Andare a mangiare il pesce è un’espressione un po’ andata, anche se di uso consueto. Uno di quei modi di dire che nasce quando la cucina ancora non aveva ancora abbracciato completamente l’intero patrimonio degli elementi provenienti dall’acqua, e che oggi più propriamente viene invece definita cucina di mare o iodata. L’avvento di un più approcciabile gourmet, nei format ristorativi dell’ultimo decennio, ha poi sdoganato completamente sia i sapori che le tecniche.
A Roma trovare il mare nei piatti è un’operazione ricercata, soprattutto se il match di incontro deve essere tra sapori confortevoli e uno stile gourmet. Uno dei posti dove questa operazione raggiunge risultabili davvero apprezzabili è Acquasanta. Siamo a Testaccio, un quartiere noto per tutt’altra filosofia di cucina.
Acquasanta
Le ampie vetrine che danno sul quartiere popolare di una Roma autentica, trasformano un locale molto ben concepito e arredato, in un teatro. Luci ben disegnate e ambienti elegantemente arredati tra sfumature lignee e un pantone scuro. Il verde di un buon numero di piante (peccato alcune siano finte) scalda l’aria raffinata. Tavoli comodi e mise en place, come ormai da consuetudine sottrattiva, essenziale e ben definita. A volte un po’ eccessiva, ma ben ricercata la varietà dei piatti da portata. Il personale è molto attento e formato, mai invadente anche se decisamente puntuale nelle descrizioni dei piatti e nel racconto dei vini.
La Cucina
La prima cosa che colpisce è un menu apparentemente corto, ma che in realtà offre diciassette portate e due offerte degustazione. Queste ultime cambiano tra pranzo e cena, nel primo caso abbiamo un tre (“Tapasanta” da 35 euro) e un cinque portate (“Mare nostro” da 55 euro), mentre nel secondo un cinque (“Mare nostro” da 55 euro) e un otto portate (“Il mare d’autunno” 70 euro). In ogni caso c’è la possibilità del wine pairing.
Sulla carta, lo Chef Enrico Camponeschi mette in coda a una selezione di crudo del vicino porto di Anzio, piatti che cercano di valorizzare l’ingrediente principale grazie a personali visioni in accostamenti e consistenze.
Il Tonno, pane e pomodoro, è una tartare dal gusto molto intenso e persistenze, dove la morbidezza e la dolcezza vengono smorzate dal croccante del pane e dall’acidità del pomodoro.
L’Ombrina con il tartufo rimane in bocca con bilanciata delicatezza, in un equilibrio dove il tartufo non invade troppo e l’ombrina arriva.
Il Polpo con bieta, panna acida e ventricina (sbriciolata), è un’efficace quanto ruffiana combinazione di elementi gustosi e tendenti ad aumentare il senso di fame.
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Arrivando ai primi, la Calamarata di Polpo alla Luciana è ineccepibile, decisamente appagante nel gusto pieno che ti aspetti. I Tortelli di muggine con salsa alla cacciatora, invece, rimangono sorprendenti per pienezza dei sapori, un piatto apparentemente tendente alla sapidità iniziale della salsa, ma che poi cambia e ti lascia un piacevole retrogusto di mare fino alla fine.
In aggiunta, ho assaggiato un Risotto alla crema di scampi 2.0 con scampi cotti e crudi, crema di mascarpone e polvere di pomodoro (forse troppa). Un esperimento ardito fatto su un classico anni ’80, ma ben riuscito nella ricostruzione generale di un sapore indimenticabile.
Dai secondi mi è arrivato un ottimo Sgombro con indivia arrosto, cachi e salsa Teryaky. In questo piatto ci ho trovato quella prospettiva di gioco che è tipica di chi sa cucinare davvero. Sgombro al centro, di grande intensità, con intorno diversissime sfumature di dolcezza.
Ed è proprio arrivando ai dolci che la cucina si conferma all’altezza dell’esperienza. La pasticceria è nelle mani di Giulia Fusillo, una ragazza che rompe le righe e non la manda a raccontare da nessuno se non da quello che mette nei piatti. Il Bottoncino di mela, uvetta, pinoli e brodo di speck, è un’attività curriculare di grande impatto. Salti incredibili nei sapori ed è come mangiare la rivoluzione di uno strudel al cucchiaio.
Se a questo ci aggiungiamo un pre-dessert che è un sorprendente bisquit al limone e alla liquirizia, con in chiusura una “piccola” pasticceria come una bomba da farcire al momento di crema pasticcera, direi che tra il classico e l’ardito anche per i dolci siamo nel posto giusto.
Carta dei vini ampia e ricercata, con selezioni estere davvero interessanti e un buon numero di etichette legate al mondo dei naturali e dei biodinamici.
Perché Acquasanta
Perché credo che Acquasanta sia un’esperienza finalmente divertente in ogni suo aspetto, dall’accoglienza del proprietario Alessandro Bernabei, al servizio e alla carrellata di sapori che alterni con grande senso di appagamento. Perché a Testaccio dopo tanti quinti quarti, ma forse anche a Roma in generale, un porto sicuro per la cucina di mare ci voleva. Perché sono tutti giovani e ne sentiremo parlare.