Cirò, stato di salute e percezione. Intervista a Raffaele Librandi.

Anche quest’anno Cirò è stata protagonista dell’estate con il suo consueto Cirò Wine Festival organizzato dal Consorzio di tutela e valorizzazione dei vini Cirò Doc e Melissa Doc. E anche quest’anno noi di Radio Food eravamo presenti per scoprire le novità del territorio, degustare le nuove annate e le storiche in due giorni dedicati al vino Cirò e alle sue storie. Per sapere come sta crescendo il marchio Cirò e la sua riconoscibilità lo abbiamo chiesto direttamente a Raffaele Librandi, presidente del Consorzio.

Cirò è la terra del vino per vocazione e dal 1 al 10 agosto le cantine che aderiscono al Consorzio di tutela e valorizzazione dei vini Cirò Doc e Melissa Doc animano il territorio della storica Doc calabrese con il Cirò Wine Festival, giunto oggi alla sua 6a edizione. Degustazioni nelle cantine, tour tra le vigne, cene con abbinamenti hanno caratterizzato i giorni precedenti alle date ufficiali del 9 e 10 agosto, che prevedevano la Masterclass con Matteo Gallello sui caratteri identitari del Cirò, il talk con la stampa Enogastronomica e i social media wine della Calabria e infine la grande festa finale a Madonna di Mare con banchi di assaggio, street food e musica.

Un ricco programma tra vigne e cantine, che si traduce anche in un momento di festa e di confronto e non solo di conoscenza. Un evento nato, infatti, per focalizzare l’attenzione su questa zona produttiva enologica calabrese, che è la più conosciuta al mondo della regione, valorizzarne il territorio e porre attenzione sul lavoro dei tanti produttori e dei viticoltori. Insomma possiamo dire che il Cirò Wine Festival è diventato ormai l’evento dell’estate per i cirotani, molti winelovers e turisti con il suo mix perfetto di tradizione e modernità.

Il Cirò Wine Festival è anche occasione di rivedere quei vignaioli testardi, che ci credono, che hanno una luce viva negli occhi quando ti parlano di Cirò e del loro vino come Cataldo Calabretta, Mariangela Parrilla, Assunta dell’Aquila, Francesco de Franco e Sergio Arcuri, Christian Vumbaca e con loro i fratelli Cerminara, insieme a quelli più storici che hanno costruito l’identità di questi luoghi sul vino e che stanno portando avanti come Raffaele e Paolo Librandi e  Paolo, Vincenzo e Gianluca Ippolito.

Ci piace chiamarli per nome perché al di là di un marchio o un’etichetta ci sono le persone, il loro lavoro, la loro passione che li alimenta, come fuoco interiore. È merito loro se negli ultimi anni il Cirò come vino è cresciuto in qualità, riconoscibilità, portando con sé non solo le sue caratteristiche organolettiche, sentori o profumi, ma i caratteri intrinseci di un territorio. È merito loro se oggi il Cirò è più conosciuto fuori della Calabria con le sue spigolosità, la sua personalità forte, le sue diverse espressioni che raccontano le varie zone e contrade dove sono dislocate le vigne.

Cirò e territorio secondo il presidente del consorzio

Da secoli su queste colline abbracciate dai monti e che guardano il mare la viticoltura è la linfa che alimenta il territorio e la gente che lo popola. Qui sono state impiantate vigne e si continua ancora farlo, si alleva il Gaglioppo e le altre uve autoctone (condizioni climatiche permettendo) e come vuole tradizione si produce il Cirò nella sua versione bianca (Greco Bianco), rosata e rossa (Gaglioppo) continuando così a far crescere una storia millenaria. E la cosa più bella è vedere affacciarsi alla tradizione nuovi vigneron, molti dei quali giovani, che portano visioni moderne nella produzione, cercano espressioni sempre più legate a questo vitigno nella sua essenza.

Aspetto che ama sottolineare lo stesso Raffaele Librandi, presidente del Consorzio di Tutela, con cui abbiamo intervistato durante questo evento “popolare” per farci raccontare lo stato di salute del Cirò e delle sue cantine: “La cosa più bella è che qualunque cantina nasce la prima cosa che fa è chiedere la partecipazione al Consorzio e questo indica come il nostro organo di tutela sia percepito come un attrattore. Ad oggi siamo più di 60 cantine, di cui la maggior parte sono piccole realtà, anche nate di recente seguendo il fenomeno di trasformazione da viticoltore a imbottigliatore”.

Ovvero – ci spiega meglio Librandi – il nostro territorio vocato alla viticoltura aveva un gran numero di soli produttori di uva che conferivano le uve ad altre cantine. Oggi di soli viticoltori ne abbiamo 320 iscritti al consorzio, e molti di loro, soprattutto con le nuove generazioni hanno deciso di produrre il loro vino e lo fanno con un cambio di passo già nella coltivazione, che è più scientifica rispetto a prima, per poi strutturarsi anche con cantine moderne e imbottigliare il loro prodotto. Stiamo assistendo ad un movimento tutto giovane e interessante”.

Raffaele Librandi, Presidente del Consorzio di tutela

Un’esigenza che non va rintracciata solo nel mercato e nelle sue tendenze, al di là di ogni forma di impresa c’è la volontà concreta di dare al Cirò un’espressione, ogni vignaiolo prova a dare il suo contributo produttivo che sia di slancio per l’economia locale, ma anche la sua versione di Cirò, la sua espressione più sentita e che meglio rappresenta quei luoghi.

È proprio questo il sentimento che si genera intorno al Cirò da parte dei produttori – ci conferma Raffaele Librandi, anche lui tra gli storici produttori di questo vino. C’è tanta fiducia e si crede tanto e soprattutto nel territorio e poi come si nota dallo stesso Festival dove le cantine del consorzio sono tutte presenti, c’è grande partecipazione. Adesso siamo in attesa della ufficializzazione della DOCG (manca poco, questione di mesi), che sono sicuro darà anche un ulteriore scatto di immagine al nostro vino”.

Ma al di là di un sentimento di appartenenza al territorio e al valore intrinseco di narratore di storie, qual è realmente la percezione e conoscenza del Cirò in Italia e nel mondo? Domanda che il presidente si aspettava e aspetto su cui l’intero consorzio sta lavorando con una serie di attività di promozioni, di comunicazione e presenze a livello nazionale, agevolato anche dalla grande sinergia che c’è tra gli stessi protagonisti.

“Come Consorzio abbiamo avviato uno studio di marketing proprio sulla percezione del Ciro e possiamo dire che oggi il Cirò è tra i vini più conosciuti in Italia e da qualche anno finalmente viene anche percepito con un livello di qualità alto, e posso confermare che di lavoro in questo senso ne abbiamo fatto tanto. Tra le 400 DOC italiane dal punto di vista della percezione qualitativa e di conoscenza si posiziona al 29º posto, quindi mi sento di dire che è tra vini più conosciuti del sud Italia anche perché una delle più vecchie doc, istituita nel 1969. Da parte loro i produttori sono poi molto attenti alle tendenze del mercato, ma sono anche convinti di cosa vogliono proporre e far conoscere, così facendo ognuno si muove all’interno del proprio filone con successo. Sicuramente e da un punto di vista generale c’è tanto da fare, sia come comunicazione ovviamente ma anche come tutela del viticoltore. Questo significa che bisogna fare in modo che le vigne siano redditizie sia per il viticoltore sia per chi gestisce una cantina e negli ultimi anni le problematiche climatiche ci hanno indicato anche la strada su cui agire e a cosa porre attenzione. All’estero, rispetto a quanto ho detto per l’Italia che rimane sempre il nostro obiettivo prioritario, le cose cambiano e siamo coscienti che bisogna lavorare di più in questa direzione”.

Il Cirò è il pilastro del vino calabrese, un vino di identità e grande storia che ha tracciato la strada per molti altri territori della regione, che è in pieno fermento e che sta creando su vari livelli sinergia per la valorizzazione dell’intero movimento enologico. Una regione enologica millenaria che è costellata di piccole cantine che puntano alla qualità e alla valorizzazione della loro realtà. E come dice Raffaele Librandi: “Siamo sicuramente una regione che fa rumore. E tornando al Cirò conclude: “Per noi cirotani, che siamo nati qui questo vino fa parte del nostro DNA, della nostra cultura. Mi ricordo da ragazzi non si andava a scuola perché dovevamo vendemmiare ed era non solo una festa, ma un’attività imprescindibile da ogni cosa. Il Cirò fa parte del nostro paesaggio, lo ha disegnato, è da sempre nelle nostre vite e nelle nostre giornate, non potremmo mai pensarci senza”.

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