Oggi facciamo un breve viaggio nella cucina haitiana con Roberto Mirandola, che ci racconta reminiscenze di luoghi, gusti ed esperienze.
Haiti l’ho conosciuta, o perlomeno ne ho sentito parlare per la prima volta, quando ero ancora bambino. Ricordo che a un campionato del mondo di calcio l’Italia si trovò a giocare la prima partita del torneo contro la formazione di questo Paese fino ad allora praticamente sconosciuto ai più, confuso con l’isola di Tahiti o, nel migliore dei casi, erroneamente considerata una nazione dell’Africa equatoriale.
Per una serie di bizzarri incroci del destino, molto tempo dopo questo piccolo stato che occupa circa un terzo dell’isola di Hispaniola nel Mar dei Caraibi, il resto è costituito dalla Repubblica Dominicana, avrebbe indirettamente segnato per sempre la mia vita. Ecco perché continua a destare in me una certo interesse, da qualche anno anche dal punto di vista gastronomico. Considerata la cronica instabilità politica e l’alto tasso di criminalità che si contrappongono alle bellezze naturali e al clima tropicale, da alcune decine di anni qualsiasi tipo di viaggio – che sia per affari o per turismo – è fortemente sconsigliato.
Com’è la cucina haitiana
La cucina haitiana è una mescolanza di cucina francese e creola, a sua volta una sintesi di ricordi africani che risalgono all’epoca degli schiavi e di sapori tropicali importati dagli amerindi e dagli europei. Le infinite difficoltà politiche ed economiche con cui Haiti ha dovuto misurarsi, hanno spinto il suo popolo a non lesinare gli sforzi per creare piatti che potessero almeno soddisfare il palato.
Il djon djon, un fungo nero dalla piccola cappella ma dal gambo non commestibile, è una specialità rara, ma molto ricercata. Quando si cuoce, rilascia un liquido marrone scuro, che dà alle preparazioni un colore particolare e un sapore squisito. Il riso djon djon, piatto tipico del nord dell’isola, si serve con pesce, griots o altre carni. Il griots è una componente fondamentale della locale cucina tradizionale. Ha come base la spalla di maiale tagliata a dadi ed è solitamente servitacome piatto unico guarnito con unasalsa piccante detta ti-malice (preparata con olio d’oliva, peperoncino, erba cipollina sale, pepe, aglio, cipolla e lime) e un contorno di riso e fagioli o di banane pesées (banane verdi tagliate a rondelle, rosolate fina diventare dorate e croccanti). Tra i dolci che impiegano prodotti locali i più diffusi sono il pain patate preparato con patate dolci, latte condensato, uova e cannella e il coquimol, con zucchero, crema di cocco e rum bianco.
Haiti era una delle tante isole abitate dai Taìnos, una popolazione appartenente alla famiglia degli Arawak, parlanti un particolare idioma detto Taíno. Curiosamente è qui che ha avuto origine il barbecue, termine derivato dal taíno barabicu, successivamente entrato nell’uso comune di alcune lingue europee come barbacoa (in italiano letteralmente traducibile in struttura di bastoni posti su pali) grazie allo storico e naturalista spagnolo Gonzalo Fernández de Oviedo y Valdés che la utilizzò per primo nel 1526. Dopo lo sbarco di Colombo a Hispaniola nel dicembre del 1492, gli spagnoli trovarono i nativi haitiani che arrostivano carne animale su una griglia costituita da una struttura di legno appoggiata su bastoni e un fuoco acceso sotto in modo che fiamme e fumo si alzassero e avvolgessero la carne animale, conferendole un particolare sapore. Stranamente, la stessa struttura veniva utilizzata come mezzo di protezione contro la fauna selvatica che poteva attaccare le persone nel cuore della notte. Il barbecue non solo è sopravvissuto nella cucina haitiana, ma è stato introdotto in molte parti diverse del mondo con numerose varianti locali.
Il Rum di Haiti
Pochi lo sanno, ma ad Haiti si produce uno dei migliori rum in assoluto: il clairin – o kleren in creolo – l’altra lingua ufficiale del Paese assieme al francese. Si tratta di un rum cosiddetto “agricolo” ricavato dal puro succo di canna da zucchero (e non dalla melassa diluita in acqua, come accade per la versione “industriale”). In più, la pianta della canna da zucchero da cui viene estratto il succo successivamente distillato, è una pianta esente da qualunque tipo di contaminazione o ibridazione. La canna si coltiva circondata dalla ricca vegetazione locale composta da palme, alberi di anacardi e dominata da enormi piante di mango. Si raccoglie a mano a colp di machete. Alcune distillerie utilizzano il succo freschissimo, altre invece prediligono lo sciroppo o il residuo alcolico di una precedente distillazione. I lieviti utilizzati per la fermentazione sono quelli presenti nell’aria. Fanno tutto da soli, senza alcun ausilio da parte dell’uomo. Da alcuni anni il suo gusto inconfondibile è apprezzato anche all’estero. Ma sono soprattutto è apprezzato dalla popolazione locale, considerando il fatto che, sotto tetti quasi sempre di lamiera solo a volte protetti dall’ombra degli alberi, ci sono oltre cinquecento alambicchi accesi ad Haiti, contro i circa cinquanta di tutto il resto dei Caraibi. Le piccole distillerie haitiane – le cosiddette guildive – rappresentano ciò che in Italia erano un tempo i panifici e le drogherie di provincia.
Dove mangiare ad Haiti fuori da Haiti
Per gustare le specialità gastronomiche della cucina haitiana fuori dai confini nazionali, occorre recarsi principalmente in Nord America dove sono presenti alcune comunità di emigrati isolani. Da tempo immemore, almeno una volta all’anno faccio visita a Le Soleil Restaurant, il ristorante haitiano più rinomato di Manhattan e, più in generale, uno dei migliori ristoranti di cucina caraibica di New York. Aperto nel 1973, è un locale sobrio che offre piatti ben preparati, porzioni abbondanti e prezzi onesti. Un’esperienza diversa dai ristoranti eleganti e di tendenza della città ma che vale la pena provare, quantomeno per assaggiare le specialità di una cucina diversa.
Viv Ayiti, viv cuisine ayisyen! Viva Haiti, viva la cucina haitiana!