“La nostalgia di casa comincia dalla pancia” sosteneva Che Guevara. Se il capo guerrigliero pensava agli arrosti della natia Argentina durante le scorribande notturne sulla Sierra Maestra, noi italiani all’estero siamo pronti a sottoscriverne l’affermazione pur avendo desideri più modesti: a colazione, cornetto e cappuccino o un onesto caffè.
L’inconfondibile gorgoglio e l’inebriante aroma nell’aria hanno sempre avuto in me un piacevole effetto ammaliante. Lo respiro per gustarmi fino in fondo una tazzina di caffè, con poco zucchero e senza fretta. Per noi il caffè con la moka è un rito che parla di piacere, di serenità, di pausa, di famiglia e di condivisione. Il caffè preparato con la moka vuol dire casa e, almeno per me che vivo gran parte del tempo all’estero, vuol dire anche Italia. Quando diciamo a qualcuno: “Ti preparo un caffè” dimostriamo tutto il nostro affetto e la nostra attenzione, facendo della tazzina il modo per accogliere e prenderci cura del nostro ospite.
Se la pubblicità di una storica marca di caffè recitava che – Ogni momento è quello giusto – qual è l’orario ideale per concedersi una tazzina? Ce lo dice un’apposita ricerca: secondo le neuroscienze e la crono-farmacologia (un ramo della medicina che mette in relazione l’assunzione di farmaci o di sostanze psicoattive con l’andamento del nostro naturale orologio biologico) dalle 9:30 alle 11:30 del mattino ogni istante è quello più adatto.
Tuttavia, preparare un caffè perfetto è un’operazione nient’affatto banale: occorrono gli ingredienti giusti, l’attrezzatura adatta e non trascurare alcuni dettagli all’apparenza banali.
La CAFFETTIERA – Senza dubbio l’originale classica Moka Express Bialetti in alluminio dalla tipica forma ottagonale in stile Art Decò. L’dea venne ad Alfonso Bialetti negli anni ’20 del secolo scorso osservando la moglie fare il bucato con una lisciveuse – la pentolona munita di tubo con la parte alta forata. Il procedimento consisteva nel mettere il bucato nel pentolone con acqua e liscivia (considerato che all’epoca le lavatrici non erano diffuse) e, man mano che procedeva l’ebollizione, l’acqua veniva spinta sul tubo e riscendeva dai fori, sciogliendo e spargendo a ciclo continuo l’acqua saponata sul bucato. Nel 1933 iniziò la produzione a livello artigianale a Crusinallo (NO). La svolta avvenne nel 1946 con l’ingresso in azienda del figlio Renato che diede il via alla produzione industriale e alla conseguente commercializzazione a livello mondiale la cui leadership durò fino al 2010 quando le macchine per casse espresso a cialde iniziarono a guadagnare sempre più quote di mercato. Oggi si stima che circa l’80% delle famiglie italiane possiede una Moka Express Bialetti.
In alternativa, per rimanere al passo con i tempi ma con uno sguardo al passato e alla qualità dei materiali, esiste la Moka di Alessi progettata dal celebre architetto inglese David Chipperfield, la caffettiera a undici facce dalla linea tradizionale e al tempo stesso innovativa nella quale sono stati perfezionati alcuni dettagli e, al contempo, introdotti dei miglioramenti nella funzionalità. Il coperchio piatto, ad esempio, permette di appoggiare le tazzine per scaldarle durante la preparazione del caffè – un accorgimento per gustare al meglio l’aroma e il sapore della bevanda – mentre la posizione del pomolo consente di alzare agilmente il coperchio usando una sola mano. In più per dare continuità visiva alla forma della caffettiera, il manico ha una tonalità che è la trasposizione del colore metallico dell’alluminio. Un omaggio alla tradizione è invece la valvola di ottone, altrettanto affidabile e performante di quelle più moderne prodotte in acciaio inossidabile.
Singolare l’etimo di ‘Moka’: sembra risieda nel nome della città di Mokha in Yemen, una delle prime e più rinomate zone di produzione di caffè, in particolare della pregiata qualità Arabica. Di questa miscela speciale si trova testimonianza nel capolavoro di Voltaire – Candido – quando il protagonista, in viaggio nell’allora Impero Ottomano, venne ricevuto da un ospite che, tra le altre cose, gli offrì una bevanda preparata ”con caffè di Moca non mescolato con il cattivo caffè di Batavia e delle Antille”.
Due curiosità:
- nonostante venga prodotta in 9 formati (½,1, 2, 3, 4, 6, 9, 12 e 18 tazze) ogni 10 Moka Express Bialetti vendute 6 sono della versione per 3 tazze. Nel 1996 venne prodotto un unico esemplare funzionante per 1.000 tazze che, ovviamente, entrò nel Guinness dei Primati.
- il famoso “Omino coi baffi” altro non è che la caricatura di Renato Bialetti, figlio del fondatore Alfonso. A capo dell’azienda dal 1946 al 1986, lo inventò a scopo pubblicitario assieme all’amico fumettista Paul Campani creatore, a sua volta, di celebri personaggi di Carosello.
Il CAFFÈ – La freschezza è fondamentale: luce, aria e calore sono nemici del caffè e soprattutto occorre assicurarsi sempre che la data della tostatura sia il più vicino possibile a quella d’acquisto. Nel migliore dei casi non più di venti giorni. Un’altro accorgimento per ottenere il massimo in termini di qualità è acquistarlo in chicchi, magari da una torrefazione locale, conservarlo in un contenitore a chiusura ermetica in un luogo fresco e macinarlo al momento (la macinatura media è la più adatta per la moka): dopo circa quindici minuti, infatti, il prodotto ha già perso circa il 65% degli aromi. Inoltre, riducendolo in polvere, di modo che non occorra pressarlo, risulterà più intenso.
Riguardo il gusto è importante considerare che l’Arabica ha un sapore più delicato, meno amaro, con una acidità variamente spiccata e con intense (almeno nelle migliori qualità) sensazioni aromatiche. La qualità Robusta, invece, ha note gustative meno vigorose, un forte senso di amaro e soprattutto una spiccata corposità. È molto utilizzata, soprattutto nel Sud Italia, anche una miscela di caffè Arabica-Robusta in percentuali variabili rispettivamente tra l’80-60% ed il 20-40% che conferisce al caffè quel vigore e cremosità raramente ascrivibile alla sola Arabica, notoriamente più ricca di oli. Occorre dire, tuttavia, che la varietà Arabica è la più pregiata, ma è diffcile da lavorare. Viceversa, la Robusta è meno raffinata, ma sopporta meglio i trattamenti. In ogni caso, affermare genericamente “100% Arabica” none serve molto perché esistono anche L’Arabica scadente e la Robusta Buena.
La PREPARAZIONE – La dose corretta? Due cucchiaini colmi, corrispondenti a circa 5 g per tazzina. Né più né meno. Quindi per una caffettiera da tre tazze, sei cucchiaini e 150 ml di acqua minerale naturale leggera a temperatura ambiente con pochi sali minerali (un’acqua con un basso residuo fisso, poco sodio e una quantità ridotta di sali minerali permette alla miscela di caffè di sprigionare tutti i suoi aromi, esaltando il gusto della bevanda) da versare nella parte inferiore, detta caldaia, avendo l’accortezza di non superare il livello della valvola di sicurezza. Nelle caffettiere Bialetti di recente produzione è presente una tacca che indica il livello dell’acqua da non superare. La polvere nel filtro non va mai pressata, tantomeno bucherellata. Nel primo caso l’acqua stenterà a passare, surriscaldandosi conferendo così al caffè un gusto bruciato.
Viceversa, la creazione di forellini nella polvere di caffè consentirebbero all’acqua di passare più facilmente rendendo la bevanda piuttosto acquosa. Dopo aver posto la caffettiera sul fornello utilizzando una fiamma bassa si forma lentamente nella caldaia del vapore acqueo che resterà in equilibrio con l’acqua sottostante alla pressione atmosferica. Aumentando la temperatura, aumenterà anche la pressione del vapore costringendo l’acqua a passare per l’unica via d’uscita: l’imbuto che conduce alla piastrina filtro. Giunta a metà strada, l’acqua calda passerà attraverso la massa di caffè producendo la bevanda per percolazione. Infine, il caffè salendo andrà a depositarsi nel raccoglitore passando attraverso la cannula detta “camino”. Quando tutta l’acqua sarà risalita, nella caldaia resterà soltanto del vapore acqueo, che, fuoriuscendo per ultimo, creerà il tipico borbottio finale. A questo punto occorre aprire il coperchio per fare uscire il vapore in modo che non si trasformi in condensa e ricada nel caffè alterando la qualità della bevanda.
La TAZZINA – Che sia espresso o preparato con la Moka, il caffè va servito rigorosamente nella tipica “tazzulella”, piccola, di sezione ellittica, con un solo manico ad ansa, prodotta con una porcellana di grosso spessore per non disperdere il calore e corredata di piattino. Può contenere fino a 40-50 ml di liquido (il caffè ne occupa mediamente 25-30).
La DEGUSTAZIONE – Il primo caffè che passa, di un bel colore dorato, è più denso e cremoso dell’ultimo. Una volta che è uscito completamente occorre togliere la Moka dal fuoco per evitare che le pareti surriscaldate lo brucino. Prima di versarlo nella tazzina è importante mescolarlo per rendere omogenea la sua densità. Per assaporare fino in fondo le sue mille e delicate sfumature, il caffè deve essere gustato subito, il più caldo possibile e preferibilmente amaro o poco dolcificato.
Tre ultime cose altrettanto importanti:
- la bevanda deve avere un bel colore scuro e una certa consistenza, perché un caffè acquoso non è quanto ci si aspetta da una Moka. Una volta versato, la tazzina non deve essere fatta ondeggiare come se fosse un calice di vino.
- appena bevuto meglio controllare il residuo nella tazzina: un fondo troppo abbondante non serve a leggere il futuro, ma indica che il filtro è vecchio e va sostituito.
- quando si acquista una nuova Moka occorre sladinarla. In altre parole non si beve mai il primo caffè: se ne fanno tre o quattro prima di cominciare a utilizzarla, perché più è usata, meglio rende. Inoltre, non va mai lavata con detersivo, ma solamente con acqua calda riponendola – una volta pulita – smontata per evitare che residui di umidità formino piccole muffe.
W la Moka! Che Dio la benedoka!