Recensione di una gita a Viterbo con lo chef Danilo Ciavattini quale “conducente”, alla scoperta del suo territorio
Trascinate mogli e mariti, fidanzate e fidanzati, figli e figliastri, magari anche qualche avventuriero amico, e partite alla volta di Viterbo, alla scoperta del ristorante di Danilo Ciavattini. Se siete di passaggio fermatevi, se siete della zona per una volta nella vostra vita non scegliete la classica osteria (ce ne sono di buone sicuramente), se siete di Roma o dintorni è la perfetta gita fuori porta della domenica. Evitando le strade più veloci e passando per i paesini limitrofi quali Nepi, Civita Castellana, Orte, sarete incantati da paesaggi naturali incontaminati, da un territorio che ha tanto da raccontare e il tutto non farà che prepararvi all’esperienza guidata dallo Chef Ciavattini.
Il ristorante di Danilo Ciavattini
Viterbo, con il suo borgo medievale, si lascia concedere molto volentieri una passeggiata all’interno delle sue mura. Proprio qui sorge il ristorante che prende il nome del suo Chef, in uno dei vicoli del centro storico di quelli stretti, di quelli che quando passa un automobile sei costretto a fermarti e metterti spalle al muro. Una grande scommessa aprire un locale con importanti ambizioni in queste circostanze. Un azzardo iniziato circa due anni fa, con la volontà di voler raccontare un territorio, i suoi prodotti e produttori. Dunque dove stabilirsi se non nel cuore pulsante di questa regione conosciuta come Tuscia?
Il locale
Entrando nel locale ci si potrebbe aspettare di tutto, non essendo visibile da fuori e avendo così l’impressione di aprire una porta segreta. L’effetto sorpresa una volta entrati è a dir poco piacevole: non c’è il nulla come si poteva temere bensì due sale, una esterna sull’entrata e una più interna, arredate con sobrietà e cura. Le architetture antiche riscaldano l’ambiente, donando quella suggestione storica che ci si aspetta di trovare. Le opere realizzate con ramoscelli di legno invece sono un rimando moderno ai boschi circostanti, sono il vero collante tra la filosofia in cucina e la sala.
La prova d’assaggio
Il pasto è stato composto da sei portate, di cui cinque salate e un dolce con altrettanti vini in abbinamento al calice. La spesa è più che onesta e tiene giustamente conto del luogo in cui si trova, permettendo al ristorante di essere accessibile per tutti, 90 euro che non fanno paura in questo caso. Le portate sono state un vero e proprio racconto della Tuscia, dal vegetale all’animale. Piatti semplici ,senza alcun ingrediente stonato, creando così un gusto autentico e veritiero. Massimo rispetto dei prodotti che la terra offre i quali vengono toccati il meno possibile, diventando loro i veri protagonisti di questo viaggio grazie agli accostamenti che Chef Ciavattini elabora.
I piatti
Tra le diverse proposte quelle che colpiscono di più sono quelle che più si legano con il territorio, a partire da un finger food offerto come aperitivo: Cono di pasta fritta con sopra della ricotta fredda a voler ricordare una crema alla vaniglia e, invece che la bramosa punta di cioccolato, troviamo in fondo la Susianella viterbese, tipico salume della zona a base di frattaglie. Il Raviolo ripieno di salame Stefanoni, nota azienda dei dintorni, è di fattura ineccepibile per quanto riguarda la pasta. Il ripieno esalta al massimo le sapienti mani artigiane di un produttore della zona: un tagliere di salumi in un raviolo, commovente. Peccato la spuma di finocchio alla base non riesca a sgrassare sufficientemente, ma che quel piatto sia così spinto è cosa buona è giusta.
Veramente ottima la portata principale, la Patata interrata. Tubero del viterbese IGP accompagnato da una zuppetta di funghi galletti e tartufo nero, erbe aromatiche e un terriccio di cornucopie. Concettualmente il più riuscito, un esplosione di terra e sottobosco con odori e profumi ancestrali. Un piatto radicato in tutti i sensi. Da menzionare infine l’Agnello in tre tagli con purè al camino, dove la nota affumicata esaltava l’intero piatto, e l’olio solido da poter spalmare come burro sul pane. D’altronde l’olio nella Tuscia è cosa seria e non poteva mancare di certo.
Il servizio di Sala
Il personale in sale è giovane e originario del posto così come i prodotti. Il servizio è puntuale e formale, forse anche troppo, ma comunque piacevole. I piatti sono stati presentati con naturalezza e passione evitando l’effetto strofetta imparata a memoria. I vini accostati ai piatti, neanche a dirlo, sono tutti locali o comunque della regione. Dominio assoluto del Grechetto che ci ha accompagnato per quattro portate su sei, una vera e propria verticale sul vitigno passatemi il termine. Vini decisi, di buona spalla e non troppo complessi, proprio come la cucina dello Chef Ciavattini.
L’esperienza nel complesso è unica come unico è il territorio che vuole raccontare, quindi se siete poco propensi alle passeggiate tra borghi medievali e boschi, sedetevi pure e godetevi il viaggio.