Denominazioni e certificazioni: non saranno forse troppe?

DOC, DOCG, DOP, IGP, PAT e la lista delle denominazioni e certificazioni è lunga. L’Italia è famosa per i suoi prodotti eccellenti, ma forse ci si è fatti prendere un po’ troppo la mano con queste nomenclature.

L’Italia è il Paese europeo con più denominazioni d’origine e indicazioni geografiche riconosciute. Non si parla di un paio di centinaia di prodotti ma più di 800. E con questo si stanno escludendo i presidi Slow Food, i prodotti agroalimentari tradizionali, questi addirittura 5.128 e molti altri. Si starà forse esagerando? Si finirà ad avere un unico grande elenco di tutte le produzioni agricole, casearie, vinicole del territorio senza alcuna distinzione?

La ricerca delle eccellenze

Tutte queste denominazioni nascono per ricercare e distinguere i prodotti di qualità. La denominazione di origine controllata nasce nel 1963 per volere dell’avvocato Rolando Ricci, funzionario del ministero dell’agricoltura. L’obiettivo è quello di identificare a livello territoriale le eccellenze italiane, legandole strettamente al luogo e alle metodologie di produzione. Stessa motivazione porta nel 1992 ala nascita delle DOP e IGP che dal 2011 comprendono anche bevande alcoliche e vini. Una sovrapposizione, forse, ma che prevede una maggiore restrittività della denominazione di origine protetta rispetto alle altre.

La ricerca delle eccellenze non si è fermata qui e si è estesa ai prodotti agroalimentari tradizionali. Un ulteriore registro che aggiunge come clausola di appartenenza il tempo, ossia la presenza sul territorio da almeno venticinque anni. Ancor più nel dettaglio vanno i presidi Slow Food che si prefiggono l’obiettivo di salvaguardare dall’estinzione ortaggi, frutti e prodotti tradizionali.

Le credenze odierne sulle denominazioni

Oggi è usanza credere che un vino con marchio DOC o DOCG sia necessariamente superiore a uno IGT. Questa teoria è nata per un’errata comunicazione perpetrata nel corso degli anni, fatto che è stato alimentato nel 2016, quando durante il cinquantesimo anniversario delle prime denominazioni non sono state proposte revisioni o modifiche alla normativa vigente. In 50 anni sono cambiati molti aspetti, dalle tecniche di lavorazione, al clima fino alla tecnologia, ma non è cambiata la legge, che è rimasta ferma al 1966, anno di introduzione dei primi vini. Siamo stati fermi agli anni ’60 per molto tempo prima di giungere a una revisione dei disciplinari e del modus operandi, poco è cambiato per quanto riguarda l’informazione.

Si parla sempre più spesso del famoso italian sounding e di tutti quei prodotti commercializzati e realizzati all’estero, spacciati per italiani. Un’altra credenza popolare, visto il fatto che molti di quelli che si credono tali, tanto autoctoni non li siano. Non saranno le DOP a fermare la produzione del Parmesan in Wisconsin, ma qui partirebbe una lunga digressione.

Denominazioni e certificazioni tra sovrapposizioni e sovrabbondanza

Sono in molti a sostenere che oggi le denominazioni siano troppe e, ancor di più, che alla fine dei conti si usino sempre le solite dieci e non si conoscano le altre. Un sovraccarico che potrebbe portare alla svalutazione della pregevolezza, l’esatto opposto di quanto prefissato. Si è generata una confusione sul mercato a discapito della riconoscibilità del prodotto. Mercato che, però, ha risentito positivamente dal punto di vista economico con tutte queste sigle viste come sinonimo di qualità a tutti i costi. I consumatori sono attirati da queste denominazioni più che dalla reale genuinità e artigianalità del prodotto.

La focaccia di Recco col formaggio IGP sono in pochi a poterla fare, ma nello stesso comune ci sono versioni più buone di quelle marchiate. Stesso discorso per il pampepato di Ferrara IGP, ottimo in loco, ma ancor di più nella vicina Migliarino, senza marchio però. Che sia solo questione di marketing? Cercando sul web quello che si trova è quasi unicamente relativo alla parte economy. “Crescono i valori delle DOP, DOC e IGT”, “Aumenta il mercato delle denominazioni”, “Primi in Europa per vendite”, ma le denominazioni sono veramente una garanzia per il consumatore?

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