Il critico gastronomico e l’influencer, la carta stampata e TikTok, la televisione e l’etica. Ruoli, professioni, strumenti e valori diversi nonché molto lontani tra loro per funzione e per generazione di utenza, che negli ultimi anni vengono troppo spesso messi a confronto generando confusione.
Succede sempre così, ché quando non capiamo qualcosa tendiamo a confonderla con altro e a creare polveroni che annebbiano anche chi, da noi, dovrebbe invece ricevere chiarezza e sana rassicurazione. Quindi se Benedetta Rossi genera una guerra di commenti sui prodotti che utilizza e su dove fa la spesa, giù una serie di puntualizzazioni a caccia di click e di posizioni autorevoli, così come se qualche tiktoker che influenza sui social si fa pagare per sponsorizzare ristoranti, giù la scomposta slavina dei critici che si sentono spodestati e che gridano alla morte del loro mestiere e di anni di competenze acquisite. Ma è davvero così? Voglio dire, è davvero giusto che venga raccontato così? O forse tutto questo è solo figlio di una frustrazione che rischia di creare ancora più confusione in chi legge, guarda o ascolta?
Il Critico gastronomico e anche la cronaca gastronomica oggi sono una professione, un lavoro di responsabilità che nasce dai quotidiani unendosi alla storia della stampa. Non fonda le sue radici su competenze specifiche, ma le sviluppa e le valorizza nel tempo con l’obiettivo pionieristico di costruire il valore di un settore che oggi ci arriva come uno dei più preziosi del paese. L’Influencer oggi è un’altra professione e senza tirarla per le lunghe, a essere pratici, oggi sui social esercita lo stesso potere e la stessa figura professionale che qualche decennio fa nasceva con la televisione. Persone in grado di stare davanti a uno schermo e di avere uno stile, che raccolgono consenso e a quello rispondendo generano un flusso economico e una nuova concezione di lavoro. Un tempo erano i dj e i presentatori, oggi sono gli youtuber e i tiktoker. Ora, entrambe queste categorie professionali frequentano ristoranti ed entrambe ne fanno un lavoro, ma perché confonderlo?
Quanto vale oggi il coinvolgimento popolare e di quanto ne abbiamo bisogno per far sopravvivere professioni legate al digitale?
Perché forse questo è il punto, i numeri e la loro necessaria traduzione in economia. Ai grandi numeri interessano le ricette, forse, magari un po’ meno la critica. Ai grandi numeri interessa l’informalità e la necessità di riconoscersi in ciò che vede o che legge, non il confronto con le competenze e uno stile egoriferito che li fa sentire inadeguati. A questo non c’è soluzione.
Stiamo parlando di ruoli e professioni differenti, di strumenti differenti e di logiche commerciali che seguono dinamiche differenti. Stiamo parlando di numeri differenti. Che nessuno gridi all’etica se un Influencer si fa pagare per promuovere un ristorante giudicato discutibile della critica, così come nessuno grida all’etica se qualche chef di grido e osannato molto spesso, in televisione si fa pagare per promuovere prodotti o marchi discutibili per la critica. Di fatto, oggi, un tiktoker fa sui social quello che Gerri Scotti fa in televisione, ovvero pubblicità attraverso i suoi canali e la sua figura professionale, non necessariamente la sua competenza in materia. Ed è tutto lecito. Quindi perché insistere sul mischione di una guerra che non esiste, invece di prenderne le distanze e di lavorare attraverso la critica e la cronaca su una sana informazione che renda consapevoli le persone? Ah, già, si torna ai numeri. Però serve e non si può confondere con altro. Così come servirebbe che nelle scuole si insegnasse che dietro il prezzo delle cose c’è il prezzo del lavoro di qualcuno e non solo di quello che compriamo, se lo paghiamo poco, paghiamo poco quel lavoro. La critica e la cronaca hanno di base l’affidabilità, la credibilità e l’autorevolezza di una firma, in questo senso dovrebbero lavorare per rafforzare il patrimonio dell’informazione e differenziandola dall’intrattenimento. A prescindere dai numeri. Ché poi per inseguirli basterebbe prendere confidenza con nuovi strumenti e canali per stare al passo coi tempi e arrivare a nuove generazioni, puntare sui giovani e formarli per stare al passo dei linguaggi, anche se costa fatica. Questo fanno i nuovi media e questo fanno i nuovi professionisti inseguendo nuove professioni. L’influencing è nato in televisione e non è mai cambiato, è stato solo liberalizzato dall’evoluzione digitale.
Evolvere è necessario. Mentre rimanere seduti su poltrone impolverate a sbattere i pugni contro una nuova generazione di professioni che confondiamo con la nostra, invece, forse genera solo un conflitto inutile e per certi versi anche dannoso. Il timore che alla grande critica di un tempo il futuro riservi il peccato di un anonimato immeritato, serpeggia e fa scalpitare. Se chiediamo alle nuove generazioni, anche di giornalisti di settore (aspiranti critici), chi siano Davide Paolini, Paolo Vizzari e Luigi Cremona, forse solo qualcuno alzerà la mano per rispondere esaustivamente. Questo significa che mentre ci domandiamo chi paga il conto dei ristoranti, senza soffermarci su chi è che scrive al netto di quanto e se paga, dai più di domani la storia della critica gastronomica italiana rischia già oggi di essere conosciuta e ricordata per qualche film, serie tv, un cartone animato o magari un’ospitata in quella tanto odiata televisione cui però ci si cade sempre e volentieri.
Tra Blogger, Influencer, Giornalisti, Critici, Uffici Stampa e Social Media, stiamo facendo confusione per un senso di inadeguatezza ai tempi.
Lavoriamo su progetti e strumenti nuovi, lasciamo fare a ognuno il suo lavoro e diamoci la possibilità (anche economica) di concentrarci sul nostro restituendogli credibilità e rimarcando autorevolezza, se necessario. Partiamo però dal distinguere sempre e bene la critica dall’opinione, la pubblicità dalla promozione, l’intrattenimento dall’informazione. O almeno, scegliamo bene cosa fare.