burde, dal 1901 a Firenze
Tutti a Firenze conoscono la Trattoria da Burde, perché questo è uno degli Esercizi Storici Fiorentini più famosi e longevi, fondato nel 1901 come rivendita di generi alimentari. Da allora quattro generazioni della famiglia Gori si sono passate il testimone, facendo evolvere la bottega in enoteca con piccola cucina sino ad oggi, in cui la Trattoria da Burde è un avamposto della tradizione gastronomica toscana con una leggendaria carta dei vini. Fra le sue mura che sono a tutti gli effetti la casa di famiglia, ora è il turno dei due fratelli Andrea e Paolo. Sommelier poliedrico, esperto, divulgatore e organizzatore di eventi legati al vino il primo, chef con una laurea in Scienze Politiche che voleva fare il contadino, il secondo. Strana coppia, tramandano il sapere di generazioni ma soprattutto un modo di intendere la ristorazione e uno stile di ospitalità e di tavola, che per loro è sempre stata un tutt’uno con la vita famigliare.
Osti 4.0 nel segno della tradizione
La Trattoria da Burde non è però un polveroso archivio, ma un progetto di divulgazione popolare, e particolarmente social. Le loro degustazioni di vino sono state fra le prime trasmesse in streaming. La voglia di condividere “è normale per noi, perché qui non c’era vita privata. – spiega Paolo – Mia nonna su andava solo a dormire e tutto il resto della vita lo faceva giù, quindi in realtà i social non hanno cambiato nulla di che. Continuiamo semplicemente, attraverso nuovi strumenti, a condividere non solo la cucina ma anche la nostra vita con i clienti”. Perché senza bisogno di agenzie di comunicazione e geni del marketing sanno benissimo dove sta la differenza: “Quando vai a mangiare in trattoria vai a mangiare ma non solo, vai in un ambiente, vai a cercare delle persone, dei ricordi, quindi la parte social ci aiuta a mantenerci come vera trattoria”.
Oggi le chiameremmo limited edition
I piatti del giorno qui sono la norma, il menù viene detto a voce e non c’è nulla di standardizzato se non delle granitiche certezze, da decenni. Venerdì baccalà, mercoledì “penitenziale” con il pesce che si trova al mercato. “Ogni ricorrenza porta dietro un piatto e da noi ci sono piatti che facciamo solo una volta all’anno: le polpette di Carnevale si fanno solo a Carnevale e le frittelle di riso solo per San Giuseppe. E poi si aspetta l’anno dopo per poterli mangiare”. In barba ai menù turistici e alla destagionalizzazione dei classici, in un’epoca in cui si possono avere infiniti ingredienti e possibilità, si ricerca la territorialità perché ogni piatto ha una storia che bisogna raccontare, nel modo più fedele possibile. E che Bonverre riesce a fotografare, racchiudere e trasportare.
Firenze, il regno delle frattaglie
“Noi fiorentini amiamo molto le frattaglie. Se passate per le strade della città vedete i banchini che vendono nervetti, trippa, cervello, poppa… quella più identificativa però, che cuciniamo solo noi, è il lampredotto”. È molto scuro e più grasso rispetto alla trippa, un taglio di quinto quarto che ancora oggi andrebbe a finire negli scarti della produzione, infatti lo mangiano pochi altri ed è una parte del quinto quarto che difficilmente viene utilizzata e stimata. I fiorentini si sono inventati mille modi di farlo, anche se quello più noto è servirlo nel panino. Alla Trattoria da Burde però piace fare piatti da mangiare con le gambe sotto al tavolo. “I modi di farlo sono tanti, d’inverno facciamo la minestra con brodo di lampredotto, cavoli e riso, e ovviamente il lampredotto inzimino, un nostro signature dish”.
Lampredotto Inzimino, il signature dish
Le ricette in zimino sono parte della tradizione toscana, una preparazione in umido con bietole, spinaci, prezzemolo, aglio e aromi. Ci si cucinano i legumi, le seppie, e a Firenze anche il lampredotto con cavolo nero, pomodoro, peperoncino, aglio e salvia – forse l’unico piatto piccante della città. La ricetta di Burde prevede una selezione sapiente della materie prime, solo la parte più tenera delle foglie di verdura, una sequenza di gesti codificata in oltre un secolo di storia, quattro generazioni e molta pazienza, perché il lampredotto inzimino ha bisogno di tempo per essere pronto. Cremoso, tenero, profumatissimo si serve come secondo, in un piatto fondo, dentro una scodella o direttamente in un tegamino. Abbinato a qualche fetta di pane abbrustolito e ad un buon rosso profumato e vivace. “Sul lampredotto, le cose a cui stare attenti sono la piccantezza, e l’acidità del pomodoro, ma dall’altra parte ci sono grandi profumi”. E gli abbinamenti proposti da Burde sono un vino speciale, il Carignano, una piccola DOC, la più antica al mondo, dove fanno un vino vivace, fresco, profumato, di taglio Sangiovese con un po’ di Cabernet. Oppure un Pinot Nero dell’Appennino toscano. Con i consigli di Andrea, sarà come essere seduti con le gambe sotto al tavolo, a Firenze.
La Ricetta del Lampredotto Inzimino
Ingredienti per 4 persone
1kg di abomaso (trippa per lampredotto) lessato
500 g di pomodori pelati
100 g di olio extravergine d’oliva
3 spicchi d’aglio
3 rametti di salvia
500 g di cavolo nero
500 g di bietole
½ l di vino rosso
Peperoncino q.b.
Pepe q.b.
Pane toscano, per servire
Procedimento
In un tegame capiente preparare la base aromatica. Aggiungere abbondante olio, la salvia, l’aglio schiacciato per aumentarne i profumi, il pepe e il peperoncino. Lasciare su fuoco bassissimo e coprire affinché gli aromi rimangano all’interno. Nel frattempo tagliare il lampredotto a listarelle. Una volta fatto, aggiungere il lampredotto al tegame e alzare la fiamma: lasciarlo insaporire mentre si tagliano finemente le verdure. Il cavolo nero deve essere privato della costola dura centrale. Quando il lampredotto inizia ad attaccarsi e a abbrustolirsi, sfumare con il vino rosso. Una volta evaporato l’alcool aggiungere il pomodoro. Quando il liquido si sarà ridotto aggiungere prima il cavolo nero e,
quando questo inizierà ad ammorbidirsi, le bietole. Da questo momento cuocere a fuoco basso per mezz’ora o quaranta minuti, assaggiare verso metà cottura per aggiustare eventualmente di sale. Il lampredotto è pronto quando risulta ancora molto cremoso, anche leggermente liquido a seconda dei gusti. Servirlo in un tegamino, in una ciotola di terracotta o in altro piatto rustico, accompagnato da pane toscano tostato e condito con olio d’oliva.