La FAO ha stimato che almeno il 30% degli alimenti commestibili prodotti destinati al consumo umano viene perso o sprecato a livello globale lungo tutta la catena dalla produzione al consumo.
“Il modello di produzione industriale del settore alimentare non utilizza le risorse in modo efficiente e, con l’aumento di popolazione previsto per i prossimi anni, sarà sempre peggio. Le dimensioni di questo settore sono già notevoli, basti pensare che il 50% della terra abitabile del pianeta e il 70% della domanda di acqua dolce vengono assorbiti dall’agricoltura”. E’ quanto scritto da Nick Jeffries nel suo articolo ”l’economia circolare per il cibo: 5 casi studio” pubblicato su Medium.
Jeffries rileva che “la produzione alimentare può essere suddivisa in due tipologie, la prima è la catena industriale che produce il 30% di cibo utilizzando il 70% di risorse, e la seconda, più sostenibile, è il sistema dei piccoli agricoltori che, al contrario, producono il 70% di cibo utilizzando il 30% di risorse”.
L’agricoltura, dunque, rappresenta un importante bacino per l’economia circolare. Dal settore primario, infatti, derivano molte e diverse risorse rinnovabili come ad esempio reflui urbani, zootecnici, scarti alimentari e delle colture, tutti utilizzabili per il recupero di elementi che giocano un ruolo centrale per il suolo (fosforo, azoto e potassio, biogas ecc.), comportando effetti benefici per l’ambiente come la riduzione delle emissioni di CO2.
Sempre più verso un’agricoltura sostenibile.
Per agricoltura sostenibile (anche detta eco-compatibile o integrata) si intende il rispetto dei criteri di sostenibilità nella produzione agricola e agroalimentare privilegiando quei processi naturali che consentono di preservare la “risorsa ambiente”.
Soddisfare il fabbisogno attuale di alimenti e tessuti senza compromettere la capacità da parte delle generazioni future di soddisfare a loro volta il proprio fabbisogno.
Abbandonare l’uso dell’agricoltura intensiva, che è diventata una macchina industriale centralizzata, ad alto impatto ambientale, è prioritario. Essa produce infatti un decimo dei gas serra (se si calcolano gli allevamenti il conto sale molto) ed è un fattore determinante nella perdita di biodiversità, nell’erosione del suolo, nello stravolgimento del ciclo idrico.
Per creare le condizioni adeguate a uno sviluppo sostenibile, sarà necessario procedere a cambiamenti radicali nella politica agricola, ambientale e macroeconomica, a livello nazionale e internazionale.
Il documento della FAO
Nel 2018, la FAO ha approfondito ulteriormente il tema con il documento “Transforming Food and Agriculture to Achieve the SDGs” (Trasformare il settore alimentare e agricolo per raggiungere gli SDG), per favorire un approccio integrato alla sostenibilità in agricoltura in riferimento ai 17 obiettivi di sviluppo sostenibile delle Nazioni Unite (Sustainable Development Goals – SDG).
Le 20 azioni raccomandate vanno dalla pratica del riciclo e riuso alla resilienza nei confronti degli eventi estremi, includendo la protezione della biodiversità e la tutela degli agricoltori.
L’agricoltura di piccola scala
Inoltre, per riportare l’agricoltura nei binari della sostenibilità serve un uso maggiore dell’ “agricoltura di piccola scala” ossia una produzione almeno del 50% degli alimenti totali usando solo il 25% dei terreni agricoli. Alcuni studi dimostrano, infatti, che le filiere corte, biologiche, locali, consentono di ridurre gli sprechi preconsumo fino al 5% rispetto al 40% dei sistemi agroindustriali.
Chi si rifornisce solo in reti alimentari alternative spreca un decimo rispetto a chi usa solo canali convenzionali; i sistemi di agricoltura supportati da comunità riducono gli sprechi al 7% contro il 55% dei sistemi di grande distribuzione.
Insomma lo scenario all’interno del quale i consumatori attualmente effettuano le loro scelte alimentari di routine non è particolarmente favorevole a modelli di consumo più sostenibili, e per questo occorre cambiare.