Cucina da Femmine, una nuova rubrica dedicata alle chef, alle cuoche, alle donne che lavorano dentro e intorno alle cucine del mondo. A quelle “femmine” che lavorano con il cibo e per il cibo. Un momento di racconto personale, di riflessione, di esplorazione in un mondo contaminato da elementi differenti che ci mostreranno la cucina, il cibo e chi le vive in un’altra prospettiva. Pronti a viaggiare con noi?
“Un uomo capace di inventare quello che non è stato ancora mangiato in casa”. In questi termini il filosofo e scrittore francese Jean-Francois Revel ha definito, nel 1979, la figura dello chef. Un pensiero polveroso, che però riflette ancora lo stereotipo di chi sta ai vertici dell’alta cucina. Figure maschili dalla geniale e rivoluzionaria inventiva, impegnate a immaginare il futuro della gastronomia lontano dalle mura domestiche.
Chef o cuoca?
A ben vedere, mancano le parole per inquadrare una questione incollata a un maschile indeclinabile. Segno evidente che serve lavorare sul pensiero, enucleare un fenomeno che esiste e poi formarlo in un vocabolo. Chef donna? La chef? O magari cheffe, come ha da poco coniato l’Académie Française? Ci avventuriamo nei giri di parole tanto da chiederci se oggi, nel 2021, sia ancora necessario discutere di parità di genere in cucina senza inciampare in una trita retorica.
Il dato di fatto è che qualche alternativa più valida andrà trovata, perché “cuoca” continua a raccontare altro. Dice di chi cucina per passione, diletto, o nel migliore dei casi in mensa o trattoria. Il motivo si capisce facilmente. Come la maggioranza degli ambiti del vivere sociale, l’alta gastronomia non è sfuggita al dominio del pensiero maschile, che ne ha modellato parole e forgiato modalità. Rimane ampio il divario tra cucina domestica e professionale, la prima appannaggio indiscusso delle donne, in un ideale popolare fin troppo comune, mentre la seconda degli uomini. Due storie parallele, quella delle cuoche e degli chef, che per secoli si sono incontrate di rado. La cucina casalinga della tradizione, del noto, del confortevole da un lato e la gastronomia di ricerca, innovazione e scoperta dall’altro.
Donne in cucina, i numeri
Se alla semantica accostiamo la statistica e ci portiamo sulla stretta contemporaneità, vediamo come le chef alla guida dei ristoranti del mondo ricoprano un esiguo 4%. La stessa cifra — nei casi migliori — si ripete nelle classifiche e premi internazionali: soltanto quattro le chef donna nell’edizione 2021 dei World’s 50 Best Restaurants. Addirittura una in meno dell’anno precedente.
I numeri delle presenze nelle scuole di cucina, invece, rivelano altro. Sono sempre di più le ragazze che si avvicinano a questa formazione, oggi quasi nella stessa percentuale dei colleghi maschi. Agli apici dell’alta ristorazione, però, ne arrivano ancora troppo poche. I motivi sono numerosi, intrecciati e complessi, ma alcune criticità appaiono lampanti. I gatekeeper di questo settore sono ad oggi prevalentemente uomini che lasciano passare altri uomini. Le ragazze che lavorano in cucina restano perlopiù impiegate nelle seconde file o in ruoli di responsabilità marginale, faticando troppo per intraprendere un percorso di personale affermazione. In tante abbandonano questo mondo addirittura prima di riuscire a trovare spazio, e non è affatto difficile immaginare il perché. Turni di lavoro massacranti, ideologia del sacrificio, oggettive incompatibilità personali con l’eredità dei molteplici ruoli di una donna, senza eludere quel certo alone di machismo che continua a serpeggiare e intossica il contesto di lavoro.
Leggi anche il primo articolo della nuova rubrica SWEET SIDE
Cosa vi racconteremo
Sono innumerevoli i nodi e i temi da approfondire, a partire dalla cucina per irradiarsi alla politica, economia, storia, ecologia e molto altro. Quello di cui è necessario parlare, superando qualsiasi tipo di preconcetto annidato nelle distinzioni di genere, è la libertà.
La libertà di scegliere un lavoro, la libertà di affrontarlo con la consapevolezza di essere alla pari tanto nel ruolo di chef, quanto in quello di genitore. La libertà di sposare le stesse rinunce, gli stessi sacrifici, la stessa passione e infine, il pari valore nel raggiungimento di un sogno.
Eliminare il carattere ereditario dovuto al genere è un’utopia, forse per ora anche poco sana, ma sfondare i muri alzati intorno all’identità di una professione è necessario.
Proprio per questo, per noi, l’orgoglio di essere Donna può essere rappresentato da una galassia di mille sfumature in un universo complesso. In questo caso, quello gastronomico. Sfumature che sono storie da raccontare. Quelle di chef, maître, ma anche produttrici e artigiane, con le quali cercheremo un dialogo continuo cercando di far emergere le specificità di un approccio femminile e ragionando al di fuori degli schemi e degli stereotipi di genere. Ci interrogheremo sulla singolarità della loro prospettiva e cercheremo di decostruire un immaginario superato, rendendolo plurale e fluido.
Cucina da Femmine, se non lo avete capito, è il titolo provocatorio di quella che sarà una rubrica libera dedicata all’orgoglio. Sarà un bel viaggio, seguiteci!