Per gli agricoltori italiani è necessario un cambio di rotta. Servono investimenti in innovazione che permettano di affrontare la doppia sfida della competitività e sostenibilità per l’agricoltura.
Anche se per il 45% degli italiani i prodotti agroalimentari delle aziende “tradizionali” vengono percepiti di qualità superiore rispetto a quelli delle aziende più avanzate dal punto di vista tecnologico, a fronte di un futuro condizionato dai cambiamenti climatici e dalla necessità di attività produttive più sostenibili, è opportuno un maggiore investimento sull’ innovazione tecnologica.
Ciò è emerso da una ricerca realizzata da Nomisma, in collaborazione con Crif, presentata al V Forum Agrifood Monitor. Lo studio ha dimostrato come molte convinzioni degli italiani sulle innovazioni in agricoltura siano sbagliate in quanto derivano da una scarsa conoscenza, tanto da essere “ribaltate” una volta spiegate le funzioni di tali miglioramenti tecnologici, soprattutto se inquadrate nello scenario evolutivo dei prossimi anni.
Cosa ci attende nel futuro?
Quello evidenziato da Nomisma è uno scenario futuro allarmante contraddistinto dalla scarsità di cibo, di acqua e di terra in un contesto climatico “impazzito”.
Occorre considerare, infatti, che entro il 2050 occorrerà una quantità di cibo tra il 60% e 70% in più di quello attualmente prodotto per soddisfare la domanda alimentare mondiale; ogni essere umano avrà a disposizione solo 0,1 ettari di superficie coltivabile contro i 0,4 ettari del 1960 e che negli ultimi quarant’anni, il numero di disastri naturali nel mondo è più che triplicato.
A causa di questa preoccupante visione che la Commissione europea è partita con il lancio del “Green Deal”, il piano d’azione – ricorda Nomisma -, che dovrebbe portare l’Ue entro il 2050 alla neutralità climatica (zero emissioni nette di gas a effetto serra) e che, con le sottostanti strategie “From Farm to Fork” e “Biodiversity” individua ambiziosi obiettivi che andranno ad incidere sensibilmente sulle attività agricole ed alimentari.
“Gli scenari della scarsità alimentare, delle risorse naturali e dei cambiamenti climatici ci sembrano fantascienza ma in realtà ci riguardano da vicino, soprattutto per le implicazioni che generano sul mercato dei prodotti agricoli e sul quadro di regolamentazione del settore. Non dobbiamo dimenticarci del fatto che, per molte derrate primarie, l’Italia non è auto-sufficiente – negli ultimi dieci anni il nostro import agricolo è cresciuto del 55% – e che la tenuta socioeconomica dei nostri territori è legata ad una filiera, come quella agroalimentare, che negli stessi anni ha aumentato il proprio posizionamento internazionale grazie ad una crescita dell’80% nell’export dei propri prodotti”, ha dichiarato Denis Pantini, responsabile Agroalimentare di Nomisma.
Quale soluzione adottare?
La soluzione è investire sulle nuove tecnologie. L’agricoltura 4.0, pur essendo ancora poco diffusa tra le aziende italiane, ove applicata permette non solo di recuperare efficienza grazie a risparmi nei costi di produzione che, per colture estensive come il frumento tenero, arrivano fino al 15% ad ettaro, ma anche una maggiore produttività che può arrivare ad un +10%.
Ciò si traduce non solo in un incremento di redditività per l’agricoltore (sostenibilità economica) ma anche in un minor impatto ambientale, grazie all’uso di agrofarmaci, fertilizzanti e acqua in base alle reali necessità delle piante coltivate (sostenibilità ambientale). Purtroppo, la ridotta diffusione di tali innovazioni tecnologiche tra le aziende italiane deriva da diversi gap strutturali, comuni all’adozione di questo tipo di tecnologia.
Un recente studio della Commissione Europea ha, infatti, messo in luce come tra le aziende europee, il primo ostacolo all’utilizzo dell’agricoltura di precisione (e 4.0) sono le ridotte dimensioni aziendali, il costo di accesso ma anche la ridotta conoscenza di tali tecnologie. Ormai superfluo ricordare, a tale proposito, come l’agricoltura italiana presenti una dimensione media poderale di 11 ettari contro i 17 della media Ue, una formazione agraria completa che riguarda solo il 6% dei conduttori contro il 9% dell’Ue e un accesso a internet in aree rurali che interessa l’82% delle famiglie italiane residenti in tali zone rispetto alla media europea dell’86% (ma che arriva al 99% nei Paesi Bassi).
Agire nel rispetto della sostenibilità
Se quindi non si può prescindere da competitività e produttività, al tempo stesso non possiamo esimerci dall’essere sostenibili, come ci chiede la stessa Unione Europea.
A tal fine bisogna, dunque, innovare introducendo innovazioni tecnologiche in grado di rispondere al duplice obiettivo di una “competitività sostenibile”. Ecco perché rispetto a questo obiettivo congiunto, strumenti come le tecnologie di evoluzione assistita (miglioramento genetico) o di precision farming possono indubbiamente apportare un valido contributo.
Anche perché, vale la pena ricordarlo, se non ci fosse stato il miglioramento genetico apportato dall’uomo, non mangeremmo né arance (derivanti dall’incrocio tra altri agrumi), né clementine, né uva senza semi, ma neppure potremmo ottenere mais e grano duro per produrre pasta con gli stessi risultati di oggi. E domani, potremmo continuare a coltivare le viti in aree che oggi sono idonee per la produzione di vino ma che, in un futuro non troppo lontano a causa dei cambiamenti climatici, potrebbero rischiare di scomparire.
“Gli obiettivi di sostenibilità che pone il Green Deal sono ambiziosi e per quanto condivisibili non possono essere lasciati solo in capo agli agricoltori senza prevedere strumenti ed interventi specifici a supporto. Ecco perché abbiamo chiesto ed ottenuto in Europa che il 55% dei fondi destinati allo Sviluppo Rurale derivanti dal “Next Generation EU” fossero riservati agli investimenti in innovazione nelle aziende agricole. Lo stesso dicasi, proprio per raggiungere le finalità della strategia “From Farm to Fork”, in una maggior apertura da parte dell’UE verso l’adozione delle NBT, le tecniche di miglioramento genetico”, ha sottolineato Paolo De Castro, Presidente del Comitato Scientifico di Nomisma.
“La sfida dell’innovazione o Agritech, così strategica per il futuro della nostra agricoltura e come evidenziato dalla ricerca Agrifood Monitor di Nomisma e CRIF, può essere vinta anche attraverso uno sviluppo delle iniziative imprenditoriali di start up in grado di ampliare l’offerta di servizi e prodotti tecnologici e digitali a supporto del settore primario. Ed è proprio con questo spirito che CRIF assieme a Fondazione Golinelli hanno lanciato la prima edizione di I-Tech Innovation 2021, un programma che prevede investimenti per oltre 1,6 milioni di euro rivolti a start-up innovative in settori strategici a livello nazionale tra cui, appunto, quello del FoodTech/Agritech”, ha commentato Carlo Gherardi, Ceo di CRIF.