Oggi vi racconteremo di un fenomeno molto interessante, nato negli Stati Uniti intorno all’inizio dei ruggenti anni Venti: stiamo parlando degli speakeasy.
Per spiegare cosa sono gli speakeasy in parole molto semplici possiamo dire che sono dei cocktail bar nascosti per le vie delle città, nati durante l’epoca del proibizionismo, dove venivano vendute illegalmente bevande alcoliche. Ma naturalmente definirli in questo modo sarebbe a dir poco riduttivo.
Erano locali dove l’esclusività dettava legge: per entrare, infatti, era necessario essere a conoscenza di una parola d’ordine o un particolare segnale. Essi nacquero più di un secolo fa ma tuttora sono presenti in molte città in giro per il mondo, ovviamente con delle caratteristiche un po’ diverse rispetto al periodo storico in cui sono nati.
Gli speakeasy: la storia e l’epoca del proibizionismo.
Partiamo dal principio e vediamo come e quando è nato tale fenomeno, poi trasformatosi in una vera e propria moda. Gli speakeasy nascono negli Stati Uniti all’inizio degli anni Venti, in una fase storica molto particolare chiamata proibizionismo. Il proibizionismo è un periodo storico che va all’incirca dal 1920
al 1933 e che vide la messa al bando di tutti gli alcolici. Da quel momento, grazie all’entrata in vigore del XVIII Emendamento e del Volstead Act nel gennaio del 1920, venne sancito il divieto sulla fabbricazione, il consumo, la vendita ed il trasporto di alcol.
Entrato in vigore il 17 gennaio 1920, anche se il presidente Thomas Woodrow Wilson non era d’accordo, il divieto di produrre, vendere e trasportare (ma non di consumare) alcolici entrò nella Costituzione. Per oltre un decennio il divieto di bere ebbe lo stesso status riservato alla libertà di espressione o all’abolizione della schiavitù. I giornali salutarono con ottimismo l’imminente scomparsa dell’alcol dalla vita sociale, e il corrispondente di una testata inglese si rallegrò per la chiusura di migliaia di squallidi locali e la coincidente apertura di ben più salutari gelaterie e pasticcerie (l’epidemia di obesità era ancora lontana). In realtà quelle gelaterie non erano un segno di repentino cambiamento di abitudini, come riteneva l’ingenuo giornalista, ma delle nuove “coperture”, le facciate dietro le quali prese subito piede lo spaccio clandestino di alcolici.
Provate ad immaginare la situazione degenerante la sera prima dell’entrata in vigore dell’Emendamento. Grandi masse di persone si riversarono nei negozi per far scorta delle ultime bottiglie vendute ancora in maniera legale. Scene apocalittiche che possono ricordare parecchio la situazione in Italia qualche anno fa, durante il primo lockdown da Covid-19, in cui tutti avevano paura che le scorte del supermercato potessero finire da un momento all’altro. Tornando a noi, l’obiettivo del proibizionismo era quello di
moralizzare la società e cercare di arginare il più possibile il tasso di criminalità.
Del resto, l’abitudine ad alzare un po’ troppo il gomito era diffusa tra gli americani da parecchio tempo. Già in epoca coloniale l’alcol aveva assunto un peso persino nel dibattito politico, come ricorda lo studioso Peter Thompson nel suo Rum, Punch & Revolution. Non solo era un elemento naturalmente
presente nella vita quotidiana, ma quasi tutti bevevano, uomini e donne, e senza tante distinzioni d’età. In molte città la campana delle 11 del mattino e poi delle 4 del pomeriggio segnava il cosiddetto grog time, la “pausa alcolica” dei lavoratori.
Ma gli effetti non furono proprio quelli desiderati. Infatti, il divieto di consumare e vendere alcol portò subito la criminalità organizzata ad approfittarsi della situazione e dare il via alla nascita di un enorme mercato nero, il quale vendeva le bevande alcoliche anche dieci volte tanto il loro prezzo effettivo!
La fine del proibizionismo
Fortunatamente nel 1933, grazie all’entrata in vigore del XXI Emendamento, gli statunitensi poterono nuovamente acquistare l’alcol in maniera totalmente legale e venne messo un punto all’epoca del proibizionismo. Nei mesi successivi le entrate del Governo aumentarono intensamente e vennero creati anche numerosi posti di lavoro, legati appunto all’industria alcolica. Il periodo del proibizionismo vide, però, anche la nascita di quello che diventò un vero e proprio fenomeno, ovvero la comparsa di locali segreti in cui si potevano consumare bevande alcoliche. Stiamo parlando degli speakeasy. Innanzitutto, vediamo subito il motivo per cui si chiamano in questa maniera.
Una leggenda metropolitana narra che nel 1888, in un locale illegale in Pennsylvania, la proprietaria del saloon intimò i clienti di abbassare il tono della voce, per evitare di essere scoperti dalla polizia, pronunciando queste parole “Speak easy, boys!”.
Luoghi di inclusione ed emancipazione. Cosa sono gli Speakeasy
Gli speakeasy erano locali nascosti nei luoghi più impensabili, come il retrobottega di macellerie, barbieri o anche all’interno di abitazioni private. Spesso erano gestiti dalla criminalità organizzata e per entrare era necessario essere a conoscenza di una parola d’ordine o un particolare gesto, come per esempio uno specifico modo di bussare alla porta. Tutto ciò rendeva questi luoghi speciali ed esclusivi e questo li rendeva ancora più attraenti agli occhi delle persone che li frequentavano.
Spesso gli speakeasy vengono chiamati anche blind pig o blind tiger ma, in realtà, non sono proprio dei sinonimi e anzi, c’è una differenza specifica tra questi due esercizi. I blind pig o blind tiger erano rivolti più che altro alle classi meno abbienti ed erano locali in cui il cliente pagava una sorta di ticket per vedere delle speciali attrazioni, come per esempio uno spettacolo di animali (da qui la loro particolare denominazione). Nella realtà dei fatti, però, compreso nel prezzo c’era sempre un bicchiere di qualche bevanda alcolica.
Lo speakeasy, invece, era rivolto ad una classe più alta, tanto che molto spesso alcuni di questi locali esigevano un abbigliamento elegante e raffinato.
Inoltre, ai clienti degli speakeasy veniva offerto tanto divertimento e anche del buon cibo. Ma questi locali non sono ricordati solo per il divertimento e l’alcol venduto illegalmente. Gli speakeasy erano anche luoghi di inclusione sociale, dove uomini e donne di qualsiasi cultura e ceto sociale potevano incontrarsi fra loro, per la prima volta, nello stesso luogo.
All’interno degli speakeasy si registra, proprio per il motivo citato poco sopra, una delle prime forme di emancipazione femminile, proprio perché le donne potevano recarvisi liberamente, senza la paura di sentirsi giudicate. Infatti, numerose furono anche le barlady che lavoravano all’interno di questi particolarissimi secret bar.
Il successo degli Speakeasy oggi
Ma se nell’era del proibizionismo questi comportamenti erano necessari, perché oggi, nell’era della pubblicità e dell’informazione, nascono ancora questi locali dalle sembianze ingannevoli?
Will Ricker, il proprietario de La Bodega Negra, spiega che il successo degli speakeasy sta nel far percepire il posto come esclusivo e privilegio per pochi ben informati. La clientela si sente così parte di un circolo esclusivo ed è disposta a pagare un prezzo più alto della media. La Bodega Negra, infatti, non è soltanto un bar speakeasy ma è oramai uno dei locali più cool del quartiere di Soho, nel centro di Londra.
I frequentatori VIP del locale sono molti: qualche anno fa gli U2 vi organizzarono un privatissimo Halloween Party e anche David Beckham ha spesso riservato il locale per le sue feste esclusive. Cercare il locale senza aver prima ottenuto precise informazioni sulla porta giusta a cui “bussare” può però diventare un’impresa ardua. La Bodega Negra, infatti, si nasconde dietro le insegne di un sexy shop nel famoso quartiere del divertimento di Londra.
Avete capito bene, il locale si mimetizza con altre attività del quartiere e, ad un primo sguardo, non è possibile riconoscere che all’interno del sexy shop o di un tabacchi o un distrivutore automatico si nasconde uno speakeasy.
E in Italia?
Gli speakeasy esistono ancora oggi e vanno anche molto di moda! Ovviamente sono attività del tutto legali, che mantengono solo quell’aura di segretezza e lo stile vintage tipici dei precedenti speakeasy.
Oggi la parola “Speakeasy” è sinonimo di ottima qualità e mixology, arte diffusasi proprio negli anni Venti durante il periodo del proibizionismo che prevede la miscelazione di vari liquori, dando vita a bevande originali, dal gusto unico e, soprattutto, di altissima qualità.
I moderni speakeasy, come già detto, prendono ispirazione dal periodo del proibizionismo statunitense. Infatti, una delle caratteristiche principali è lo stile del locale: l’atmosfera è rigorosamente vintage e l’arredamento si ispira agli anni ’20, con poltrone in pelle e legni scuri. Altra caratteristica fondamentale è la segretezza. Infatti, anche per quanto riguarda i moderni speakeasy italiani ma non solo, per avere accesso al locale, è necessario conoscere una parola d’ordine, spesso diffusa (anche se non troppo) tramite passaparola, indovinelli e giochi pubblicati sui social dei locali stessi.
Questi secret bar sono situati in zone non direttamente visibili dalla strada, come sottoscala o locali che stanno dietro altre attività già esistenti. Sempre per lo stesso discorso di mantenere una certa riservatezza, questi originali e segretissimi locali non hanno un’insegna e spesso non sono segnalati sulle mappe.
I più celebri!
Dopo avervi raccontato che cosa sono gli speakeasy, vediamo ora alcuni tra i più famosi speakeasy presenti qui in Italia!
Jerry Thomas
Il primo esempio per far comprendere che cosa sono gli speakeasy è quello di Jerry Thomas! Considerato il primo secret bar italiano, anche se ora l’indirizzo è stato reso pubblico, il Jerry Thomas nasce a Roma nel 2010, quando un gruppo di bartender decise di unirsi e creare questo posticino unico nel suo genere.
Anche in questo caso la qualità dei cocktail è davvero alta, tanto che il Jerry Thomas è entrato più volte nella classifica dei 50 World Best Bar. Come un buon speakeasy che si rispetti, per accedere al locale è necessario pronunciare la famigerata parola d’ordine, che in questo caso è la risposta ad una domanda nascosta all’interno del loro sito web, cambiata abitualmente. Vigono alcune regole al Jerry Thomas, come il divieto di scattare foto al suo interno e la prenotazione obbligatoria.
1930
Il secondo locale rappresentativo di cosa sono gli speakeasy è 1930: si trova a Milano e stiamo parlando di uno dei locali più esclusivi della città, tanto che è entrato nella classifica tra i 50 migliori cocktail bar del mondo, classificandosi ventesimo. La porta d’ingresso al bar è situata all’interno di un normalissimo locale e per accedervi è necessario avere un invito e conoscere la parola d’ordine.
Si conosce la zona, ovvero Cinque Giornate, ma solo pochi clienti affezionati sanno come e dove vi si accede. Gli arredamenti permettono alla clientela di immergersi in un altro mondo, quello vintage dell’America degli anni ’20 e di assaporare deliziosi cocktail di ottima qualità. Insomma, un posto da non perdere!
White Rabbit
Ci troviamo ancora una volta a Milano, in zona Isola, con questo particolarissimo secret bar, in cui ad accogliervi ci sarà un personaggio molto particolare. Infatti, l’atmosfera retrò tipica del proibizionismo accoglie al suo interno un personaggio insolito per il periodo, che ci ricorda più una favola di Lewis Carroll: ci troveremo davanti un bartender con indosso la maschera di un coniglio bianco!
Questo speakeasy si nasconde dietro una semplice vetrina, dalla quale però non si riesce a vedere l’interno del locale. Quando la luce è accesa è il segnale che il locale è aperto e pronto ad accogliere i suoi clienti. Ma, ovviamente, entrare non sarà così semplice!
Bisognerà suonare il campanello e aspettare che qualcuno apra alla porta, per poi pronunciare la parola d’ordine, ottenuta tramite la risoluzione di un indovinello che viene inviato tramite mail, compilando un semplice form presente sul loro sito web. Una volta fatto ciò basterà oltrepassare un armadio per
catapultarsi in un’atmosfera unica nel suo genere, che ci porterà indietro nel tempo fino ai ruggenti anni Venti. Il motto è: “segui il coniglio”.