Cacao, nocciole e zucchero rappresentano gli ingredienti per un cioccolatino che si dice stia per compiere 200 anni. Tra origini storiche e geografiche, vediamo cosa c’è dietro il giandujotto.
Un cioccolatino che si distingue per forma, consistenza e sapore, il giandujotto, detto inizialmente givu, è caratterizzato dalla presenza di nocciole e da una forma specifica. I torinesi e i piemontesi lo rivendicano nella sua unicità come simbolo distintivo della propria identità. Le sue caratteristiche distintive, che lo rendono unico nel suo genere, fanno sì che da anni un comitato si impegni affinché la pralina venga tutelata dal marchio IGP.
La storia del giandujotto
La sua storia inizia con una vicissitudine di tipo storico-economica. Nel 1806 Napoleone bloccò ogni forma di commercio e corrispondenza tra le Isole Britanniche e l’Impero francese. Detto Blocco Continentale, lo scopo era il collasso dell’economia nemica. Il risultato, però, non fu quello sperato dall’imperatore. Nell’impero francese, infatti, si verificò una scarsità di beni di lusso e materie prime, tra le quali il cacao, materia prima di grande pregio per l’epoca. Per esser reperito, questo, necessitava o di un pagamento di dazi elevati o di riferirsi al mercato di contrabbando.
Fu così che la necessità di sostituire il cacao con una materia prima meno costosa divenne occasione per la nascita di un nuovo prodotto. Cioccolato e nocciole iniziarono a fondersi per dar vita al primo cioccolatino monoporzione incartato in un involucro dorato.
Caffarel & Prochet
Nel 1826 fu Pier Paul Caffarel, proprietario nonché cioccolatiere dell’omonima azienda, ad inventare un macchinario per produrre cioccolatini.
In società col cioccolatiere Michel Prochet, diversi anni dopo, prese luce questo cioccolatino dalla forma di barca rovesciata e dalla consistenza scioglievole al palato ma solida al tatto.
Nonostante la sua invenzione sembri risalire alla fine degli anni 20 del 1800, la storia del giandujotto sembra assumere la fama nel 1865, quando l’azienda Caffarel dà il compito alla tradizionale maschera torinese “Gianduja” di distribuire dei gianduiotti alla popolazione. È da questo momento che, il givu, per associazione con la maschera carnevalesca, inizia ad essere chiamato giandujotto.
La ricetta del giandujotto
Si giunge così alla considerazione che il gianduiotto possa compiere a breve circa duecento anni. Sono state effettuate diverse ricerche per rinvenire la ricetta originale di questo prodotto e gli ingredienti che sembrano essere costanti nel tempo sono: zucchero, massa di cacao, nocciole.
Il riconoscimento IGP
È indubbio che la produzione di gianduiotto sia concentrata nella regione del Piemonte, nonostante la sua fama non sia rimasta nel tempo così limitata geograficamente. A partire da questa consapevolezza si è riunito un comitato che vede coinvolti i cioccolatieri Guido Gobino e Guido Castagna, che ne è il presidente, ed aziende come Venchi e Ferrero, uniti dalla volontà di richiedere il riconoscimento di un marchio a tutela della produzione di gianduiotto, nello specifico il marchio di tutela IGP (Indicazione Geografica Protetta).
Cos’è l’IGP
Come specificato dalla Commissione Europea, l’IGP sottolinea la relazione fra la regione geografica specifica e il nome del prodotto, quando una qualità specifica, una determinata reputazione o un’altra caratteristica particolare sono essenzialmente attribuibili all’origine geografica. Per la maggior parte dei prodotti, nella regione deve aver luogo almeno una delle fasi di produzione, lavorazione o preparazione.
L’iter per l’acquisizione del marchio richiede diverse fasi. Un comitato che persegue lo stesso obiettivo propone un disciplinare di produzione, che sarà sottoposto a supervisione ed eventuale approvazione da parte della Regione, dello Stato italiano e infine dell’Unione Europea.
L’iter del giandujotto
In collaborazione con l’Università di Torino, il Laboratorio Chimico Camera di Commercio Torino e la Camera di Commercio di Torino, è stato redatto il disciplinare da proporre per la tutela del marchio.
Il nome proposto è “Gianduiotto Torino IGP” e potranno fruirne quei cioccolatini che vengono prodotti esclusivamente con nocciola Piemonte IGP in una percentuale che può variare dal 30 al 45%, zucchero semolato, di canna o di barbabietola; fava o massa di cacao, burro di cacao, baccello di vaniglia o vaniglia in polvere; sale, lecitina di soia o di girasole.
Le caratteristiche fisiche richieste sono fedeli a quelle che si trovano in commercio: una forma a barchetta rovesciata della grammatura variabile tra i 4 e i 18 grammi al pezzo. Il colore richiesto è un marrone uniforme per la parte esterna con una pasta vellutata al tatto.
Commercializzato in confezioni monoprodotto, il gianduiotto richiede anche l’apposizione del logo del marchio IGP e i riferimenti all’azienda produttrice.
Procedura di opposizione
Il processo di approvazione del marchio ha avuto però un rallentamento dovuto alla procedura di opposizione attuata dall’azienda Lindt&Sprüngli. L’azienda, infatti, ha acquisito nel 1997 l’azienda Caffarel, pur conservando, quest’ultima, la sua autonomia e identità di marchio e prodotti. La Lindt&Sprüngli ha richiesto delle modifiche al disciplinare che consistono in una percentuale più bassa di nocciole Piemonte IGP, che ammonta al 28%, e la presenza di latte in polvere nella ricetta.
Dopo diversi mesi la Caffarel si è opposta all’azienda madre riferendo di non voler ostacolare le pratiche per valorizzare la produzione di gianduiotto.
Ad oggi la tutela del gianduiotto è ancora in fase di discussione. C’è da aspettare l’approvazione del Ministero dell’agricoltura e successivamente dell’Unione Europea per permettere ai produttori di inserire in etichetta questo marchio.