Carnevale non ha mai la stessa data, cambia ogni anno, ma i dolci della tradizione rimangono sempre gli stessi, accompagnando i nostri periodi di festa ed imbandendo le nostre tavole di squisitezze dalle storie antichissime. Non fanno eccezione le castagnole, dolcetti di Carnevale diffusi in tutta Italia. E qui vi raccontiamo qualche curiosità.
Origini e nome delle castagnole
Solitamente vanno a braccetto con le chiacchiere, anch’esse dolci e fritte e con molteplici varianti: se queste ultime però vengono chiamate in molti modi a seconda della regione in cui ci si trova, come esempio cenci in Toscana, frappe nel Lazio, crostoli in Veneto, sfrappole nel bolognese, le castagnole si chiamano così in tutta Italia.
Il nome castagnole è dovuto alla piccola dimensione e alla lontana somiglianza con le castagne, a contendersi la paternità delle castagnole, oltre al Veneto, ci sono anche l’Emilia e il Lazio, ma a onor del vero esistono versioni antiche anche nel meridione, in particolare in Campania.
Si tratta di un dolce fritto e zuccherato, dalla semplice preparazione e la loro origine risalirebbe tra la fine del Seicento e gli inizi del Settecento. Si ipotizza che si parlasse di castagnole già nel 1692, attraverso le ricette del Latini, cuoco, tra gli altri, della casa reale dei D’Angiò, e nel 1684, con il Nascia, cuoco della Casa dei Farnese, che parlavano di struffoli alla romana, che in realtà avevano tutte le caratteristiche delle castagnole comunemente conosciute. Servite nelle grandi corti del passato, anche nella variante al forno, sono assaporate da grandi e bambini dalla fine delle feste natalizie fino al mercoledì delle ceneri.
La ricetta delle castagnole è molto antica: nell’archivio di stato di Viterbo si è trovato un volume manoscritto del Settecento in cui sono descritte ben quattro ricette di castagnole, di cui una prevede la cottura al forno, che quindi non è stata adottata recentemente nell’intento di rendere il dolce più leggero, come spesso si crede.
Castagnole, le varianti
Le varianti regionali riguardano per lo più decorazioni e farciture, mentre gli ingredienti base sono sempre gli stessi. La ricetta delle castagnole di Carnevale prevede infatti tantissime declinazioni: fritte, fatte al forno, ripiene con ricotta, crema o cioccolato. In alcune regioni si usa anche mettere nell’impasto alchermes o miele, in altre si usa farle ripiene.
Nella tradizione italiana le castagnole sono considerate uno dei simboli del Carnevale, come attesta anche un proverbio diffuso nei vari dialetti marchigiani che recita così:
«Fenito Carnevà, fenito amore/ fenito a fà la pachia da signore/ fenito de stacià farina in fiore/ fenito de magnà le castagnole» (Finito Carnevale, finito amore/ finito il far la pacchia da signore/ finito il setacciar farina in fiore/finito il mangiare castagnole)
Le castagnole, invece, uniscono l’Italia più di Garibaldi ma, a differenziarle, sono le sfumature con cui vengono realizzate. Perchè diciamocelo pure, quante ricette ci sono delle castagnole? Tante, troppe! E quanti tipi di castagnole ci sono? idem!
A Roma abbiamo un tipo di castagnola un po’ compatta, simile come impasto ad una frolla morbida e umida. In Veneto esistono le favette, una versione simile per forma, ma differente per consistenza e sapore, tipiche della festa di Ognissanti, anche se è facile trovarle anche in altri periodi dell’anno, come appunto il Carnevale.
Non immaginate poi che nel resto del mondo non manchino simili tentazioni. Per molti paesi i dolci a Carnevale sono semplicemente un must, proprio come le maschere, le stelle filanti e i coriandoli. In Italia, Austria, Svezia non si lesina certamente sulle calorie quando si tratta di preparare dei tradizionali dolci carnevaleschi e capirete che tutti sono accomunati da un comune leit-motif: un aspetto goloso e un sapore altrettanto prelibato! Vediamoli insieme.
I Krapfen in Austria
Il nome di questo famosissimo bombolone fritto non ha certamente un suono molto dolce ma affondando i denti nel suo morbido e avvolgente impasto non potrete certamente dire che manchi di dolcezza. Il krapfen è un lievitato molto diffuso ed apprezzato nelle aree germanofone come Tirolo, Austria e Germania; si ritrova tutto l’anno tra i banconi delle pasticcerie e dei forni di tutte le città ma durante il periodo carnevalesco è letteralmente un vero e proprio boom: queste frittelle, simbolo ufficiale del Carnevale, vengono vendute in ogni bar, supermercato o panificio, singolarmente o anche in grandi confezioni formato famiglia, adatte anche da portare in ufficio.
La tipologia più classica di krapfen è certamente quella con il ripieno di marmellata di albicocca ma ovviamente la farcitura può variare. In Germania, dove i krapfen acquistano il nome di Berliner, è molto comune trovare ad esempio un ripieno di marmellata di fragole o di lamponi.
Sulle origini dei krapfen esistono diversi miti: c’è chi sostiene che il nome derivi dalla pasticcera viennese Cäcilia Krapf che nel 17° secolo gettò per sbaglio l’impasto all’interno di una pentola d’olio bollente; c’è chi ancora afferma che in realtà la loro definizione derivi dal termine tedesco “krafo”, letteralmente gancio o artiglio, simile alla forma che in Germania avevano inizialmente queste frittelle. C’è chi suggerisce poi che questi dolci esistessero già ai tempi degli antichi Romani e fossero cotti nello strutto. Una cosa è certa i krapfen sono da sempre un dolce adatto alle feste, basti pensare che nel 19° secolo erano serviti in occasione di balli di corte.
I Semla in Svezia
Certamente meno noti rispetto ai loro cugini krapfen, i semla, anche detti semlor, sono molto apprezzati dal popolo svedese. Questi panini al profumo di cardamomo, farciti di panna e pasta di mandorle sono una vera delizia per il palato. Tradizionalmente questo dolce viene preparato il martedì grasso, nel giorno che precede l’inizio della Quaresima ma, c’è da dire, che durante tutto il periodo di Carnevale in pochi se lo lasciano sfuggire. Gli svedesi impazziscono letteralmente per questo scrigno di zuccheri e calorie che sembrerebbe esistere già dai tempi del re Adolfo Federico di Svezia. Si racconta infatti che il il re nel 1771 sia morto dopo aver mangiato ben 14 semlor. Non fu tuttavia l’indigestione di dolci a causarne il decesso ma molto probabilmente un ictus improvviso.
I semla vengono spesso accompagnati da una tazza di caffè nero o da una cioccolata calda e il loro nome deriva dal latino “similia”, ovvero farina di semola, ingrediente principale del dolce. Se in passato questo panino ricolmo di panna e marzapane poteva essere gustato esclusivamente il martedì grasso, nel corso del tempo la vendita dei semla si è estesa a tal punto che, ogni anno, si stima che gli Svedesi ne consumino ben 40 milioni.
I buñuelos de viento
Dopo la breve parentesi dei panini dolci svedesi torniamo a bomba sul caro vecchio fritto. Anche in Spagna non si rinuncia al goloso sapore racchiuso dalle frittelle. I cosiddetti buñuelos de viento hanno un aspetto molto simile alle castagnole italiane con la differenza che le dimensioni sono leggermente più piccole. Si tratta infatti di un impasto molto semplice a base di latte, uova, farina e lievito: una sorta di zeppola, che come suggerisce il nome “de viento”, ovvero “leggere come il vento”, si gusta in un soffio poiché è grande circa 3 centimetri. E via come il vento, vedrete che una tirerà l’altra e in un baleno non vi sarete accorti di averne ingurgitato a decine.
Queste ciambelle fritte sono tradizionalmente preparate sia a Carnevale che a novembre nel giorno dei morti, ma possono essere consumate in realtà tutto l’anno. I buñuelos sono un dolce conosciuto anche in Messico , Colombia e in generale dei paesi dell’America Latina di lingua spagnola . Sulle origini di queste ciambelline fritte vi sono diverse scuole di pensiero. Si pensa che la parola “buñuelo” derivi dal latino “pugnus” e si riferisca ad un dolce preparato ai tempi dell’Antica Roma impastando con i soli pugni. C’è chi invece afferma che le origini di queste frittelle siano più recenti e risalgano al periodo della dominazione araba in Spagna. Nel 1090 il panettiere Abdelaziz ben Drisi el Jabazún avrebbe deciso di creare questo dolce servendosi delle poche provviste di cibo rimaste, dopo che il re arabo Mohamed ben Abad Al Motamid aveva assediato la sua città, Almogía. Il panettiere avrebbe deciso di gettare l’impasto nell’olio bollente riservato invece ai soldati nemici. Una storia alquanto fantasiosa ma forse qualche fondo di verità ce l’avrà!