Cartina alla mano, sacco in spalla e via verso il Centro America: da qui parte il nostro giro del mondo, andando in Guatemala alla scoperta di un presidio particolarissimo, identitario di una terra lontana, calda e ricca di storia, il caffè delle Terre Alte di Huehuetenango.
Introdotto dai padri Gesuiti nel 1773, la coltivazione del caffè del Guatemala prosegue florida all’ombra di ebani e mogani nel corso dei secoli, sviluppando una coltivazione ad alta quota di piantagioni di Coffea Arabica di eccellente qualità, apprezzata ancora oggi in tutto il mondo.
“Alla caficoltura in particolare – spiega Paolo, antropologo e fiduciario della Condotta Romana di Slow Food – è legata l’imprenditoria del Guatemala, attirando da sempre l’interesse di giovani investitori, nonché la curiosità dei numerosi turisti che desiderano conoscere da vicino le coltivazioni di caffè“. D’altronde quello del Guatemala è considerato oggi tra i migliori caffè in commercio poiché le piantagioni, “aggrappate” ad oltre 1.500 mt di altitudine lungo le pendici della catena montuosa dei Cuchumatanes, trovano le condizioni ideali per generare un caffè estremamente pregiato. Il fermento economico legato al caffè ha reso possibile l’apertura di 20 nuove caffetterie a Città del Guatemala in soli cinque anni e ha stimolato grandi opportunità anche a livello internazionale, costituendo la molla fondamentale per l’avvio del progetto legato al presidio Slow Food, riuscendo ad entrare nei mercati ad un prezzo giusto che ne valorizza l’alta qualità. Tema purtroppo non scontato quello del riconoscimento qualitativo del prodotto che, pur di soddisfare una domanda in costante crescita, sconta da tempo un calo strepitoso a favore dell’alta produttività.
E in effetti, quanti consumatori sanno come è fatta una pianta di caffè o da dove viene ciò che stanno bevendo? La scarsa divulgazione delle potenzialità e della storia del prodotto, fomenta un’asimmetria informativa preoccupante tra coltivatori e consumatori, i quali ignorano le reali proprietà del caffè, non ne conoscono le singole qualità, né le diverse origini del blend che acquistano presso torrefazioni e supermercati. “Un simile ragionamento – osserva Marco Ferrero (referente in Italia del Presidio e Presidente della Cooperativa Sociale Pausa Cafè di Torino) – non potrebbe mai essere applicato alla filiera del vino o dell’olio, di cui, invece, il consumatore pretende giustamente di conoscere caratteristiche e provenienza“. Su questa asimmetria informativa si genera l’enorme profitto dell’industria del caffè nel mondo, concentrato nelle – solite – mani di pochi; ricordiamo che il caffè è la seconda materia prima commercializzata dopo il petrolio, e questa non equa distribuzione dei redditi generati va tutta a danno degli oltre 60 mln di piccoli produttori che vivono in zone montuose e che grazie alla loro attività rappresentano importanti sentinelle dello sviluppo economico legato alla caficoltura artigianale. Il caffè delle Terre Alte di Huehuetenango, infatti, è tra le poche varietà in commercio che prevede la raccolta a mano ad ogni sua fase: dalla selezione delle ciliegie, all’estrazione dei chicchi dalle bacche, fino all’essiccatura al sole per tre giorni. Ignorare questi aspetti, significa trascurare la storia di un popolo, dimenticare l’eredità di un’agricoltura secolare, non salvaguardare la biodiversità naturale che sostiene tutto questo.
Grazie all’azione di Slow Food e di tanti coraggiosi protagonisti che non hanno voluto arrendersi di fronte a dinamiche di mercato spesso distorte e incuranti dei più deboli, hanno visto la luce progetti come il Presidio del caffè di Huehuetenango, Cafè y cafè, Anacafè e molti altri, dando vita ad un sistema del caffè solido, giusto e sostenibile.
E allora con “dimmi che caffè bevi e scoprirai chi sei” voglio lanciare una provocazione nella speranza di stimolare anche il lettore meno attento ad interrogarsi su cosa compra ed informarsi quando mangia, con la stessa passione con cui, ogni giorno, assapora la sua immancabile tazzina di caffè.