Granchio blu è il protagonista della cronaca italiana da quest’estate. Si tratta del Callinectes sapidus, specie aliena e invasiva che sta danneggiando gravemente la produzione di vongole ed è al centro di numerosi dibattiti, che riguardano l’impatto negativo che il suo rapido prolificarsi sta avendo nei confronti delle attività commerciali di itticoltura e pesca. Vediamo di capire meglio.
Il granchio blu o azzurro (dall’inglese blue crab, Atlantic blue crab, Maryland blue crab), erroneamente noto in Italia anche come granchio reale, è un crostaceo marino ed è una specie che proviene dalla costa dell’oceano Atlantico occidentale, dove la sua presenza si estende dagli Stati Uniti fino all’Argentina. Si presuppone che sia arrivato da noi tramite l’acqua di zavorra delle navi. Oggi in tutta Italia si lamenta un forte aumento della presenza di questa tipologia di granchio, il Callinectes sapidus, specie aliena e invasiva che sta danneggiando gravemente la produzione di vongole filippine, in particolare in Emilia Romagna e in Veneto e come “pericolo” è al centro di numerosi dibattiti, che riguardano l’impatto negativo che il suo rapido prolificarsi sta avendo nei confronti delle attività commerciali di itticoltura e pesca. Dopo una prima segnalazione nella Laguna di Venezia nel 1949, si è diffuso sulle coste italiane già dagli inizi degli anni duemila, ma ora stiamo assistendo a una fase di espansione e di irrobustimento della presenza, che si manifesta con una vera esplosione numerica.
Granchio Blu, com’è arrivato tra noi?
Ciò detto, non bisogna commettere l’errore di credere che questo animale sia “migrato” spontaneamente; al contrario, come molte altre specie acquatiche, si è diffuso grazie (o per colpa) dell’uomo. Più precisamente, il granchio reale ha navigato all’interno dei serbatoi di acqua zavorra delle grosse navi.
Dopotutto, non dimentichiamoci che molte altre creature subacquee di acqua dolce e salata sono state importate nel nostro Paese, volontariamente (immissione diretta) o anche no (attraverso le navi mercantili, con l’apertura di alvei artificiali navigabili ecc.). La lista è talmente lunga che bisognerebbe dedicarle un articolo a parte. È peraltro interessante notare come alcune di queste creature aliene abbiano partecipato brillantemente a sostenere l’economia italiana. Ad esempio, proprio la vongola filippina citata in precedenza, che, quasi tutti, chiamano erroneamente “verace” – non è italiana e venne importata dalla lontana Asia solamente nel 1983 e ironia della sorte si tratta proprio della specie maggiormente danneggiata dalla proliferazione del granchio blu.
Anche la vongola filippina ha contribuito a un cambiamento dell’ecosistema dei mari italiani; ad esempio la possibile ibridazione con la vongola verace mediterranea o il suo pressocché annientamento a causa della competizione biologica. D’altro canto, poiché ha rappresentato una risorsa economica, nessuno se n’è preoccupato.
Una cosa simile accadde con i gatti in Australia, arrivati sull’isola perché parte dell’equipaggio dei velieri per evitare la diffusione di topi, hanno poi invaso e devastato numerose specie autoctone sul continente. Oppure con le nutrie, originarie dell’America meridionale e arrivate in Italia per errore. O ancora il pesce gatto, la sandra, il siluro o il pesce persico sole, introdotti nel nostro paese per la pesca sportiva e poi diffuse così tanto da aver portato sulla soglia dell’estinzione altre specie autoctone.
Granchio Blu, com’è fatto
La forma del granchio reale è abbastanza in linea con quella degli altri granchi. Ha 10 zampe, due anteriori con funzione di chela e due posteriori con funzione natatoria. Il corpo è a forma di ellisse ed è dotato di una caratteristica molto specifica, rispetto ai nostri granchi: due lunghe spine che si protendono lateralmente al carapace. I granchi blu possono raggiungere una larghezza del carapace di 23 cm, dimensioni non eguagliabili dai granchi di mare italiani – ad eccezione di granseola.
Un’altra caratteristica è il colore che, come dice il nome stesso, ha sfumature azzurro-bluastre. La tonalità blu del granchio deriva da una serie di pigmenti nel guscio, tra cui l’alfa-crostacianina, che interagisce con un pigmento rosso, e l’astaxantina (un carotenoide), per formare una colorazione blu-verdastra. Naturalmente, come avviene in tutti i crostacei, quando il granchio è cotto, l’alfa-crostacianina si decompone, lasciando solo l’astaxantina, che conferisce al granchio un colore rosso-arancio brillante.
Come risolvere l’invasione del granchio blu
Per risolvere l’invasione del granchio blu, il governo italiano ha stanziato 2,9 milioni di euro in favore delle cooperative della pesca per tenerne sotto controllo la popolazione, aprendo anche una stagione straordinaria di pesca al granchio, fruttata già 326 tonnellate di raccolto solo in Veneto.
I Paesi in cui è diffuso da tempo, sulla Costa Atlantica degli Stati Uniti, considerano il granchio blu una specie da tutelare, tanto che non si può pescare al di sotto di una determinata grandezza. Inoltre lo mangiano abitualmente, normalmente lessato e poi fatto in insalata. E se fosse proprio questa la soluzione? Secondo Coldiretti è una via possibile, e per darne la dimostrazione ha organizzato una manifestazione a Jesolo proponendo diversi piatti preparati con il granchio blu, dall’antipasto al dolce, mostrando che è particolarmente versatile: in effetti, si può usare nello stesso modo del classico grande granchio atlantico, praticamente il granchio blu si può mangiare in tutti i modi,
Come cucinare il granchio blu
Le ricette più comuni in Italia sono:
Granchio gratinato al forno, fritto, al sugo per saltare la pasta o condire una polenta morbida, oppure le moleche fritte. In America, invece, zona autoctona del granchio blu, le ricette più popolari sono:
- Crab-cake: una sorta di frittella di polpa di granchio, che però può essere preparata in vari modi. È composta da polpa di granchio e vari altri ingredienti, come pangrattato, maionese, senape (anche in polvere), uova e condimenti vari (erbe, pepe nero ecc.). Viene quindi saltata in padella, cotta al forno, grigliata o fritta;
- She-crab soupe: è una zuppa ricca, simile alla bisque, fatta di latte o panna, polpa e brodo di granchio, uova di granchio e una piccola quantità di sherry secco, aggiunto mentre viene impiattata. Può essere addensata sia mediante riduzione al calore, sia con una purea di riso lesso; può anche includere condimenti come macis, scalogno o cipolla;
- Fried Soft-Shell Crab: che corrisponde alle nostre moleche fritte.
È ricco di proteine ad alto valore biologico (18,1 g / 100 g di parte edibile), il che lo rende potenzialmente utile nel soddisfare la necessità fisiologica di amminoacidi essenziali, indispensabili per il nutrimento di donne incinte, nutrici, anziani e soggetti in fase di accrescimento come soprattutto gli sportivi. La frazione di grassi è invece molto ridotta (1,08 g / 100 g di parte edibile). Si evince, tuttavia, un livello di colesterolo non trascurabile. Potremmo quindi considerare questo crostaceo un alimento poco idoneo all’alimentazione ordinaria di chi soffre di ipercolesterolemia – semplicemente a scopo cautelativo – ma senza controindicazioni nella dieta dei soggetti normo-lipidemici. Le calorie totali del granchio reale sono decisamente contenute (87 kcal / 100 g di parte edibile). Può essere considerato un alimento a bassa densità energetica e, pertanto, ottimo nel contesto di una dieta ipocalorica dimagrante.
Economie da granchio blu
Volevo però soffermarmi su una curiosità, nel 2013, per gli USA, la pesca del granchio blu ha prodotto 192 milioni di dollari. Cosa significa questo? Semplicemente che i consumatori italiani sono talmente distratti dall’immagine che i media stanno diffondendo da non rendersi conto che il granchio è un prodotto della pesca di prima qualità.
Non solo. Il granchio reale è importato e consumato in Italia da molte decine di anni. Compare spessissimo in ricette di ristorazione collettiva come gli spaghetti allo scoglio, la pasta con i granchi, il gratinato di pesce e addirittura la frittura mista di mare.
I granchi che abbiamo sempre trovato nei nostri piatti – con poche eccezioni, ovviamente – sono per lo più costituiti da quello azzurro importato, perché più ricco di polpa e reperibile già pulito e in confezioni surgelate.
E, per gli amanti del “genere”, ricordiamo che anche il granchio reale cambia la muta, e pertanto diventa transitoriamente moleca (negli USA è noto come soft-shell crab). In Italia, la moleca di granchio nostrano è pregiatissima ed ha un costo compreso tra i 50 e 70 euro al chilogrammo.
Non stiamo dicendo che sia più buono dei nostrani. Ma semplicemente che ha una parte edibile più abbondante, un carapace più tenero ed una qualità totale degna di nota.
Ergo, lo abbiamo acquistato fino all’altro giorno pagandolo molto più caro di quanto costi al momento nei mercati ittici, ed ora ci stiamo lamentando del fatto che sta affollando i nostri frangenti.
Al tempo stesso, non possiamo nemmeno addossare la colpa di questa pessima tendenza commerciale ai pescatori, agli allevatori e ai venditori. Essi, a dire la verità, stanno cercando di promuovere la commercializzazione di granchio blu in loco, ma pressoché invano. Un maggior sforzo, si richiede, invece, a noi consumatori, che dovremmo imparare a mangiare in modo più consapevole, sostenibile e qualitativamente migliore. E le istituzioni? Beh, prima di tutto dovrebbero tutelare la corretta informazione, smentendo – anziché fomentando – le bufale e i falsi miti.
Non di meno, gli enti di tutela dovrebbero operare al fianco dei professionisti partecipando attivamente alla conversione delle attività, o comunque nel supportarle durante l’instaurazione di misure straordinarie, e non limitarsi semplicemente a stimare le possibili indennità erogabili ai lavoratori e alle aziende.
Non è una strada facile, ma è certamente l’unica strada percorribile per questa situazione e per le prossime che, certamente, si presenteranno negli anni a venire.