Additata tra i sette vizi capitali, la gola è quella che più di altri è stata legittimata nei decenni del benessere, trattandosi di un malcostume, per così dire, privato. L’apoteosi di questo concetto si ritrova nel cinema, ma sono molti i personaggi storici e artisti che della gola hanno fatto il loro tratto distintivo. Scopriamoli insieme a Roberto Mirandola.
Additata tra i sette vizi capitali, la gola è quella che più di altri è stata legittimata nei decenni del benessere, trattandosi di un malcostume, per così dire, privato. Se infatti gli aggettivi avido o iracondo portano ancora accezioni solo negative, oggi goloso è anche colui che è ghiotto, una “buona forchetta” capace di un gusto raffinato.
L’apoteosi di questo concetto si ritrova nel cinema, la cosiddetta settima bella arte (le altre sei sono, nell’ordine: architettura, scultura, pittura, musica, letteratura). Chi ha potuto apprezzare Il pranzo di Babette sa che il vino allevia l’umore dei commensali e la protagonista è in grado di preparare manicaretti capaci di cambiare il loro atteggiamento quasi ascetico, introverso. Il cibo, il convivio fa ritrovare la pace all’intera comunità. Ma forse la pellicola più celebre sul tema rimane La grande abbuffata che già nel nome tradisce la trama. Grottesca, poiché l’obiettivo dei quattro protagonisti è mangiare fino a (letteralmente) scoppiare. Tema centrale in questo caso è la decadenza della società dei consumi, rappresentata attraverso il cibo. Le mangiate collettive, insomma, comunicano oltre il loro significato materiale.
Gola, mangiatori professionisti
Eppure esistono anche grandi mangiatori – io li definisco mangiatori professionisti – che sono entrati nella storia non solo per il loro status sociale, ma anche per la proverbiale golosità. Come Caterina de’ Medici, golosa di carciofi, cibreo e lingua di vitello in dolceforte, una salsa preparata con miele, aceto, uvetta, noci e biscotti tritati. Poco o nulla a che vedere con la versione moderna riservata principalmente al cinghiale preparata senza miele e biscotti, ma con l’aggiunta di cioccolato fondente, cannella, pinoli, cedro candito e vino rosso.
Il sapore agrodolce era molto amato anche da Klemens von Metternich, cancelliere di Stato dell’Impero austriaco dal 1821 al 1848. Ancora oggi un piatto guarnito alla Metternich indica una pietanza accompagnata da una purea di castagne sovrastata da cavoli rossi brasati. In più, pare che il nobile diplomatico fosse anche un grande divoratore di cioccolato.
Ghiottone solitario e amante delle occasioni conviviali era Gioacchino Rossini, al quale diede grande fama culinaria l’amicizia con il cuoco francese Marie-Antonie Carême che dedicò al musicista pesarese i pasticcini Figaro in onore dell’omonima opera e i tournedos alla Rossini, preparati con fette di filetto di manzo guarnite con foie gras, scaglie di tartufo e salsa demi-glace.
Anche Giuseppe Verdi è stato un goloso e attento bevitore dal palato sopraffino. Alcune settimane prima di morire – quasi fosse un presentimento – si fece servire nel sua suite numero 105 dell’Albergo di Milano (ora Grand Hotel et de Milan) un pranzo a dir poco sontuoso: risotto alla certosina, branzino bollito con maionese, bue brasato, costolette d’agnello, carni alla parmigiana, tacchino arrosto, insalata, dolce, frutta, gelato al rum. Il tutto accompagnato da quattro tipologie di vino. Basta questo esempio per rendersi conto che il celebre operista, figlio di un oste di Roncole di Busseto vicino a Parma, era buongustaio assai raffinato, anche se nelle sue opere i numerosi riferimenti al cibo e al vino sono più umili, proprio come le sue origini.
Gabriele D’Annunzio fu un protagonista assoluto del primo ‘900: creativo, di incredibile genialità, scrittore irriverente, sottaniere incallito, aristocratico, combattente ironico, insolvente e… gastronomo. Considerato che la cucina domestica del Vittoriale era aperta 24 ore su 24 per rifocillarsi dall’intensa attività sotto le lenzuola, il vate in quanto a cibo aveva gusti alquanto raffinati e precisi: inneggiava ai cannelloni di Suor Intingola (dal soprannome dato alla cuoca personale), ma non disdegnava pesce, molluschi, selvaggina e frutta. Prediligeva, inoltre, particolarissimi risotti come quello con le rose o ‘Alla Duse’ con gamberetti e tartufi, ma anche le uova (arrivava a consumarne anche mezza dozzina al giorno) e adorava le costolette di vitello sottili e croccanti (a ‘Orecchia di elefante’ come si chiamerebbero adesso) con un contorno di patatine fritte.
È certo che anche Pablo Picasso fosse ben predisposto nei confronti dei convivi. Dalla lisca di sogliola in ceramica nata dal suo piatto preferito – la sogliola alla mugnaia – c’è tutta un’arte rivelatrice del suo amore per il cibo.
Venendo ai tempi recenti, il più celebre appassionato di cibo – almeno nell’ambito della settima arte – è stato indubbiamente Ugo Tognazzi, attore che recitava per hobby e mangiava per vivere, come soleva definirsi. Vizioso dei fornelli, Tognazzi non cucinava piatti convenzionali come spaghetti al pomodoro, polli arrosto o torte di mele. Il suo scopo era stupire preparando pietanze dai nomi bizzarri con ingredienti altrettanto insoliti ma, dopotutto, sempre apprezzati dai suoi ospiti. Ecco allora: la balena alla pizzaiola, le farfalle fuxia (proprio con la “x”) con barbabietole cotte, il babà al kiwi, gli spaghetti al pomomascarpone e lo stinco di santo, per citarne alcuni.
Insomma, viziosi gaudenti senza tempo, devoti alla gola. E, forse, non solo a quella…