Tra i frutti degli arbusti spontanei che contraddistinguono la macchia mediterranea ce n’è uno che ha spodestato il prezzemolo dal trono di onnipresenza: è il cappero. Lo si trova nel vitel tonné, nella pizza alla napoletana, come ingrediente del sugo alla puttanesca, ma anche nell’insalata pantesca, il piatto tipico dell’isola di Pantelleria che rappresenta una portata ideale per i pranzi estivi (oltre ai capperi, si utilizzano patate, pomodori Pachino, olive nere, cipolle di Tropea, timo, basilico, origano e olio d’oliva extravergine).
In Italia, la superficie coltivata a cappero si aggira intorno ai 1.000 ettari, distribuiti tra Liguria, Puglia, Campania e soprattutto in Sicilia, regione indubbiamente riconosciuta come centro della produzione italiana di qualità grazie al Cappero di Pantelleria insignito nel 1996 della Indicazione Geografica Protetta e al Cappero delle Isole Eolie al quale l’anno scorso è stata assegnata dall’Unione Europea la Denominazione di Origine Protetta.
Caratteristiche ed origini
Il cappero – nome scientifico Capparis Spinosa – è un arbusto spontaneo che cresce nelle regioni mediterranee e in Oriente. A “seminarlo” ci pensano gechi e lucertole: quando il frutto matura e si apre, questi rettili mangiano i semi e succhiano il liquido in cui sono immersi. I semi vengono poi sono espulsi per defecazione, permettendo così alla pianta di riprodursi. Ecco la ragione per cui queste piante crescono in posti impensabili. Grazie a condizioni climatiche e geomorfiche uniche, i capperi possono essere considerati naturalmente biologici poiché non necessitano di alcun trattamento o concimazione. A lasciarli sbocciare i capperi produrrebbero fiori bellissimi dal colore bianco-rosato, simili a orchidee e frutti tondi chiamati cucunzi, una sorta di cetriolini, ottimi sottaceto e come aperitivo. Ma ciò succede di rado, perché il cappero non è il frutto, ma il bocciolo.
La raccolta
La raccolta avviene a mano, uno per uno, dalla fine di maggio ai primi giorni di settembre. Stesi all’ombra ad asciugare subito dopo la raccolta, sono poi lavorati con la tecnica della salatura per permetterne il consumo, la conservazione e la conservazione delle proprietà organolettiche. Il procedimento tradizionale prevede che i capperi siano sistemati in ceste di vimini, alternando uno strato di boccioli con uno di sale marino grosso e rimuovendone il contenuto dopo una decina di giorni. A seconda del tipo e delle dimensioni i capperi conservati sottosale, sottaceto o in salamoia – tanto più sono piccoli, tanto più sono considerati di qualità – in cucina si prestano a svariate preparazioni di primi piatti di pasta, secondi di carne e pesce, salse e sughi:
MEDIO-GRANDI adatti per tutti gli usi;
GRANDI da tritare per arricchire salse;
OVALI ottimi per i sughi e per il pesce;
CAPPERINI, i più pregiati, per insalate e paste;
SOTTOSALE adatti a tutti gli usi per via del loro sapore intenso;
FRUTTI DEL CAPPERO da accompagnare a cocktail come il Martini o il Negroni.
Se in Italia le coltivazioni sono soprattutto concentrate al Sud (necessitano infatti di un clima caldo e soleggiato per lunghi periodi dell’anno) i tre maggiori produttori a livello mondiale sono, nell’ordine: Marocco, Spagna e Turchia.
Oltre agli usi in cucina sopra citati e come stuzzichino per l’aperitivo preserale, il cappero consumato al naturale riesce a sprigionare tutti suoi effetti benefici. Particolarmente il Cappero di Pantelleria, il cui territorio vulcanico gli conferisce un gusto particolare che non è rintracciabile in nessun’altra parte del mondo. Sin dai tempi dei Greci e dei Latini, infatti, era conosciuto anche per le sue virtù toniche, diuretiche e digestive. Un trattato del ‘600 ne conferma le proprietà curative, abbassa la pressione sanguigna, allevia il mal di denti e stuzzica l’appetito. Non solo quello del cibo: le virtù afrodisiache di questo arbusto si tramandano di epoca in epoca, dalla Bibbia alla letteratura greca, fino alla tradizione contadina. Capperi!