Tra le confortanti note positive per l’agricoltura ai tempi del coronavirus (di cui abbiamo parlato qui) ne emergono due negative (non a caso, i lavoratori agricoli rientrano tra le categorie che hanno diritto all’indennità di 600 euro prevista nel decreto Cura Italia). La prima è che alcuni contadini, e non solo, basano i loro introiti sulla vendita a ristoranti e hotel. La seconda riguarda specialmente le medie/grandi imprese e tutti coloro che, senza troppi giri di parole, non rispettano la legge: la mancanza di manodopera stagionale.
Consegne a domicilio: così ristoranti e agricoltori possono sopravvivere. Scelta saggia anche per il futuro?
La ristorazione e il turismo sono forse i due settori che più stanno subendo la crisi. Sempre più ristoratori, infatti, si stanno attrezzando e stanno avviando il loro servizio di consegna a domicilio, il famigerato delivery per i gastro-anglofoni. Un’iniziativa che tampona le ferite di tutti i contadini, e non solo, che vendevano i loro prodotti alla ristorazione. Addirittura il ristorante Retrobottega a Roma ha avviato la consegna a domicilio dei prodotti vegetali (e tanto altro) dei loro fornitori. Un’ottima soluzione per mantenere vivo il rapporto fiduciario che lega agricoltura locale, cucina e consumatore.
Il delivery è dunque in grande fermento, talmente tanto che se ne inizia a parlare come il futuro del commercio e della ristorazione; per ora ben venga, attenzione però a non farsi prendere troppo la mano dalla voglia di restare a casa. Andare al mercato per acquistare la verdura dal contadino, in enoteca lasciandosi consigliare dal proprietario, fino alla cena al ristorante vissuta come esperienza, sono, nella loro semplicità, dei forti momenti di socializzazione e aggregazione da preservare e da cui ripartire.
Allarme manodopera: i numeri e una riflessione sulle soluzioni
La mancanza di manodopera stagionale può essere scomposta in due problemi: il primo è che, come ha annunciato Coldiretti, i braccianti regolarmente provenienti dall’estero ogni anno sono 370mila e svolgono il 27% delle giornate lavorative necessarie al settore; il secondo riguarda tutti lavoratori a nero o peggio schiavi del caporalato, extracomunitari nella maggior parte dei casi, sottopagati e sfruttati. Quindi, si rischia la perdita di una parte del raccolto con conseguenze disastrose a livello economico.
La stessa Coldiretti ha invitato gli stati europei ad aprire le frontiere, mentre Confagricoltura propone ricerca di forza lavoro tra coloro che ora usufruiscono del reddito di cittadinanza, con una temporanea sospensione di quest’ ultimo. Allora l’invito è allargato a tutti coloro che si trovano rinchiusi nelle mura domestiche, studenti, cassaintegrati o disoccupati. A questo punto, però, viene da chiedersi: possibile che, con tutti i disoccupati in Italia, 370 mila persone vengano regolarmente dall’estero ogni anno per lavorare? Forse la colpa è degli italiani che non vogliono più fare questi lavori, o dei contratti collettivi nazionali che non garantiscono un salario minimo adeguato, o ancora di chi sfrutta gli extracomunitari abbassando il costo del lavoro. Forse è colpa un po’ di tutti. Tuttavia, la cosa sconcertate è di aver trovato la soluzione al caporalato e al lavoro in nero semplicemente con il controllo degli spostamenti; peccato il momento sbagliato. Certo è che è arrivato il momento di regolarizzare in maniera tempestiva e seria i braccianti irregolari e di togliere ai caporali il controllo dei territori, per garantire la sopravvivenza del comparto e un salario adeguato a tutti gli addetti ai lavori.
Oggi ci chiediamo se da questa situazione possiamo trarne qualche beneficio. Speriamo un domani di poter dire: serviva veramente il Coronavirus per risolvere questi problemi?