Lo stop alle esportazioni dai Paesi dell’Est Europa di prodotti largamente utilizzati nel settore alimentare rischia di avere effetti a catena su tutta la filiera. Facciamo insieme una panoramica su quanto potrebbe realizzarsi.
Con l’invasione dell’Ucraina, l’esercito russo non sta solamente affamando gli abitanti delle città sotto assedio. L’occupazione del Paese, che insieme alla Russia è tra i cinque principali produttori mondiali di grano, è destinata ad aggravare la malnutrizione in altre regioni del mondo, anche molto distanti, in un effetto domino di proporzioni globali. Tutto questo avviene in un sistema alimentare fortemente interconnesso, dipendente da poche risorse a rischio estinzione, ancora non riemerso dalla pandemia e già sofferente per le conseguenze dei cambiamenti climatici causati dall’uomo.
Unendo la carenza di materie prime fondamentali per l’industria alimentare e il rincaro energetico, la preoccupazione che salti la catena di approvvigionamento italiana e i prezzi lievitino ancora di più cresce sempre di più.
Il mercato di cereali e di olio di girasole
I primi 15 giorni di conflitto e la crisi energetica già in corso che la guerra ha peggiorato, hanno messo sotto scacco l’agroalimentare italiano. Il mercato rischia di finire al palo, tra il blocco delle forniture cerealicole e di olio di girasole.
Il 60% della produzione mondiale di olio di girasole viene da Russia e Ucraina. Basti pensare che su 570 milioni di euro di prodotti importati da Kiev in Italia lo scorso anno, 260 sono stati spesi per olio di girasole. Entro la fine del mese, avverte Assitol (Associazione italiana dell’industria olearia), le scorte di olio estratto dai semi di girasole potrebbero arrivare a zero. Molti prodotti sono processati con olio di semi di girasole: conserve, biscotti, salse, condimenti, sughi, fritture, in alcuni casi anche pasta.
Ci sono poi i cereali – come mais e grano – che rischiano di non arrivare più in territorio italiano. Per fare un esempio, il 20% delle importazioni di grano dell’Unione europea, Italia compresa, arriva dall’Ucraina. Adesso il governo di Kiev ha deciso di vietare l’export, oltre che del grano, anche di segale, miglio, zucchero, sale e carne, che – come riportano vari media internazionali, tra cui Reuters e il Time, citando documenti governativi – non potranno più uscire dall’Ucraina fino alla fine del 2022. Due i risultati più immediati: l’aumento dei prezzi delle scorte disponibili, e poi il loro esaurimento, a meno che non si trovino in tempo utile nuovi Paesi capaci di esportare quantità considerevoli degli stessi beni.
I rischi, fa notare Alleanza Coop, si potrebbero ripercuotere anche su altri prodotti. “Siamo nelle settimane cruciali per la programmazione della coltura del pomodoro da industria e il rischio è che molti produttori possano scegliere di puntare su altri prodotti come mais, sorgo, girasole e soia, che andranno seminati a breve e che erano, fino a oggi, oggetto di importanti flussi in ingresso da Russia, Ucraina e Ungheria. Anche Mosca e Budapest hanno iniziato a razionare l’export di questi prodotti. Tali coltivazioni potranno d’ora in poi risultare particolarmente interessanti per gli alti prezzi raggiunti. Il rischio di un radicale cambiamento nelle scelte produttiveè reale”.
E gli animali?
Ma grano e simili sono anche alla base dell’alimentazione per gli animali da allevamento: mucche, maiali, polli. Dalla Toscana arriva l’allarme: “L’esplosione dei costi e la crisi delle forniture di mangimi dall’estero sta costringendo gli allevatori ad iniziare a razionare l’alimentazione. Negli allevamenti bovini, per esempio, si sostituirà la farina con il fieno perché il mais inizia a scarseggiare e ha toccato prezzi folli. Siamo di fronte al rischio concreto di non riuscire a garantire l’alimentazione del bestiame“.
Energia elettrica e rincari carburanti
Il comparto alimentare e ristorativo, richiede poi “ingenti quantità di energia, soprattutto calore ed energia elettrica, per i processi di produzione, trasformazione, conservazione dei prodotti di origine animale e vegetale, funzionamento delle macchine e climatizzazione degli ambienti produttivi e di lavoro’. Anche l’energia elettrica sta attraversando forti rincari. Tutto questo, riporta Coldiretti, si è già tradotto in un aumento del’8,6% dei prezzi di produzione dell’industria alimentare sul mercato interno in Italia. Rincaro che si tradurrà inevitabilmente in un aumento dei prezzi al dettaglio.
Da giorni sono poi fermi anche i pescherecci nelle marine di diverse località italiane. Anche i pescatori stanno infatti protestando contro l’aumento dei prezzi dei carburanti e, nonostante dal governo dovrebbero a breve arrivare 20 milioni di indennizzi, iniziano a circolare gli allarmi sul caro prezzi e sulla carenza anche di pesce fresco sul territorio italiano.
La situazione che si sta profilando è tale da dover trovare nuovi ripari per una nuova crisi all’orizzonte.