Ha fatto salire uno chef sul tetto del suo ristorante per scattare una foto “diversa”. Da questo primo aneddoto si può immediatamente percepire che le foto di Alberto Blasetti non sono mai banali, ripetitive e statiche. Nonostante il potere della fotografia sia proprio quello di racchiudere in uno scatto un momento, di catturare forme e colori, emozioni e atmosfere, nelle immagini di Alberto c’è un dinamismo in tensione, che si avverte in maniera esplicita. Lo troviamo nelle composizioni dei piatti, nei colori a contrasto, negli elementi di sfondo, nei fumi che salgono dalle pietanze o dal liquido versato nel bicchiere; lo troviamo negli sguardi degli chef, complici e vivaci, nelle foto degli ambienti da vivere o vissuti.
I protagonisti delle immagini
Dietro questi scatti c’è la storia di un ragazzo che inizia a fotografare il food per arrotondare e che dal fantastico mondo del cibo e della ristorazione si è fatto letteralmente conquistare, tanto da diventare il fotografo di numerosi chef, libri e riviste. Beck, Apreda, Viglietti, Romito, Colonna, Sultano, Corelli sono alcuni dei nomi di chef stellati e non che ha immortalato, le sue foto si trovano su riviste come Food & Wine, Cook_Inc, RFood La Repubblica, Gambero Rosso Magazine, Donna Moderna, La Cucina Italiana e da qualche mese sono usciti gli ultimi due libri con le sue foto a corredo, I grandi cocktail del Jerry Thomas e Washoku, l’arte della cucina giapponese scritto da Hirohiko Shoda (entrambi Giunti Editore).
La ricerca dell’empatia
“Raccontare con una singola foto un piatto, un ingrediente o una preparazione non è facile”, ci conferma subito Alberto, “il dietro le quinte di ogni servizio fotografico è fatto di studio, di conoscenza della materia, di confronto con lo chef, che ti fa entrare nella sua cucina, ti spiega i procedimenti, le ricerche, ti fa sentire i profumi e i sapori. Solo quando l’empatia è completa allora quella foto riesce a parlare la lingua giusta e a comunicare con chi la osserva”.
La fotografia, come il nostro food reporter ci suggerisce, è un linguaggio puro, con la sua grammatica, le sue tecniche, le sue regole, ma allo stesso tempo è creazione di uno stile, che cambia e si rinnova in base al soggetto che si pone davanti.
La suggestione delle immagini
“Il significato della fotografia, anche nel food, può essere uno o più di uno, tutto sta nel codice di decodificazione che abbiamo, del linguaggio che scegliamo di parlare. E’ il gioco che mi piace fare quando realizzo servizi con i magazine, dove cerco di creare un dualismo tra la narrazione per immagini e il racconto scritto dal giornalista. In questo caso non c’è bisogno che la foto racconti in modo puntuale, ma cerco di fotografare suggestioni, evocare, giocare con i possibili significati, anche con il non detto. L’importante è non replicare tra immagini e parole, perché la forza del racconto sta proprio nell’ispirazione verso qualcosa di altro”.
La parola chiave in questo lavoro oltre alla conoscenza è l’empatia. Come ci spiega Alberto: “Per avere il migliore risultato è importante cercare di entrare in contatto il più possibile con le persone, con lo chef o chi gestisce la sala. Da come uno chef ti spiega o ti racconta le sue creazioni, dalle sfumature della voce, dall’enfasi o dalla luce che ha negli occhi, tu capisci qualcosa in più, entri passo dopo passo nel suo mondo e te ne fai portavoce”.
Il dialogo con gli chef
Lo chef si affida completamente al fotografo. Le parole di uno chef diventano per Alberto la chiave di accesso, a lui poi il compito di tradurle in immagine, di riassumere in uno scatto un mood, la filosofia, la ricerca di mesi o anni di chi lavora in cucina. Ecco, un bravo fotografo è quello che sa dire dopo aver ascoltato, dire facendo vedere e soprattutto facendo sognare, che nel nostro caso si traduce in percezioni sensibili di gusto.
E di esperienze con gli chef Alberto ne ha fatte tante, ha ascoltato tante voci e anche assaggiato tante cucine, ha ricreato secondo indicazioni, da quelle più autorevoli di Antonello Colonna a quelle più creative di Cedroni, ha portato chef come Romito e Apreda sui tetti, ha trasformato in un personaggio pop Annie Feolde e portato fuori dalle cucine, a spasso lungo i Navigli Luigi Taglienti in giacca di pelle. Immaginari visivi, personalità allo specchio, giochi di ruolo e di identità, sono queste le atmosfere dei set di Alberto Blasetti che si percepiscono ascoltando i suoi aneddoti.
Sono questi i suoi scatti perfetti, quelli in cui c’è l’uomo con tutto il suo bagaglio emotivo, culturale e gastronomico.