Dietro ogni vino c’è una storia e in queste righe c’è la storia della famiglia De Bartoli, di un’isola difficile e meravigliosa come Pantelleria e di vini che sono vere e proprie perle: marsala, zibibbo e passito. Un viaggio in compagnia di Marco de Bartoli e dei suoi vini.
Sebastiano ha l’eleganza del vero padrone di casa quando ti accoglie nella sua tenuta, la pacatezza e il tono di voce di chi qualche fatica nella vita l’ha affrontata e un luccichio negli occhi che, a detta di chi ha conosciuto Marco De Bartoli, somiglia molto a quello del papà. È quasi serafico nel raccontare la storia della sua famiglia e cosa spinse il padre da Marsala a Pantelleria, a ridare dignità a un prodotto quasi estinto: il passito, l’”oro” di Pantelleria.
Il Marsala De Bartoli
Marco viene ricordato per la sua narrazione di impetuosità travolgente, quasi burberità, quando restituiva la responsabilità a quegli uomini che hanno avuto parte attiva nel degrado della Sicilia in generale, e nella compromissione del nome Marsala in particolare. Ma comprendi che dietro quel disappunto c’era un uomo del sud orgoglioso e risolutivo. Probabilmente la sua indole era quella di non voler acconsentire all’estinzione di un qualcosa di bello, e la volontà di rispettare una tradizione vinicola siciliana, la produzione del Marsala, il vino liquoroso a base di Grillo, del quale la famiglia De Bartoli custodisce dal 1980, anno di produzione del primo “Vecchio Samperi”, in onore della contrada che accoglie la cantina, ancora la ricetta tradizionale. Viene prodotto, infatti, “in perpetuum”, ovvero con un sistema di travasi di vino nuovo in botti contenenti vino di annata o annate precedenti, senza essere “fortificato” (rinforzato con alcol etilico) metodo che adottò l’inglese Woodhouse per trasportare il vino dalla Sicilia all’Inghilterra, per conservare meglio il liquido, e che verrà introdotto in seguito all’interno del disciplinare per la produzione del Marsala. Questo vino ha subito un drastico calo di produzione a causa delle mode degli ultimi decenni, dopo il business miliardario che diede vita a Marsala nel XIX e XX secolo, tanto da vedere la nascita di almeno 200 bagli per la sua produzione. Oggi non saranno più di 20 ormai le cantine ancora impegnate in questa produzione.
Marco De Bartoli e Bukkuram
La stessa ricerca di qualità Marco de Bartoli la riservò nel 1984 a un altro vitigno autoctono, lo Zibibbo, o moscato di Alessandria, per ricavarne il celebre Passito di Pantelleria. Sebastiano racconta che il padre rimase folgorato dalle potenzialità di questa terra vulcanica così affascinante, tanto da intraprendere rapporti con agricoltori autoctoni e incuriosirsi al sapere che il passito fosse un vino prodotto ormai ad esclusivo consumo privato dei produttori. Decide di realizzare una nuova cantina in contrada Bukkuram , termine arabo per “padre della vigna”, nomen omen, all’interno di un dammuso risalente al Settecento, con 5 ettari di vigneto intorno, a 200 metri sul livello del mare. Come a Samperi, nel rispetto della cultura del territorio, la cantina di Pantelleria prenderà il nome della contrada che la ospita; inizia così una nuova avventura che porterà alla valorizzazione di un prodotto e di un territorio cui prenderanno parte, in seguito, altre cantine siciliane.
Marco ascolta gli agricoltori dell’isola, chiede consulenza sulla tecnica dell’appassimento al sole, così finalmente nel 1984 mette in bottiglia il suo primo passito chiamato proprio “Bukkuram”, un moscato passito di Pantelleria “che ha orgoglio e merito di avere risvegliato da un lungo letargo l’interesse per un vino che perfino la mitologia greca annovera tra le sue leggende“.
Raccolta l’uva rigorosamente a mano, sia per la tipologia di impianto ad alberello, sia per non intaccare minimamente il grappolo o anche singoli acini, importanti per l’appassimento del grappolo intero, si mette in appassimento al sole per il 50% , per creare un vino base che si metterà a fermentare con un alto grado zuccherino, fino ad arrivare a 17, 18, a volte 19% vol. Dopo tre settimane di fermentazione si spreme il mosto e si addizionano le uve rimaste ancora in appassimento sulla pianta e sgrappolata a mano, viene aggiunta al vino, a più riprese, e lasciata a macerare per circa tre mesi fino ad ottenere un equilibrato rapporto tra la componente alcolica e il residuo zuccherino. Segue un affinamento di almeno 30 mesi in barrique e 6 mesi in acciaio. Un grande vino, la cui attesa per essere degustato è così lunga, merita di essere imbottigliato solo nelle annate particolarmente indicate ad accogliere una tale complessità.
Così quando Marco De Bartoli pensò di creare un altro passito che invece fosse più snello, espressione dell’annata corrente, fresco e fruttato, meno complesso e strutturato del tradizionale Bukkuram, in grado di regalare allo stesso modo piacevoli sensazioni, si trovò di fronte al quesito su quale sarebbe stato il suo nome. Decise di differenziare i due passiti sottolineando la complessità con il nome “Padre della Vigna”, mentre la potenzialità della vendemmia annuale sarebbe stata identificata come “Sole d’Agosto”, il responsabile della concentrazione zuccherina che conferirà il carattere al vino.
Lo zibibbo De Bartoli
Sempre a Pantelleria, nel 1989, Marco decide di intraprendere la produzione di un nuovo vino. Seleziona quindi uve Zibibbo nelle zone a nord e più ombreggiate dell’isola, più adatte alla produzione di vini bianchi freschi e in grado di conferire ai grappoli un’acidità maggiore e contenuti zuccherini più bassi, non arrivava a 16 max 17%vol. È in contrada Cufurà, in un vigneto di circa tre ettari, a 350 metri sul livello del mare e con esposizione nord-est, che nasce il “Pietranera”, un vino bianco realizzato da uve Zibibbo in purezza ma secco; un’espressione aromatica del vitigno vestita di innovazione che, grazie a 6 mesi di affinamento in acciaio, cui precede una criomacerazione di 48 ore, permette di notare una mineralità e freschezza che non aveva mai sospettato ancora nessuno, prima dell’arrivo di Marco sull’isola.
Ultimo arrivato in famiglia De Bartoli è “Integer” Zibibbo, dal latino “integro” e rispetta in tutto e per tutto la natura del vitigno e il territorio. Quando Sebastiano, dopo aver mostrato la bellezza degli impianti, l’uva stesa al sole e la suggestiva serra con i graticci per l’appassimento, ci introduce nella bottaia e con grande sorpresa tanti soldatini di terracotta lasciano uscire dalla cima mosto di zibibbo in fermentazione, i cui lieviti all’opera eseguono il proprio lavoro indisturbati. Le anfore, oltre ad essere molto suggestive, contengono i grappoli diraspati e in macerazione, per tutto il periodo della fermentazione, operata da lieviti indigeni, senza rimontaggi né follature. Dopo la svinatura, segue circa un anno di affinamento negli stessi fusti e anfore in presenza delle proprie fecce fini, a temperatura ambiente. Il vino viene imbottigliato non filtrato, né stabilizzato, poiché illimpidito dalla sedimentazione naturale, e senza alcuna aggiunta di solforosa. Nessun uso di concimi chimici del suolo, nessun trattamento di diserbo, trattamenti fitosanitari drasticamente ridotti, utilizzo minimo di rame e zolfo, resa moderata per pianta, selezione manuale dei grappoli, vendemmia manuale in piccole casse, garantiscono il totale rispetto del territorio e del prodotto, l’ “integrità” nel calice.
“Il vino e l’uomo fanno pensare a due lottatori tra loro amici, che si combattono senza tregua e continuamente rifanno la pace. Il vino abbraccia sempre il vincitore”. Questa citazione fa pensare molto alla cura e alla vendemmia in un’isola come Pantelleria, dove lo scirocco solca il viso, e la terra lascia la sua firma con un inchiostro difficile da lavare. Ma ad oggi, se ci si chiede se sia valsa la pena per un avventuriero come Marco de Bartoli affrontare decenni fa una sfida del genere, la risposta la si può dare personalmente quando si ha il piacere di aprire una sua bottiglia firmata Benth el Riah.