Le tradizioni natalizie, sempre care al popolo italiano, si rispettano anche (e soprattutto) a tavola. Dal Nord al Sud Italia com’è il Natale a tavola? Scopriamo insieme come si differenzia la celebrazione delle festività natalizie tra piatti, abitudini e consuetudini.
L’avvento delle festività natalizie è stato sempre accompagnato da un caldo fervore e da un grande entusiasmo da parte della gente, trepidante nel vivere ancora una volta tutta la magia del clima natalizio. Sotto al vischio si ritrovano parenti, amici e affetti quasi tutti irreperibili durante il normale anno solare, per cui l’occasione di celebrare l’occasione diventa assai ghiotta. E quale sarà mai il miglior modo?
Casus belli dell’aumento vertiginoso delle iscrizioni in palestra nel mese di gennaio, la grande abbondanza di cibo e piatti tipici natalizi rappresenta il giusto tramite per onorare la convivialità a tavola, scaldando simultaneamente sia i cuori che gli stomaci. Fra le tante ritualità e ricorrenze ciecamente rispettate in questo periodo, l’alzarsi da tavola completamente satolli è un must sacrosanto da cui non si può scappare. Per rendere tale tutto ciò, occorre però un menù adatto, goloso e ricco in tutte le sue portate.
Dal Nord al Sud Italia, la musica è varia, allegra con brio, verrebbe da dire: tutte le cucine regionali e locali offrono qualcosa di diverso, cambiano completamente o aggiungono le varianti “a modo nostro” di un classico piatto, senza poi dimenticare le tonnellate di dolci tipici, buoni dalla colazione al dopo cena, proposti in massa durante i numerosi pasti celebrativi. Tralasciando li classici nazionali come pandoro, torrone e panettone presenti nelle tavole di ogni angolo della penisola, la territorialità e lo stile di vita locale risultano rilevanti nella genesi di ogni menù natalizio, aumentando ancor di più la vastità del patrimonio enogastronomico. Passando dalle Alpi fino ad arrivare alla punta della Calabria, facendo un giro per le Isole, vediamo come si caratterizzano e si distinguono pranzi e cenoni durante il Santo Natale.
La sacralità del pranzo del 25 al Nord
L’ingente quantità di pranzi e cenoni festivi, i quali si susseguono a distanza di pochissimi giorni, richiede una notevole manodopera culinaria, necessaria per la continua elaborazione di svariati piatti tradizionali volti a sfamare la parentela (e affini) seduti a tavola. La programmazione dei menù da proporre viene stilata con largo anticipo, uno studio minuzioso e attento volto a stupire e saziare tutti i commensali, elevando ancor di più il proprio status di “cuoca/o amatoriale dell’anno”. Bisogna quindi focalizzarsi su un’unica occasione, quella più importante per mostrare al meglio le proprie abilità.
La differenza sostanziale tra le 2 fazioni italiane durante la santificazione delle festività natalizie risiede nel giorno più importante, elogiato con il più maestoso e ricco banchetto tra tutti quelli proposti. Le portate variano a seconda della tradizione locale, differenziandosi in base alle differenti tipologie di cibo proposte e alle quantità, trovando però luoghi comuni tipicamente “all’italiana” attraverso la presenza a tavola di molteplici dolci, arrosti, brodetti e pietanze a base di frutta secca.
Nel caso in cui ci trovassimo in una qualche zona del Nord Italia, noteremo sicuramente come il pranzo del 25 dicembre sia quello più maggiormente curato. Rigorosamente da festeggiare in compagnia dei parenti più stretti “(A Pasqua con chi vuoi, a Natale con i tuoi”), il menù prevede una serie di piatti sia a base di carne che di pesce. Si comincia con antipasti freddi a non finire tra salumi, formaggi, timballi di verdure e cocktail di scampi fino ad arrivare ai primi. Per combattere poi il freddo gelo invernale, è necessario un caldo primo piatto rappresentato da un consommé di pasta fresca ripiena come ravioli, agnolotti o canederli (esponente trentino illustre della “pasta secca”) o dalla sempre amata polenta, da accostare con selvaggina, verdure o pesce tra cui la celebre “polenta con baccalà” del Veneto.
Successivamente ci si scalda ancor di più con un secondo di carne prettamente bollito. Tra questi il cappone rappresenta il più regalo, accompagnato con salse tipiche e dell’insalata russa oppure si può virare sul “cugino” del capitone napoletano, ovvero la lombarda “anguilla cotta al cartoccio”. Si abbatte infine il dualismo “panettone o pandoro” per lo scettro di dessert finale: c’è chi ama di più il sapore classico del panettone milanese e chi invece, per evitare i tanto odiati canditi, si affida al soffice pandoro veronese.
Il profumo di pesce del cenone della Vigilia
Di tutt’altro canto è quello che succede nel Sud Italia, dove la più trepidante attesa viene riservata al cenone della Vigilia. Per l’occasione viene allestita una tavola chilometrica, la quale tiene incollati i commensali (tra cui familiari, parenti alla lontana e persino non affini) per ore e ore a causa delle infinite pietanze presentate. A questo “spietato tour de force” ci si prepara psicologicamente e fisicamente nei giorni precedenti, evitando così di sfigurare tra i presenti se per la troppa sazietà non si assaggia ogni manicaretto cucinato o servito. Rigorosamente a base di pesce, il menù rispetta le tradizioni culinarie locali, portando avanti il grande amore per i crudi di mare e per la frittura. Dopo alcuni antipasti di apertura, non c’è Vigilia senza l’iconica spaghettata alle vongole accompagnata rigorosamente da un altro primo piatto.
Il primo round termina poi con i secondi, fritti o al forno tra cui il baccalà e il capitone. Quest’ultimo grandissimo esempio di iconografia mediterranea, simbolo della vittoria del bene contro il male essendo la controparte benigna del serpente, raffigurazione da sempre maligna. Il secondo round invece si apre con torte rustiche salate di ogni tipo accompagnate dalle immancabili “insalate di rinforzo”, una mescolanza abbondante di verdure, sottaceti e acciughe. Finito col salato, parte il gran galà di dolci tipici: oltre ai classici panettoni e pandori, dalle bollenti friggitrici vengono sfornate numerose golosità tra cui gli struffoli Campani e le cartellate Pugliesi. E poi via con i vari roccocò, cassate, mostaccioli, cannoli….insomma chi più ne ha più ne metta!
Il pranzo di Natale invece è tutt’altro che contenuto, mettendo a dura prova ancor di più i sopravvissuti al cenone precedente. Ora è la carne a fare da padrone: insaccati e salumi per antipasto, svariate paste fresche immerse nel ragù di carne “della nonna”, lasagna o cannelloni, o timballi di anellini se scendiamo in Sicilia e per finire carne arrosto tra cui agnello, capretto o il celebre porceddu sardo abbastanza diffuso nelle varie regioni, seppur Lazio e Sardegna tengono il primato.