CHIACCHIERATA NOTTURNA AL PUB CON LO CHEF DEL RISTORANTE “PIPERO”: TRA VITA PRIVATA E CUCINA
Mi avevano detto che un giorno avrei potuto iniziare a scrivere, con maggiore libertà, senza dover rispettare ferree linee editoriali. Prima dovevo affermarmi, avere le spalle coperte e destreggiarmi alla grande con le rotelle. Oggi salgo direttamente in moto, anzi in macchina, nella mia macchina e vado al ristorante Pipero nel cuore di Roma per concedermi una cenetta in solitudine, come spesso mi accade.
La porta si apre su una sala curata, proposta tra “tradizione e innovazione”, tutto fantastico recensione finita punto. Il mio scopo oggi è fare un’intervista allo chef Ciro Scamardella, anzi una chiacchierata; diciamo che andiamo a farci una birra insieme perché le migliori chiacchierate, quelle più sagge e profonde, vengono sempre fuori dal binomio pub-notte fonda. Mentre aspetto che Ciro finisca di pulire in cucina (sì gli chef fanno anche questo) faccio due chiacchere con Alessandro Pipero, maitre e ovviamente titolare. Sorseggiando una buona grappa (ottima base per una seguente birra) chiedo al proprietario come si trova con Ciro a un anno di distanza da quando è entrato al comando della cucina: “È un bravissimo ragazzo, sempre solare e genuino; ha un grande rispetto per me e per il lavoro della sala, cosa che non è affatto scontata e poi cucina benissimo sia la carbonara che i piatti creativi!“.
Una chiacchierata notturna
Arriva Ciro. Fino a qualche minuto prima era uno chef stellato con la sua divisa, ora è un ragazzo sui trenta con le scarpe da ginnastica, pantaloni sportivi, maglione bianco e tanta umiltà. Il volto sembra dire ti prego portami a dormire: occhiaie fin sotto le scarpe, barba incolta e una borsa dei vestiti portata a fatica. Invece la prima cosa che dice è: “Allora dove andiamo?” Probabilmente sono più stanco io, ma ormai glielo avevo promesso; così alle 00.56 saliamo in macchina e partiamo. Offro subito il mio cavetto aux e nel giro di un quarto d’ora Ciro DJ propone due canzoni degli AC/DC e una degli Iron Maiden, giusto per conciliare un po’ il sonno. Il nostro canto insopportabile, con tanto di storpiatura dell’inglese, accompagna il breve tragitto.
La colonna sonora di Ciro
Una volta entrati nel locale la prima domanda viene naturale: “con quale genere musicale identifichi la tua cucina?” Ciro mi racconta che durante il lavoro ama ascoltare del sano rock, anche se su questo non ha potere assoluto, deve essere democratico; nella sua cucina, infatti, si passa da artisti spagnoli e latino-americani, senza riuscire a nominarle neanche uno, agli Iron Maiden. Proprio con il rock, anche Heavy, identifica la sua cucina fatta di schitarrate decise e batterie (non di pentole) voluminose; il tutto accompagnato da un basso elegante e preciso. Il pub è come piace a me e a Ciro: classico stile Irish tutto in legno, luci soffuse, atmosfera cupa, ma allo stesso tempo allegra e di compagnia nonostante siamo rimasti in pochi.
La fame vien di notte
Io ordino una Scotch Ale, mentre il mio compagno di bevuta una Doble Bock e per accompagnarla un bel Pulled Pork; certo, caro lettore, perché devi sapere che i ritmi alimentari di un cuoco sono pessimi. Ciro mi racconta la sua giornata lavorativa, scandita con i diversi pasti: l’unico che si allontana dagli orari delle galline o dei preti è la colazione alle 8.30 e il pranzo è alle 11.30 e la cena alle 18.30. Non si tratta dei piatti che trovate nel suo menu, tranne la famosa carbonara di Pipero che spero ogni tanto si conceda, ma di pasti veloci sia nel prepararli che nel consumarli perché dopo torna subito a lavoro. Poi ci sono le tre di notte e le tre di pomeriggio che rovinano il fegato, quando: “Ti sale la scimmia e mangi qualsiasi cosa riesci a trovare, di solito un pezzo di pizza e come succede adesso birra e panino“.
La famiglia
Ha una fame indescrivibile, addenta il suo panino con un’espressione felice, un sorriso in salsa gli si stampa sul volto e gli si toglie a panino finito (un minuto circa) col passaggio del tovagliolo. Non riesco a staccare gli occhi dal suo volto stanco, perciò inizio ad interessarmi dei suoi orari, delle sue difficoltà nel gestire lavoro e vita privata. Ciro dorme circa sei-sette ore a notte, forse oggi un po’ di meno, ma è ormai abituato a questi ritmi anzi, per lui porre l’asticella sempre più avanti è l’unico modo per restare al passo. La sua asticella ha fatto un bel salto in avanti circa un anno fa quando è nato il suo primogenito, che da buon napoletano ha deciso di chiamare: A) Salvatore; B) Antonio; C) Pasquale; D) Gennaro. “Da 1 a 10 quanto è difficile per un cuoco come me crearsi una famiglia? Mille! —racconta Ciro— fortunatamente a fianco ho una persona che fin da sempre ha capito quali erano le mie esigenze, i miei impegni e i miei problemi. Quando trovi una persona così capisci che è quella giusta“. Della serie “l’amore supera tutte le difficoltà” o “l’amore ci salverà tutti”, ma c’è poco da scherzarci in realtà.
Di padre in figlio, forse
Gli orari dei cuochi sono scombinati con quelli di quasi tutte le altre professioni, con la differenza che per loro non ci sono feste, perciò creare e vivere una famiglia non è cosa facile, tant’è vero che è assai frequente avere il proprio compagno o compagna come socio: uno in sala l’altro in cucina, di solito. Ciro però ce l’ha fatta lo stesso perché, è un bravo ragazzo, genuino, un vero pezzo di pane a cui non si può non volere bene e poi ha un’energia dentro sorprendente. Certo il figlio gli ha dato da fare: “Quando sono diventato padre ho capito che ero solo un bravo cuoco“. Insomma a lavoro non ha avuto nessun problema a mantenere i suoi standard, ora è essere padre la vera sfida. Il domandone romantico su cosa vede nel futuro di suo figlio non potevo non farglielo e la sua risposta ha dimostrato grande maturità: “Mio figlio farà ciò che vuole, io non devo e non posso imporgli nulla. Se vorrà seguire i miei passi io gli mostrerò le difficoltà del mio mestiere, ma inevitabilmente mi brilleranno gli occhi mentre lo farò“.
La stella Michelin
Gli brillano veramente gli occhi e quel sorriso, prima tolto con un tovagliolo, taglia nuovamente il viso di Ciro; non so se più per la gioia di essere padre o per la passione del suo lavoro, ma ora parleremo di questo. Cambia immediatamente postura: è più disteso, si rilassa e si avvicina per cercare di coinvolgermi il più possibile con ciò che mi racconta. E ci riesce eccome, non ho neanche bisogno di fargli domande perché è come un bambino di sei anni che vuole parlarti dei regali ricevuti a Natale: inarrestabile. Per prima cosa mi confessa che rispetto a qualche mese fa è molto più sereno, perché è riuscito a confermare la stella Michelin del ristorante Pipero, cosa non scontata dopo un cambio alla guida della cucina: “sono stato tre giorni a festeggiare e neanche li ricordo così bene“.
Pipero e Scamardella, Sala e Cucina
Mi parla poi del suo rapporto con la sala e in particolare con Alessandro Pipero, confermandomi tutto quello che mi aveva detto quest’ultimo: “Ho un grande rispetto per la sua persona e la sua figura professionale; il mio lavoro si ferma al pass mentre lui riesce ad andare oltre e a entrare anche in cucina dove mi aiuta con pareri e consigli sempre utili“. Quando inizia a parlarmi delle sue creazioni è veramente all’apice dell’euforia, il tono di voce è energico, mi chiede addirittura il permesso di raccontare il suo ultimo piatto, come negarglielo: “Animella, rafano e mostarda — a proposito di rock pesante — una animella steccata con il lemon grass e scottata in padella, mostarda di cremona, un po’ di senape liscia sopra l’animella, paprika affumicata e cerfoglio“. Reazione: “‘Na bomba Cirù!“.
Il sapore della tradizione
Per lui la cucina è un gioco, Ciro si diverte solo a parlarne, non contiene la gioia e non può non esprimerla nonostante la fatica che porta con sé. Non solo gioco, ma anche tanta tecnica, imprescindibile per riuscire a esprimere un gusto, un’idea, un prodotto, un ricordo. Proprio la memoria è un’altra componente fondamentale per Ciro, la memoria dei sapori d’infanzia che spesso ricerca nei suoi piatti. Parlando d’infanzia non può non citarmi il piatto a cui è più affezionato, la Genovese: “Siamo come i tori noi napoletani, quando vediamo rosso non capiamo più niente. Il profumo del pomodoro e il rumore del sugo in pentola era il miglior modo per svegliarsi la domenica mattina, dopo un sabato sera a lavoro“. Sulle note del sugo in pentola scoliamo il nostro ultimo sorso di birra, sarebbe bello aver il tempo per un’altra, ma sono le 2.23 e per nostra (s)fortuna il locale deve chiudere e noi ci siamo già detti abbastanza.